Non so se avete seguito la lotta tra Amazon e un gruppo di editori, con Hachette in prima fila: in caso contrario potete trovare qui la cronistoria in inglese e qui in italiano. In poche parole, Amazon vuole che il massimo prezzo di (quasi tutti gli) ebook sia dieci dollari (ok, 9.99$ – il marketing è quel che è), mentre i grandi editori vogliono che ci sia libertà di alzare il prezzo. Hachette e soci avevano stretto un accordo con Apple per vendere gli ebook con una percentuale fissa del 30% al negozio virtuale, ma lasciando la decisione del prezzo finale all’editore; un giudice americano ha però bloccato la cosa con l’infamante accusa di essere un cartello. Amazon ha poi iniziato a boicottare i libri di quegli editori, impedendo i preordini e rallentando anche gli ordini di libri cartacei; Hachette ha fatto pubblicare ai suoi grandi autori una lettera aperta sui maggiori quotidiani USA.
Ora Letizia Sechi segnala un nuovo punto di vista, quello di Clay Shirky, che dice più o meno “non è un caso che la campagna sia stata soprattutto contro Amazon, perché è difficile dare ragione agli editori”. Non riesco a seguirlo molto quando dice che gli editori si sono fatti legare da soli le mani da Amazon, perché hanno accettato di mettere il DRM nei loro testi elettronici; in fin dei conti possono scegliere quando vogliono di pubblicare versioni in formato mobi senza DRM, e se non fosse possibile venderli sugli store (perché, chessò, quelli vogliono solo epub oppure vogliono anche loro DRM) il problema non si porrebbe comunque. Mi preoccupa poi l’idea shirkiana che si tenda a un modello dove scrivere un libro dà prestigio zero, non foss’altro che perché ho fatto tanta fatica a farmi pubblicare :-). Ma non è di questo che volevo parlare, bensì del “modello supermercato”.
Il Disagiato ieri ha scritto un post che racconta della pubblicità del “prodotto libro”. Marco Calvo mi aveva segnalato qualche giorno fa questo lungo reportage, un po’ datato ma comunque utile. Il punto è che scriviamo troppi libri, e quindi spariscono in quasi ogni caso: se nella lotta di cui sopra vinceranno gli editori rimarremo bloccati su un modello vecchio, ma non è che se vincerà Amazon ci sarà chissà quale vantaggio per il lettore (occhei, quelli che ci perderanno di più saranno i grandi autori, immagino). Dal mio punto di vista la situazione è semplice: se ci sono lettori pronti a spendere tanti euro per un ebook, lasciateglielo comprare. Non è un boicottaggio che cambierà le cose. Diciamo che non vedo una grande differenza per il lettore tra il modello “supermercato” di Amazon, dove il libro è effettivamente un oggetto come un altro e l’ebook è un oggetto che non occupa spazio sugli scaffali, e il modello “boutique” dei grandi editori, dove il libro è un oggetto di culto che trae la sua importanza dal prezzo alto. Insomma, perché tifare per una parte o per l’altra?
1) La frase “un oggetto che non occupa spazio sugli scaffali” è assolutamente erronea. Essendo un bene immateriale ha bisogno di scaffali immateriali sia per la vendita (lo spazio sullo schermo occupato da uno non può essere occupato da un altro, vedi ad esempio quelli che ti vendono “un posto sulla home di google”) sia per lo stoccaggio (perché la gestione delle licenze watermark o DRM che siano richiedono infrastrutture crescenti col numero di vendite fatte e per assurdo serve più “spazio” dopo aver venduto che prima di vendere)
2) Il pubblico tifa per il prezzo basso esattamente come vorrebbe i capi di alta moda al prezzo dei cinesi al mercato
Fossi un grande editore (o ancora meglio un importante autore) vorrei un contratto con Amazon a pacchetti. Se vuoi questo titolo te ne vendo 10000 copie ad un prezzo ridotto con pagamento anticipato. Poi fanne ciò che vuoi. Se invece vuoi pagarmi regolarmente il venduto allora il prezzo rimane quello stabilito da me.
(1) no. Dovresti sapere meglio di me che quello di cui tu parli è il product placement, che è una cosa diversa dall’assortimento (e tecnicamente viene messo sul budget pubblicitario). Quanto al costo di stoccaggio, è negligibile.
(2) certo che il pubblico tifa per il prezzo basso, e se potesse comprare il capo di alta moda al mercato a prezzi di mercato lo farebbe. Il mio punto è diverso: se l’editore pensa che l’ebook di X debba essere venduto a 20 euro, sarà la gente a decidere se comprarlo oppure prendersi due ebook di Y e Z a 10 euro ciascuno.
.mau., porca paletta, “NEGLIGIBILE”? Non è che puoi comprare una vocale e trasformare una parola inglese in una italiana… (ma “trascurabile” e “irrilevante” che t’hanno fatto?!)
uffa, non si può nemmeno essere creativi di primo mattino.
Se per “creativi” intendi “spacciatori di calchi improponibili”, no, e nemmeno la sera tardi :-)
Secondo me si sta facendo da ogni parte una grave sottovalutazione del problema e di quanto (quale che sarà la via scelta) andrà a cambiare domanda ed offerta dei libri e di quali libri (scritti in che modo, intendo dire) andremo a leggere nel futuro.
I grandi autori di tutto questo se ne fanno un baffo perché, ehm, sono grandi. Vuoi pubblicare un libro di Connelly (il primo che mi viene in mente)? Paghi alla sua società che gestisce i diritti. Non li vuoi a quel prezzo? Connelly (la sua società) se li pubblica da solo, almeno per il mercato USA, dove il fattore dimensionale lo permette, con un bel dito medio a Bezos. Alla fine questo fa alzare il prezzo, dato che questo spauracchio fa molta paura agli editori cartacei, ma anche a Bezos, che infatti per ora non punta agli autori, ma a far fuori gli editori “quantità e non qualità” in primis. E’ il modello GDO, dove l’editore in realtà è un distributore. Amazon vuol far fuori il grande distributore diventando il più grande (distribuendo libri distribuiti da altri).
La GDO non produce nulla, privilegia la quantità, il mainstream che la clientela chiede. Applicato al mercato librario Amazon pialla il mondo dei bestsellers. Gli autori ben consci di questo devono scrivere qualcosa che faccia appeal a questo tipo di clientela (se vogliono fare ricavi interessanti). E’ un film già visto nel mercato cinematografico: film sempre più simili ai programmi tv (altra GDO), scialbi, tutti uguali fra loro perché si spartiscono le stesse paia di occhi. La classe media viene spazzata via, rimane l’alto di gamma (con i costi/ricavi conseguenti) ed il resto. Certo un libro ha costi di produzione bassi, quindi ci si può prendere rischi maggiori, ma la ciccia è questa. Gli editori non spariranno per il semplice motivo che Bezos non ha alcun interesse a selezionare autori da pubblicare. Quindi almeno un libro da qualcun altro lo devono pubblicare :).
Il resto farà la fame, con qualche occasionale trampolino di lancio.
Cosa leggeremo dunque? Io mi aspetto dagli ebook una tendenza a colmare tutte le nicchie immaginabili, i sotto-sotto-sotto generi di tutti i tipi con i libri che diventano come le serie televisive: collane di storie serializzate con cui l’utente ha una ragionevole certezza di avere quello che chiede. Una sempre più spasmodica ricerca all’autore che per un motivo o per l’alto, più o meno velocemente diventa noto (o farlo diventare tale). Dato che (a parte i soliti noti) i guadagni medi scenderanno, significa che gli autori dovranno produrre di più: aspettatevi un aumento del numero dei libri, non una diminuzione.
In primo luogo, non avevo mai sentito nominare Clay Shirky, ma spero sinceramente di non sentirlo mai piu’ perche’ le imbecillita’ che scrive nel suo lungo articolo sono davvero ridicole.
In secondo luogo, l’accordo dei grandi editori con Apple e’ stato fatto quando Amazon controllava il 90% delle vendite degli eBook quando Apple ha lanciato iBooks, ed e’ stato un modo per erodere quote di mercato di Amazon a favore di Apple. In linea di principio mi sembra giusto che sia stato considerato illegale.
Infine, Amazon chiede ad Hachette anche piu’ soldi per il “marketing”, cioe’ per offrire maggiore visibilita’ ai libri Hachette sul sito.
Il grande rischio che si corre e’ ancora che la stragrande maggioranza del mercato dei libri vada nelle mani di Amazon. Il “modello supermercato” comporta, appunto, che ci troveremmo a comprare solo “libri da supermercato”, un mondo dominato da best seller, spesso libri di dubbio livello. Peraltro si sa che gli editori guadagnano sui bestseller ed i guadagni vanno non solo ai relativi autori, ma anche a finanziare progetti “rischiosi” che Amazon mai e poi mai finanzierebbe (che so, monografie o qualsiasi cosa interessi un numero ristretto di persone. Il Pulitzer 2014 Donna Tart scrive un libro ogni dieci anni, come potremmo piu’ avere libri da lei?).
Consentire ad Amazon di vendere libri in perdita perche’ tanto fa profitti altrove puo’ mettere editori e librai concorrenti in ginocchio. Un’analisi come al solito seria e approfondita sulla situazione, compreso il rischio di mettere il “flusso delle idee” in mano ad un solo soggetto, e’ fatta tempo fa da The Atlantic ; il punto di vista di un gran numero di autori, anche non pubblicati da Hachette, e’ scritto in una recente lettera ad Amazon riportata ad esempio qui
ciao
Gennaro
non credo che il problema sia “consentire ad Amazon di vendere libri in perdita”, questo lo può già tranquillamente fare. Per come l’ho capita io, gli editori dovrebbero ricavare solo quello che Amazon decide che sia giusto per loro.
(Poi onestamente non so quanti editori finanzino progetti “rischiosi”)
Best seller low-brow per il mass market (ma che bella frase italiana) che finanziano “progetti rischiosi”, cioè libri di alto valore letterario che però saranno bagni di sangue dal punto di vista delle vendite: a sentire gli editori tradizionali, non si potrebbero avere i secondi senza i primi (è il principio che sta dietro anche al sistema delle rese librarie). Ogni opera letteraria destinata a un pubblico ristretto e che non sarà tirata in più di 2.500 copie (e sto stimando per eccesso) va in libreria solo perché in catalogo c’è anche il best-seller da centomila copie (e sto stimando per difetto: i gialli di Liza Märklund ne fanno 400.000 a botta, dicono fonti interne a Marsilio). Se poi la corrispondenza sia così diretta, credo lo si potrebbe appurare analizzando i conti economici di ciascun libro in un dato catalogo per un dato anno, o anche solo per una data cedola, e ovviamente si tratta di documenti che gli editori si tengono ben stretti (faticano immensamente anche a far avere i rendiconti di legge agli autori…). Però qualunque editore lo dice, e “nell’ambiente” l’affermazione è trattata come una verità rivelata, un dogma che non si mette in discussione: “Dovete sopportare la fuffa perché altrimenti non si stamperebbe più nulla di artisticamente rilevante”, l’idea è questa. Resta da capire come mai certi editori sembrano avere in catalogo (ma, soprattutto, far arrivare in libreria) solo fuffa, e altri solo opere artisticamente rilevanti…
.mau., anche nell’articolo da te citato e’ scritto chiaramente che Amazon era stata inizialmente costretta ad accettare i prezzi piu’ alti imposti dagli editori, mentre vuole essere libera (in qualita’ di venditore) di decidere prezzi e sconti a suo piacimento.
Il parere, in inglese, di uno scrittore che bazzica il web da un pezzo e ha messo in rete aggratis il suo primo romanzo: John Scalzi.