I giovini sono nel periodo in cui le cose non le vogliono. Nulla di strano. È però un po’ più strano sentirli parlare in terza persona: non dicono “non vojo” ma “non vuole”. Chissà qual è il recondito significato!
Ultimo aggiornamento: 2011-12-06 07:00
Scilipoti non vuole! :D
The Maradona Syndrome
non è che siano “nel periodo”: è che “inizia” il periodo. è un “periodo” che NON finisce, bensì si intensifica negli anni. buona fortuna.
i giovini, imparano per imitazione e quindi ripetono il “non vuole” sentito dagli adulti, poi pian piano che si staccano dall’intensità della relazione con la figura adulta capiscono e passano alla prima persona
Sono nativi digitali, parlano già per twitter. Tra poco si limiteranno a frasi brevi :)
Passato anche mio figlio: “Allo vuole, Allo dice, Allo piange”.
Penso sia come dice Rosalba: dal momento che quando parlate fra voi genitori del bambino (l’uno o l’altra) vi riferite a lui con la terza persona singolare dunque anche lui userà la stessa persona per parlare dello stesso soggetto.
Una spiegazione meno psicologica è che sono i genitori che spesso parlano di sé in terza persona con i bambini “es., papà dice: Non fare questo, che papà non vuole; mamma dice: “devi smetterla di fare arrabbiare la mamma!”, e quindi contestualmente allevano piccoli cesari. Ma non so se la cosa si applica a .mau.
Io e Anna diamo del tu ai giovyni, a dire il vero. “Jacopo, vuoi vedere il cartone di Alice?” o al limite la prima persona: “Ci vestiamo?”
hmmm… Il mio ha avuto una fase in seconda persona, suppongo per imitazione di chi gli rivolgeva la parola: “Lo vuoi il trenino?” “No, [io] non lo vuoi.” Potrebbe essere un meccanismo simile? Ovvero “Papà non vuole il gelato.” “[Io] lo vuole.”
@Francesco: come scrivevo sul Frenfi, avrei capito la seconda persona visto che diamo loro del tu. La terza mi spiazza.
Sì, ma ti dài dell’io quando parli di te a loro? “vado a lavorare” o “papà va a lavorare?”..
dipende dalle volte.
Se tu dici di solito “papà non vuole”, Jacopo ovviamente clonerà “papà non vuole”; e se alterni, dedurrà che sono forme equivalenti e userà preferibilmente a terza persona perché può usarla sia per la prima sia per la terza e dunque lo considera più economico, così come noi usiamo “fare” e “cosa” per pigrizia pur avendo a disposizione sinonimi più accurati.
Scherzi a parte, secondo Piaget, che ha scritto una delle teorie evolutive più articolate che ancora ci siano, intorno a quell’età il bambino passa dalla fase dell’egocentrismo puro – nella quale tutto il mondo ruota intorno al proprio io – il bambino passa, attraverso il linguaggio, alla creazione e comprensione di più punti di vista, di più soggetti del mondo. L’uso della terza persona gli è utile a inserire se stesso nell’universo multicentrico che inizia a scoprire. Mentre finora la psicologia interiore l’ha reso protagonista del mondo, adesso il linguaggio gli permette di inserirsi nel mondo come io. Cosa che sperimenta con l’uso della terza persona – per riassumere in due righe concetti difficili e complessi.
Ora non ho modo di controllare ma credo che nell’acquisizione del linguaggio da parte dei bambini italiani la sequenza prevista sia proprio inizialmente la terza persona singolare con verbi all’indicativo, poi a volte la seconda, quindi la prima persona. Non è una questione di imitazione dei genitori, altrimenti i bambini non passerebbero mai la fase in cui rendono regolari i verbi irregolari (che non sentono da nessun adulto). Se ben ricordo, è come se per i bambini italiani la terza persona singolare fosse una forma “neutra”, e la usino, per fare un paragone, come nello stereotipo degli stranieri che parlano con i verbi all’infinito (cosa che nessun bambino piccolo italiano farà mai).
Avete presente Elmo, il muppet rosso di Sesame Street che nei paesi di lingua inglese è adorato dai bambini? Mi è venuto in mente perché parla sempre in terza persona, proprio come loro, e sono riuscita a recuperare un intervento in Language Log che credo possa essere interessante, Blame it on Elmo: aggiunge alcuni dettagli sul perché i bambini che stanno imparando a parlare usano la terza persona, indipendentemente da come ci si rivolge loro.