barocchismità

C’è una caratteristica della lingua italiana che mi è sempre stata sullo stomaco. Sembra infatti che non si possa usare una parola semplice, ma la si debba complicare. Così non abbiamo un problema, ma una problematica; il tema diventa subito una tematica; la scansione di un documento è per forza una scannerizzazione, e non si usa nulla, perché lo si deve utilizzare. Infatti abbiamo l’utilizzatore finale, mica l’utente finale!
Lo so, basta aprire il dizionario e scoprirei che tematica e problematica significano “insieme di temi / problemi”. Potrei fare il figo, tirare fuori le mie reminiscenze latine e parlare di verbi intensivi e frequentativi, quelli che si formano a partire dal supino di un altro verbo e quindi sono allungamenti vecchi di duemila anni. Ma la cosa non mi piace comunque, perché la mia impressione è che la gente usi (“utilizzi”) le parole più lunghe perché crede così di dire qualcosa di più importante. A me una cosa del genere sembra davvero triste: coprire con paroloni l’incapacità di avere qualcosa da dire davvero. Ma non per nulla il barocco qui in Italia ha prosperato.

Ultimo aggiornamento: 2009-07-09 07:00

13 pensieri su “barocchismità

  1. leo

    La penso in modo simila, ma secondo me esiste anche un altro fattore che (incosciamente?) favorisce l’uso di termini più lunghi: semplicemente ti permettano di prendere più tempo per pensare a cosa dire dopo. :)

  2. mfisk

    “verbi intensivi e frequentativi, quelli che si formano a partire dal supino di un altro verbo”.
    Ci vorrebbe un commento di qualcuno che sappia il latino meglio di me, qui.

  3. davideprof

    No, che non ci siamo, ragazzi. I verbi intensivi e frequentativi, in latino, erano usati molto parcamente e in casi ben limitati, quando strettamente necessari. Qui si parla di ben altro: si parla di barocchismi, appunto. Tocca lasciare in pace Cicerone e prendersela con l’italiano moderno…

  4. Isa

    Verso fine post cominci a vedere la luce, ma lasciami spalancare la tapparella: la lingua non c’entra niente. La lingua è sempre innocente. Sono i suoi parlanti a violentarla fino al punto di pronunciare frasi quali: “Queste, in qualche modo, sono quelle che sono le tematiche su cui ci dobbiamo confrontare” anziché “Questi sono gli argomenti da discutere”. E ovviamente sì, si allunga e si allarga e si tira e si slabbra perché si ha sempre meno da dire, ma anche perché si ha sempre più paura di esprimersi nettamente. Fusse ca fusse che poi qualcuno viene a chiederti conto delle opinioni che hai – in qualche modo – espresso?

  5. Francesco P.

    Premettendo che non sono un esperto (frase che in genere prelude ad una o più sciocchezze), mi sembra che sia una meccanismo naturale di evoluzione del lessico. In particolare mi sembra non solo dovuto al meccanismo che dice .mau. (il desiderio del parlante di apparire accurato/forbito/autorevole), ma anche alla percepita (dal parlante) riduzione di informazione conseguente all’aumento dell’uso di una parola. Non mi stupirebbe scoprire che parole come “tema” o “problema” avevano una frequenza di utilizzo ed un ambito di significati molto più ristretti, per esempio, un secolo fa. Con l’ampliarsi dell’una e dell’altra cosa il termine viene percepito come di significato sempre più generico e quindi nasce l’esigenza o di abbandonarlo (come è sucesso ad es. al latino “res”, che era assai generico e non ha lasciato traccia in italiano, che gli ha preferito “causa” => “cosa”) o di specializzarlo. Dopodiché, la specializzazione può essere (e spesso è) assai infelice, perché non specializza un bel nulla. A proposito di frequentativi, le lingue romanze, per il significato di “cantare” hanno fatto sopravvivere il latino “cantare” e non “canere”, segno che probabilmente “canere” era indebolito nel latino tardo.
    Dopodiché, sarebbe urgente l’intervento di un linguista…

  6. Marco B. Rossi

    A mero titolo di esemplificazione citerei l’importanzite di cui scriveva Severgnini qualche anno fa: “L’idea che la cultura debbe essere un po’ oscura non ci abbandona mai: e i giornali risentono di questo complesso. Non solo: scrivere chiaro vuol dire farsi capire, farsi capire vuol dire prendere posizione, prendere posizione significa farsi dei nemici, e farsi dei nemici spesso vuol dire rovinarsi la carriera. Ricordo quello che mi disse Montanelli – uno che scriveva chiaro, e aveva nemici in abbondanza – a proposito di un collega e coetaneo: «Da qualche tempo leggo X, e non lo capisco. Credo che voglia diventare direttore».”

  7. Licia

    Qualche anno fa avevo partecipato a uno studio su alcuni termini molto comuni usati nel software che però non corrispondevano a quelli normalmente usati (ad es. posta elettronica e collegamento anziché email e link) per cercare di capire se fosse il caso di aggiornarli, operazione dispendiosa e che quindi andava valutata attentamente. I risultati mi avevano davvero sorpresa perché la grande maggioranza delle persone intervistate dava la preferenza ai termini più lunghi e formali e le motivazioni erano tutte simili, tipo “anche se io dico X, è più corretto Y e se ho pagato preferisco la forma ufficiale”, come se terminologia troppo “comune” potesse sminuire il valore del prodotto.
    Credo proprio sia un fattore culturale…

  8. Barbara

    I have coined a term for this tactic, in honor of Foucault’s candor: eumerdification. (Daniel Dennett, Breaking the Spell).
    Lo so che non è proprio la stessa cosa, ma è una parola che mi piace tantissimo.

  9. Daniele A. Gewurz

    Ho una mia collezioncina di barocchismità simili in cui mi sono imbattuto, che metto a disposizione dei cultori del genere (ho lasciato i doppioni con gli esempi citati da .mau.):
    * efficientamento
    * minimale
    * modalità
    * metodologia
    * numerosità (neppure nel senso di “essere numeroso”, ma semplicemente di “numero, quantità”)
    * pericolosità (analogo al precedente: non era usato nel senso di “essere pericoloso”, ma proprio di “pericolo”)
    * problematica
    * quantitativo
    * similare
    * tipologia
    Come si vede, quasi sempre sono parole usuali a cui si sono aggiunte una o più sillabe (“tipo” -> “tipologia”) per renderle più… tecniche? professionali? professionalistiche?

  10. marcoxa

    Caro .mau. secondo me hai preso un crab.
    Usually, la ggente, usa sempre più words Inglesi inframmezzate a sentences italiche, al fine di fare un effort per showoffare i suoi assets.

  11. vb

    Per quanto mi riguarda è anche questione di ritmo nella frase. “Usare”, per esempio, è un verbo insolitamente corto per l’italiano, e inserirlo in una frase insieme ad altri verbi più lunghi provoca generalmente uno sbilanciamento del flusso musicale del periodo, per cui è preferibile “utilizzare”.

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