Bilancio di una carriera di corista

Come avevo già deciso fin dall’inizio di questa avventura, mi sono buttato a cantare la Nona di Beethoven perché questa era una di quelle occasioni che capitano una volta nella vita, ma non ce la farei a gestire un impegno continuativo. Ecco un resoconto complessivo, tralasciando i problemi a San Marco di cui ho parlato in separato post.
Cantare in un coro è un’esperienza che è difficile da spiegare a chi non l’ha mai fatto. È completamente diverso dal cantare da soli, o anche semplicemente all’unisono accompagnati da una chitarra. Nel coro tu canti insieme a quelli col tuo tipo di voce – il che ti aiuta e ti dà quella sensazione di appartenenza, ma hai anche le altre voci che giocano con te e con cui ti incroci in plural tenzone; e questo aumenta esponenzialmente il piacere di cantare, soprattutto quando dopo le prime prove si riesce a prendere le proporzioni ed essere abbastanza sicuri della propria parte. Una produzione enorme come quella a cui ho partecipato – 102 coristi! – moltiplica ancora il piacere, perché senti la massa delle voci e sai che è anche in parte opera tua. A Lodi ci hanno detto che superavamo in volume di suono l’orchestra stessa! Il nucleo centrale del coro, quelli insomma del Cantosospeso, si sente che è formato da persone che non solo amano la musica ma sono anche molto coese e hanno uno scopo comune: non è da tutti rimettersi a cantare il repertorio del coro in pullman mentre tornavamo da Lodi.
Per quanto riguarda la Nona, non bisogna aver paura di affermarlo: è kitsch. Nel quarto movimento c’è un certo punto in cui l’orchestra parte come fosse una banda di paese: il tema dell’Inno alla Gioia, che poi è addirittura assegnato inizialmente ai contrabbassi, è in effetti banalotto e ci si può chiedere perché mai in una sinfonia ci debba essere il coro. Tutto questo ovviamente in teoria, perché quando alla fine del recitativo del baritono la parte maschile del coro risponde due volte “Freude!”, bastano quelle quattro sillabe per capire come poi non sia così importante il valore musicale dell’opera, quanto quello che sta dietro: e quello sì che vale davvero molto. Personalmente avrei eseguito la sinfonia un po’ più lenta, ma credo e spero che chi l’abbia ascoltata abbia sentito quella sensazione che poi è forse la ragione per cui l’Inno alla Gioia è stato scelto come inno ufficiale dell’Unione europea.
Ad Arcore è stato bello cantare prima dell’esecuzione ufficiale solo per i bambini: alcuni erano un po’ addormentati o scocciati, ma lo sguardo di un paio di loro mi è bastato per essermi guadagnato la giornata. Lodi – ma quanto è bello il duomo! – invece è stato più serio, con discorso iniziale di sindaco e vescovo che effettivamente fa tanto provincia italiana o se preferite anni ’50. Sto cercando di capire se e quando uscirà la registrazione del tutto.
P.S.: com’è che nessuno ha risolto la crittografia mnemonica della scorsa settimana? :-(

Ultimo aggiornamento: 2008-12-08 21:41

7 pensieri su “Bilancio di una carriera di corista

  1. agapetos

    Sono anch’io corista. E’ un’esperienza splendida, che avvicina al Cielo.
    Riguardo alla crittografia… beh, non volevo fare lo spoiler, e poi è fin troppo facile in quel post!

  2. Piotr R. Silverbrahms

    Beh, perdinci, credevo non fosse necessario risolverla, visto che era il titolo stesso del post (o mi ricordo male)?
    Comunque è davvero una crittografia classica, quasi quanto la celeberrima
    AL
    RI
    GO
    che si usa per spiegare ai bambini come funzionano le (meglio, alcune) crittografie

  3. doc

    Congratulazioni! Sono proprio curioso di sentire la registrazione (se sarà disponibile senza dover fare un mutuo :P ).
    Non era “La nona di Beethoven”?

I commenti sono chiusi.