A Disappearing Number (teatro)

Non è che io fossi molto convinto di uno spettacolo teatrale sulla vita di Srinivasa Ramanujan, per di più in inglese. Però Anna era interessata e così ieri siamo stati al Piccolo – che comunque era pieno: è vero che lo spettacolo è rimasto in cartellone solo tre giorni, ma non mi aspettavo tutta questa sete di cultura – a vedere A Disappearing Number, dell’inglese Simon McBurney. Beh, ho fatto bene a seguire il consiglio.
Dal mio punto di vista, naturalmente, la parte aneddotica sul matematico indiano non ha certo aggiunto nulla, anche se immagino possa essere stata interessante per chi non conosceva la storia, e comunque gli intermezzi in cui Godfrey Hardy racconta la storia sono sicuramente un bello spaccato che mostra come anche i britannici dell’inizio del secolo scorso fossero ben razzisti anche loro. Ho però trovato davvero favolosa la messa in scena, con una multimedialità non fine a sé stessa ma che riempiva la trama, e una struttura complessa, con tre filoni temporali intrecciati (la vita di Ramanujan, Hardy che a fine anni ’30 racconta le vicende del suo compagno di ricerche, e tre personaggi contemporanei) con un continuo flashback e flashforward e il ripetere ossessivo di alcune frasi, quasi a indicare lo sviluppo della matematica che riprende sempre quanto già fatto e cerca di vedere se può essere sviluppato in maniera nuova. Alcune cose però ammetto che non le ho capite, come l’orologio digitale nell’aula di matematica che andava più o meno al doppio della velocità reale.
Nota di demerito ai sopratitoli, invece. È stata una fortuna che, dopo i primi minuti dove Ruth scriveva freneticamente formule matematiche alla lavagna parlando a una velocità impossibile, il resto della rappresentazione fosse pronunciata normalmente, perché se uno avesse dovuto basarsi sui sopratitoli si sarebbe perso metà dei dialoghi e avrebbe spesso capito ben poco del resto. Ad esempio, “pi greco” veniva regolarmente indicato come “p“; quando il fisico d’origine indiana andò a tenere una conferenza al Cern lo salutò come il posto dove nacque “Internet” (ovviamente lui ha detto “il World Wide Web”); gli “hedge funds” sono banalmente diventati “borsa”; e così via. Passi per l’ultimo punto :-), ma in questo modo mi sa che per buona parte del pubblico la parte teatrale sia comunque rimasta apprezzabile e però la parte scientifica si sia persa del tutto. In compenso non ho capito quale fosse il “numero scomparso”, a meno che non fosse quello telefonico che Alex cercava di farsi riassegnare.
Trovate qua il sito della compagnia, con qualche notizia in più.

Ultimo aggiornamento: 2008-11-10 14:41

2 pensieri su “A Disappearing Number (teatro)

  1. Barbara

    Ma gli indiani parlavano british o indian english? Ché io a imparare a capire gli indiani ci ho messo un bel po’, la pronuncia non è particolarmente incasinata ma la velocità è ben diversa.
    Nota pedante: G.H.Hardy era noto come Harold ai suoi amici, non Godfrey.

  2. .mau.

    @Barbara: l’attore che faceva Ramanujan (e che era indiano) parlava con un leggero accento Indian English. Per quanto riguarda gli altri due (che non erano indiani, anche se i loro personaggi lo erano) il fisico aveva un accento neutro, l’uomo d’affari americano un American English. Infine la voce della tipa del call center, che pure stava a Bangalore, era di nuovo senza accento riconoscibile almeno da me.
    Per Hardy, a parte che l’ho sempre chiamato G.H., ci credo che non apprezzasse essere appellato con un nome che conteneva l’odiata parola God :-)

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