La vertenza dei giornalisti

Siamo quasi a metà del più lungo periodo di mancanza di quotidiani che io mi ricordi: tre giorni di sciopero che si attaccheranno ai consueti due giorni di riposo natalizio, per un totale di cinque giorni consecutivi senza giornali. Beh, Il Giornale e Libero ad esempio sono regolarmente in edicola; Il Manifesto ha fatto solo un giorno di sciopero; stamattina ePolis me lo sono trovato regolarmente in giro. È un po’ di tempo che Ugo mi chiede di spiegare le ragioni per lo sciopero: il guaio è che non sono poi così addentro alla cosa; quindi invece che una sfrucugliata vi trovate un molto più modesto pippone, e non garantisco nulla sulla correttezza di quanto scriverò.
Beh, su una cosa a dire il vero editori e giornalisti sono d’accordo: il contratto di settore è scaduto da quasi due anni. Già sui motivi per cui le trattative non partono ci si trova però muro contro muro. Un mese fa, gli editori hanno pubblicato una lettera aperta (chissà perché in PowerPoint) dove dicono che la pubblicità cala perché l’informazione ormai arriva da altre fonti che attraggono di più gli investitori: inoltre nemmeno i gadget allegati ai giornali ormai tirano più. Però affermano anche che non è poi davvero un problema di soldi: aumenti di contratto se ne possono fare, se contestualmente si tagliano gli scatti automatici e si inserisce una maggiore flessibilità, mentre secondo loro la controparte vuole “limitare gli editori al ruolo di pagatori”.
Passando ai giornalisti, mi sono stupito di non essere riuscito a trovare né un link alla piattaforma di rinnovo contrattuale né una trattazione in maniera semplice e non in politichese delle loro richieste. Lo stupore è perché sono giornalisti, e quindi dovrebbero ben sapere come dire le cose: le piattaforme del contratto telecomunicazioni so trovarle perché sono “roba mia” ma non è che siano così comprensibili. Ad ogni modo, nell’ultimo loro comunicato ribattono affermando che gli editori stanno aumentando gli utili, e che tutto quello che vogliono in realtà è ridurre ancora di più gli stipendi, e soprattutto svilire il lavoro del giornalista e cercare sempre più di prendere al loro posto degli avventizi / tirapiedi e via discorrendo (con il sottinteso che tanto noi siamo un popolo di giornalisti incompresi). Tra le righe si capisce che si sono pentiti delle concessioni che hanno accettato negli ultimi due contratti, e che secondo loro gli editori non vogliono sedersi al tavolo delle trattative perché la situazione per loro va bene cosi.
Che penso io di tutto questo? Beh, mi chiedo se l’avere una corporazione come l’Ordine dei Giornalisti sia un vantaggio oppure uno svantaggio per la categoria. In questi anni sono spuntate svariate “scuole di giornalismo” che dovrebbero essere in teoria la strada maestra per intraprendere la professione, ma che stanno solamente creando una serie di sottoccupati; e a tutti i giornalisti che si vede che non solo sono appassionati del loro mestiere, ma cercano anche di svolgerlo al meglio si contrappongono i marchettari che preparano i pezzi a cottimo senza nemmeno sapere di che cosa stanno parlando… e non sono necessariamente precari. Così a pelle mi sembra che le preoccupazioni dei giornalisti siano reali e importanti, ma vorrei anche essere certo che le soluzioni da loro proposte non cerchino di perpetuare la loro setta, prima di schierarmi dalla loro parte.

Ultimo aggiornamento: 2006-12-23 21:29

2 pensieri su “La vertenza dei giornalisti

  1. mestesso

    Io conosco diversi giornalisti, e, come te del resto, scrivo articoli qui e là come “cottimista” o poco più (apropos, da quanto è che scrivi Dr Brom?).
    Il problema è semplice e complesso.
    Semplice perché gli editori italiani si ritrovano, come in tutto il mondo, di fronte all’inesorabile declino della carta stampata periodica. E con questo problema devono fare i conti (quante riviste han chiuso i battenti ultimamente?).
    Complicato perché di interessi ne sono in gioco tanti. Sia da parte dei giornalisti stessi, che vogliono continuare ad essere una casta ben pagata ed intoccabile come i paria indiani, sia dagli editori, che vogliono conquistare nuovi mercati (internet in primis, ma anche le molte nicchie).
    La qualità si paga. Sempre, che sia una brugola od un articolo è così, e lo sanno tutti e due. Per l’editoria di qualità, il problema dei costi non si pone neppure. E’ una precondizione necessaria avere una buona idea ed una buona copertura finanziaria.
    Il problema è che l’editoria di qualità è una rarità. Nel senso che vende poco. Il mercato grosso, è il medio ed il basso.
    Questi due mercati per girare al meglio richiedono due cose: velocità di adattamento e massima flessibilità. I giornalisti iscritti all’ordine sono inamovibili e poco duttili, dato che il loro ecosistema non li obbliga ad esserlo.
    Avete notato come sempre più le riviste traducono articoli scritti all’estero? Perché costa molto meno, a parità di qualità. Per un grande gruppo poi è una manna: ne stipendi uno per scrivere 4, in 4 nazioni diverse.
    Io sono stato esternalizzato e reso consulente semiprecario: i motivi sono sempre quelli, anche nell’alta tecnologia dove lavoro io. Flessibilità e velocità di adattamento. Ora devo essere sempre 1 passo avanti agli altri, se no perdo il posto.
    C’è anche da dire che non tutti i giornalisti sono uguali, e certe tutele, che hanno un senso per garantire la libertà di informazione, mi fanno tenerezza a quei giornalisti che lavorano a “sigaro oggi” o “la bicicletta”, entrambi a libro paga degli inserzionisti.
    Le riviste di moda poi…una tizia di cui non dirò ne nome ne rivista su cui appare, ha scritto tempo fa 1 articolo per recensire una acqua minerale. Oltre allo stipendio becca 1 anno di quell’acqua minerale gratis, spedita a casa con corriere. Evviva l’onestà e la deontologia…e donne che leggete il blog, lo sapete che il 99% di quello che vedete per voi appare come fuori busta delle giornaliste, e solo per quello?
    Alla fine, sai cosa succederà? Che li faranno morire di inedia. Li sommergeranno di collaboratori esterni ed alla fine ingoieranno il rospo. E ci rimetteranno tutti, quelli onesti insieme ai vari puttanieri.
    Solo che ai puttanieri daranno più soldi fuori busta, a quelli onesti diminuiranno invece lo stipendio, se non diventano puttane pure loro…
    L’ordine dei giornalisti secondo me sta morendo, ma molto per colpa sua.
    Non verserò lacrime comunque.

  2. Edoardo Danieli

    Io, giornalista che non sono altro. Sono un dipendente di un’azienda editoriale ma anche un iscritto a un ordine professionale di cui devo rispettare la deontologia. Quindici anni di anzianità. Il mio stipendio tabellare è ancora in lire: il contratto è del 2001. Guadagno tra i 2100 e i 2300 euro al mese, a seconda delle domeniche e dei festivi che lavoro e che comunque faccio per fare un po’ di reddito. Ho 14 mensilità. Ho un giorno libero alla settimana, un orario di lavoro più lungo di quello previsto dal contratto (ma questo è un problema mio e non conta). In sostanza alle 7.30 del mattino faccio per telefono il primo giro di cronaca; bissato alle 10.30. Dalle 11 alle 13 in redazione; dalle 15 alle 21 pure. Uno o due giorni alla settimana turno notturno fino alle 24 (pagato 13 euro lordi). Se succede qualcosa in qualunque ora del giorno, questi orari vanno a scatafascio senza che nessuno dica (o paghi) nulla. A differenza di altri lavoratori, ho però ancora un aumento automatico dello stipendio ogni due anni (i famosi e contestati scatti di anzianità). Sopperisce a una bassa dinamica professionale: le carriere in molti giornali sono lente se non inesistenti. Nessun particolare benefit nascosto anche se una casa farmaceutica – oltre che di cronaca mi occupo anche di una pagina di salute – m’ha invitato a Stoccolma in occasione del Nobel. Ci sono andato, ne ho dato conto al lettore nel resoconto. Questo non m’impedisce di trattare dei concorrenti della casa farmaceutica, di inneggiare ai farmaci da banco, di dedicare molto spazio alle cure alternative senza medicine. C’è molto più puttanesimo (anche perché viene dato più per scontato) nel rapporto quotidiano con forze dell’ordine e pubbliche assistenze alla ricerca di notizie di cronaca. Una foto o un nome in cambio di una telefonata e il prezzo è giusto. Senza vergogna, per carità. Il mio editore ha un utile di qualche centinaio di milioni di euro. Ma, va da sè, lo stronzo sono io. Quello che più mi spiace è che non si capisca il senso di questa vertenza. L’operaizzazione del lavoro mentale è una costante da qualche anno (ormai qualche decina di anni). C’è ancora qualcuno che crede che un medico possa dare costosissimi farmaci antitumorali agli anziani nei reparti di oncologia? O che un laureato in legge possa intraprendere una carriera di qualsiasi genere nel suo settore? O che un economista possa fare studi che non siano omogenei a quello che la politica economica del momento ritiene? Un ingegnere che va a lavorare in una grande fabbrica – la più grande e più famosa diciamo del settore – guadagna 950 euro al mese. Lo so perché è un’amica mia, addirittura la grande fabbrica l’ha preselezionata prima che finisse di laurearsi durante uno stage. Ora alcuni – ma attenti sono la gran parte – giornalisti chiedono (pretendono?) di non far diventare l’editoria una fabbrica indipendente da ciò che produce. E’ sicuramente antistorico nella società dell’informazione. Ma non è detto che la storia sia sempre progresso. Scusate la lunghezza, ma mi scappava.

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