Domenica scorsa, sfruttando il fatto che mi ero preso il lunedì di ferie, Anna e io abbiamo preso un simpatico treno (di cui ho parlato in altra notiziola) che ci ha portati a Genova. Programma della giornata era fare un pezzo del percorso dei Forti di Genova, che lo scorso gennaio avevamo rinviato causa neve. Abbiamo assoldato due guide locali (Guido e Marta) a cui abbiamo anche affidato il servizio di catering, dopo che ci avevano fatto notare che lassù non si sarebbe trovato nulla da mangiare, gettandomi così nello sconforto. Alla comitiva si è aggregata anche Marina, che arrivava dal Ponente.
Arrivati in congruo ritardo a Genova Principe, siamo usciti dalla stazione giusto in tempo per vederci partire il bus che ci sarebbe servito. Nessun problema, per fortuna, visto che avevamo sufficiente tempo per riuscire comunque a prendere il trenino per Casella, una ferrovia a scartamento ridotto segnalata nelle varie guide di itinerari turistici. Purtroppo né l’azienda che gestisce i treni su quella linea né i tagger hanno una qualsivoglia idea di cosa significhi “attrazione turistica”, come si può capire dallo stato in cui sono ridotti gli esterni delle carozze: in compenso abbiamo scoperto che anche l’idea di “orario ferroviario” è piuttosto labile, e mantiene al suo interno un certo tempo per far fare improbabili manovre a locomotore e vagoni, un po’ come in alcuni problemini matematici. Ma tutto è improbabile, a dire il vero, anche il controllore che passa da un vagone al’altro passando bel bello en plein air. Tanto non si parla certo di Alta Velocità.
Scesi a Campi – nome assolutamente incongruo per la località – e scartata la mia proposta di associarci al locale circolo aderendo contestualmente a una grigliata, ci siamo incamminati verso Forte Diamante. Dopo qualche centinaio di metri di strada asfaltata abbiamo visto il forte svettare, e abbiamo improvvisamente compreso l’etimologia del verbo: deriva da “vetta”, e il forte era proprio in alto. Tanto in alto. Estremamente in alto. E come capita spesso, la vicinanza è solo apparente, e dopo un po’ ci si accorge che la distanza rimane sempre la stessa. Guido, da quel momento in poi soprannominato “Stamby”, era l’unico che non si preoccupasse più di tanto della cosa: c’è voluta l’alleanxza di tutto il resto della comitiva per fermarlo e concederci di fare picnic su un pianoro. Ma la sosta è state di breve durata, e subito ci ha preceduti di un bel po’ in cima al forte, che era tra l’altro relativamente pieno di gente. La ragione l’abbiamo scoperta dopo: sull’altro versante il sentiero era sì più lungo, ma molto meno ripido e più ampio, praticamente una mulattiera. In effetti, dopo aver passato Forte Fratello Minore, arrivati a Forte Puìn abbiamo trovato un cavallo, che se ne stava lì immobile che sembrava quasi impagliato. Sarà stato un cavallo genovese, che risparmiava sulla fatica? Ah, il gruppo si era sgranato nel frattempo, con Guido che faceva l’uomo solo al comando e Marina e io a chiudere la comitiva molto flemmaticamente.
Da Forte Puìn parte la linea di mura che è stata conservata, il che è stata una fortuna o una sfortuna. Fortuna, perché il sentiero più che vederlo lo si doveva immaginare, e le mura ci davano un’idea della direzione da prendere; sfortuna, perché mi sa tanto che abbiamo preso il lato sbagliato delle mura. Ad ogni modo siamo riusciti ad arrivare senza soverchi problemi a Forte Righi, dove “si ritorna alla civiltà” secondo le parole di Guido, e ci siamo infatti beccati un’esercitazione della Croce Rossa e una festa di Legambiente, festa che è stata un po’ un controsenso visto che buona parte della gente era arrivata fin lassù… in macchina. (E tra l’altro qualcuno dovrebbe dire loro che su qui e qua l’accento non va).
Per ritornare al livello del mare abbiamo poi sfruttato completamente il costoso biglietto del trasporto pubblico: funicolare, bus, ascensore (dopo una pausa granita, apprezzata da tutti e soprattutto da me che avevo i piedi fumanti causa concomitanza di scarpe poco adatte), ancora bus – purtroppo il 20 sarebbe stato gestito con filobus a partire dal giorno dopo – e finanche treno, quando dopo avere salutato Marina siamo arrivati a Sampierdarena per fermarci a mangiare un boccone da Guido e Marta. corendo anche il rischio di perdere il treno di ritorno ipnotizzati da Report. Tra l’altro sono salito in moto per la prima volta da quasi trent’anni, e per la primissima come passeggero: lo scooterone di Marta è sì tranquillo, ma ero piuttosto preoccupato lo stesso ancorché cecato (gli occhiali li avevo messi nel marsupio) e continuavo a non rendermi conto dello spazio occupato dal casco.
A parte la stanchezza e le vesciche che mi sono trovato il giorno dopo devo però dire che la parte montagnosa di Genova è davvero bella, e ancora di più se fatta in ottima compagnia come noi. Dovrei fare il buon proposito di essere un po’ meno pigro :) Ci sarebbero anche delle foto, ma dovete aspettare ancora qualche giorno!
Aggiornamento: (25 maggio) Le foto che ho scattato stanno su Picasa.
Ultimo aggiornamento: 2008-05-10 20:04