Teoria delle code

Ieri stranamente sono uscito alle 16 dall’ufficio perché dovevo fare delle commissioni a Milano. Alle 17:10 ero così in via Legnano (vicino all’Arena sulla cerchia dei Bastioni, per chi ha un infarinatura di topologia milanese) e mi sono trovato un tappo di traffico. Vabbé, mi dico, sarà quello normale a quest’ora: chissenefrega, tanto sono in bicicletta. Mi ritrovo bloccato anche in via Farini. Verso le 19 sono passato in farmacia dalle parti di piazzale Lagosta, e anche lì la circolazione era praticamente bloccata. Sento poi alla radio che c’è gente ferma da ore dalle parti di piazza Repubblica.
Cosa è successo? A mezzogiorno una gru è passata sotto il palazzo del Comune di via Melchiorre Gioia senza abbassare il braccio, e ha buttato giù un po’ di rivestimento. Nessun morto, nessun ferito, stamattina ci sono passato sotto e avevano semplicemente transennato la parte pedonale. Però ci sono state dieci ore di caos, semplicemente perché una singola via è stata chiusa al traffico.
Un maligno – come io ovviamente non sono – potrebbe dire che è stata una manovra per convincere i milanesi che l’operazione che vogliono fare nel Quadrilatero della Moda, aprire cioè un asse di scorrimento veloce al posto dei miserrimi giardini di via Confalonieri, sia necessaria. Io penso da un punto di vista matematico, e noto che la capacità della struttura viaria milanese è arrivata così vicina al punto di saturazione da bloccare immediatamente il traffico se c’è una sua riduzione anche minima. Insomma, i blocchi del traffico non dovranno farli per il troppo inquinamento, ma più banalmente per far muovere i fortunati. Bella prospettiva, vero?

panem et circenses

Perché io devo lasciare che i miei soldi (quelli delle tasse) siano spesi perché i poliziotti debbano vigilare su chi va allo stadio? Ci pensino le squadre di calcio ad assoldare dei vigilantes. Non hanno soldi? facciano finalmente un salary cap serio. Non vinceranno le coppe? chissenefrega.

Oggi sulla stampa gratuita

Oggi il vincitore a man bassa della gara “cosa diavolo scrivo sul quotidiano gratuito di oggi?” è City, che dedica un articolo di quelli “forti” a quattro colonne su un’indonesiana, Etti Hendrawati, che fa free climbing con lo chador (che di per sé dovrebbe aiutare, soprattutto se si ha i capelli lunghi) e vestita in maniera tradizionale. Il tutto per “dimostrare come nell’Islam non ci sono divieti e proibizioni” per le donne. Mah. Tanto io scalate non ne faccio in ogni caso. E sarà proprio un caso che l’articolo immediatamente sotto parli del polo thailandese, che si gioca in groppa ad elefanti – il tutto documentato da fotocolor?
Passando ad argomenti “più seri”, in prima pagina troviamo la foto della ventiduenne Mary Carey, pornostar tra gli ottanta candidati al posto di governatore della California: chi legge Doonesbury sa come Trudeau sia andato avanti a prendere per i fondelli la corsa al posto che nemmeno in Italia, salvo adesso concentrarsi su Schwarzenegger. Ad ogni buon conto, la candidata ha il suo bel programma elettorale: legalizzazione dei matrimoni gay, tassa sui seni siliconati (“li odio perché sono pericolosi, e io sono tutta naturale”) e possibiltà di detrarre i costi dei corsi di lap dance. Quest’ultima proposta potrebbe essere interessante anche qui da noi, per muovere l’economia, così come il creare un sito web a pagamento, anche se il nostro premier non ha lo stesso tipo di appeal della signorina Carey. Il guaio è che per i contenuti vorrebbe riempire di webcam il palazzo del governatore, e non credo la cosa attecchirebbe.
Passando alla concorrenza, Leggo non si segnala particolarmente. Scrivere che i maschietti pagherebbero cinquecento euro per un bacio dalla Bellucci è capace a farlo anche Repubblica, e anche scoprire che nel Regno Unito fanno cure antiobesità per i cani non stupisce per nulla. Metro si salva per il trafiletto, d’altra parte riportato anche su City, a proposito degli adolescenti belgi che sono presi di mira da SMS pubblicitari che li svegliano durante la notte: “un rischio per salute, crescita e capacità di memoria e concentrazione”. Il giornale multinazionale ha però il coraggio di indicare la fonte di questa ricerca, il Journal of Sleep Research. A nessuno è però venuto in mente di chiedere come mai i giovanotti dovessero lasciare i telefonini accesi anche la notte…

l’euro forte

La nuova parola d’ordine per prendere per i fondelli gli italiani è che la colpa degli aumenti è l'”euro forte”. Ottimo sistema per dare la colpa a qualche entità indistinta, cioè a nessuno. Palle.
Vogliamo guardare le cose in faccia? Con la scusa del passaggio alla nuova moneta, chiunque ha potuto farlo (pizzerie e ristoranti in prima fila, ma in genere chi fa commercio) ha potuto aumentare i prezzi tranquillamente, confidando nella difficoltà di conversione tra le cifre e nell’effetto “un euro = 1000 lire” che tutti ci portiamo dietro. Il guaio è che non solo gli stipendi fissi restano appunto fissi in valore assoluto (e diminuiscono pertanto in valore effettivo), ma al danno si aggiunge anche la beffa dell’inflazione. È vero che negli anni ’60 c’era chi teorizzava che un 3% di aumento annuo fosse migliore di una stagnazione dei prezzi, ma la struttura dei prezzi era ben diversa. Oggi il paniere comprende una serie di prodotti high-tech il cui prezzo tende a scendere, e bilancia gli aumenti delle cose che compriamo tutti i giorni. Peccato che si possa decidere di non prendersi il telefonino nuovo, ma non si può certo smettere di comprare da mangiare! La soluzione più logica sarebbe sdoppiare il paniere su cui viene calcolata l’inflazione, lasciando quello attuale come base per calcolare gli adeguamenti (leggi aumenti) delle tariffe, ma creandone uno ad hoc che contenga solo le cose che una famiglia di reddito medio-basso ragionevolmente acquista, e usare quest’ultima come base per i rinnovi contrattuali. Come? E se questa arriva al 10% annuo, non generiamo ulteriori spinte inflattive? Non esattamente: in realtà diminuirebbe la competitività delle aziende italiane, il che è male; ma aiuterebbe l’economia meglio che gli stupidi spot governativi, e questo è bene. Sarebbe meglio tagliare le mani a chi ha iniziato a mettere una pizza margherita a 6 euro, ma non credo lo si possa fare così semplicemente.
Una noticina: gli aumenti peggiori si sono verificati nelle città più o meno grandi: chissà come mai.

passata la festa (ciclistica)

La scorsa settimana a Milano c’è stato il Salone del Ciclo e del Motociclo, e contemporaneamente sono state organizzate alcune manifestazioni, sotto il pomposo nome di MilanoBici Festival, per promuovere l’uso della bicicletta in città: dal raduno prelavorativo con cornetto alle 7:45 ai diecimila che hanno fatto il giro dei Bastioni ieri mattina. Ieri erano pronti a pedalare il sindaco Albertini e l’assessore al traffico Goggi, che hanno solennemente affermato che entro il 2006 ci saranno 90 chilometri di piste ciclabili in città, e tante rastrelliere per le bici, anche se la struttura di Milano non permette molti interventi. Ricorda inoltre che le nuove “zone 30” saranno una gioia anche per i pedalatori.
Dissento su tutta la linea. Innanzitutto, l’idea di pista ciclabile a Milano, oltre che essere come nel resto d’Italia un posto dove ci vanno tutti, dai pedoni a chi cerca parcheggio, assomiglia all’insieme di Cantor: pezzetti messi qua e là, ma rigorosamente separati l’uno dall’altro. E non credo che i nuovi 35 chilometri nascano per congiungerli: e dire che non ci vorrebbero chissà quanti percorsi, ma basterebbe scegliere alcuni raggi, collegati con pezzi di circonferenza. Il tutto naturalmente asfaltato (e non in pavè, la mia povera bici piange ogni giorno) e adeguatamente protetto sia dal lato della strada che da quello del marciapiede; meglio ancora se gli ausiliari del traffico cominciassero anche a multare chi ci parcheggia sopra. Interventi a costo basso possono anche consistere nello scegliere alcuni larghi marciapiedi strategici, toglierci le macchine da sopra e disegnargli delle strisce per dividerlo tra pedoni e bici: ma fatto questo occorrerebbe anche una task force per spiegare ai pedoni che se dei quattro metri di marciapiede due sono colorati, con dei buffi disegni per terra e delle strisce pedonali che li attraversano, magari non sono esattamente marciapiedi.
Le “zone 30” sono infine la morte civile. Basta vedere che delirio hanno fatto in corso Garibaldi: nonostante la larghezza della strada l’avrebbe permesso senza problemi, gli ineffabili architetti urbani hanno preferito allargare i marciapiedi in maniera abnorme, già che c’erano mettere una pavimentazione in cubetti di pietra che non permette nemmeno di camminare in maniera sicura, e lasciare una stretta corsia piena di dossi: le auto dovranno sì rallentare, ma le biciclette devono praticamente fermarsi. Se questa è l’idea di mobilità del Comune di Milano, dovrò cercarmi un elicottero.

connessione

Dopo lo spostamento dei colleghi (e delle macchine) a Santa Palomba, qui da Rozzano non posso più connettermi. Per una volta posso permettermi di non lavorare.

suonerie telefoniche

I nuovi telefonini possono registrare il suono da usare per lo squillo. Giovedì sera, arrivato a Milano, ho sentito il suono di un telefono anni ’60.