Strane ricerche

Oggi Anna ha ricevuto una busta dal Consiglio Nazionale delle Ricerche – Dipartimento di Epidemiologia, con una circolare firmata dal Prof. Alfredo Nicolosi, direttore del dipartimento in questione, che con toni suadenti spiegava che “vi offiramo l’occasione per finalmente raccontare (sic) la vostra esperienza”, indicando i “disturbi che non vengono presi in considerazione dal medico di base”.
Può anche darsi che il questionario sia davvero quello che afferma di essere, anche se Anna, dopo avere letto la parte celeste che era da compilare (pardon, “riempire”) solo dalle persone che hanno disturbi urinari, ha commentato qualcosa tipo “quelli stanno cercando di farsi una base di pazienti per testare un nuovo farmaco. Però uno inizia a pensare male quando scopre che il questionario non deve venire inviato al CNR, ma alla Just in Time S.r.l., che sta sì a Segrate come il dipartimento di cui sopra ma mi pare faccia tutt’altro; e soprattutto pensa molto male quando scopre che il questionario – dove chiedono anche ad esempio il reddito familiare – non è anonimo, ma deve essere firmato indicando chiaramente nome e cognome. A che servono tutti quei dati incrociati?
P.S.: il testo per il consenso ex D.Lgs. 196/2003 c’è, e dice che “i dati saranno uniti in maniera anonima (senza nome) … e i risultati saranno presentati tutti assieme, senza la minima possibilità di identificare chi ha risposto al questionario”, e “I dati personali da Lei forniti non saranno comunicati a nessuno”. A parte che manca l’esplicitazione del fatto che quelli forniti (non i soldi, ma le eventuali malattie dell’apparato urinario) sono dati sensibili, mi chiedo ancora una volta a che serve nome e cognome se tanto affermano di non usarlo.

Abuyon non cadrà (libro)

[copertina] La mia fama di spietato recensore di libri si sta sempre più diffondendo. Ugo mi ha così spedito questo libro di fantasy (Michele Lerda, Abuyon non cadrà Araba Fenice 2007, pag. 156, € 13, ISBN 9788886771771) chiedendomi di leggerlo e dare un parere.
La storia è molto interessante, e presenta l’enorme vantaggio – almeno per me – di essere fantasy senza riciclare Harry Potter o Il signore degli anelli. Le protagoniste sono infatti due gatte, e il mondo è parallelo a quello degli umani, con qualche punto di contatto come appunto Abuyon. Le trovate che si trovano man mano nel racconto sono spesso inaspettate, come ad esempio il linguaggio Fusa: la storia scorre bene. Detto questo, e tralasciati un paio di refusi (“accattate” invece che “attaccate” a pagina 35, e “I” invece che “Il” a pagina 149), e il piemontesismo “solo più”, devo aggiungere che quello che mi pare mancare nel libro è una visione d’assieme. L’autore ha affermato di averlo scritto di getto, e riguardato solo alla fine: caratteristica che ha in comune con parecchi grandi scrittori dell’Ottocento, ma che porta inevitabilmente a non avere personaggi disegnati a tutto tondo, con un loro carattere ben definito. Per dare un esempio, Milù parte come gatta sempre pronta a mangiare, e poi non la si vede praticamente più interessata al cibo… anche in un romanzo di iniziazione è troppo. Anche alcuni artifici, come quello degli alter ego, sono stati usati un po’ troppo spesso come metodo per togliere le castagne dal fuoco quando la storia si ingarbugliava troppo.
Ma in definitiva quest’opera prima del nostro Camilleri alla rovescia (non solo perché è della Provincia Granda…) lascia ben sperare per il futuro.

Specchio+

Con una decina di giorni di ritardo, racconto rapidamente le mie impressioni sulla nuova incarnazione dell’ex-settimanale – ora mensile, con il “+” nel nome che dovrebbe indicare una miglioria – che esce come allegato de La Stampa l’ultimo sabato del mese. Il costo è di trenta centesimi oltre il prezzo del giornale, restando allineato con gli omologhi inserti dei quotidiani concorrenti: c’è però la differenza che mentre il vecchio Specchio era in abbinamento facoltativo in Piemonte, Val d’Aosta e Ligura, cioè nel bacino storico della diffusione del giornale, adesso mi pare che lo debbano comprare anche loro. Le altre differenze esteriori sono nel formato, che è più grande di prima, e nel dorso, che è di nuovo in formato libro, e non semplicemente spillato. Per quanto riguarda il contenuto, secondo la copertina e l’editoriale il supplemento dovrebbe essere dedicato a “innovazione e creatività”, parole che fanno tanto moderno, e tutto il supplemento dovrebbe avere un respiro più ampio di quello del vecchio settimanale. In pratica? Beh, innanzitutto c’è una quantità incredibile di pubblicità. Sulle 264 pagine del supplemento, ce ne sono 105 che sono réclame per così dire “ufficiali”: quindi escludendo redazionali e liste di oggetti trendy, che in fondo sono sempre pubblicità. Sul resto, mancano le rubriche, che comunque erano già state sfrondate negli ultimi mesi di Specchio, e gli articoli sono sempre più visivi e meno testuali. Capisco che fare dei veri approfondimenti non è così facile, ma non riesco esattamente a capire l’utilità che avrei nel leggere questo supplemento.
Un’ultima curiosità: la redazione di Specchio+ si trova a Milano, in piazza Cavour. Ormai Torino conta sempre di meno.

Com’è bella la matematica. Lettere a una giovane amica

[copertina] (se vuoi una mia recensione più seria, va’ su Galileo!)
Hardy, nella sua Apologia di un matematico, si lamentava che ormai alla sua età non potesse più fare matematica ma si dovesse limitare a farla conoscere. Ian Stewart apre questo suo libro (Ian Stewart, Com’è bella la matematica [Letters to a Young Mathematician], Bollati Boringhieri – Nuova Cultura 2006 [2006], pag. 157, € 17, ISBN 9788833917146, trad. Benedetta Antonielli d’Oulx) con questa citazione, e subito aggiunge qualcosa tipo “beh, adesso le cose sono cambiate: si può fare matematica fino a tarda età, e comunque divulgarla è bellissimo”. In effetti, questo breve libro vuole essere l’aggiornamento al ventunesimo secolo dell’ormai classico testo di Hardy, partendo dalla demisoginizzazione del testo – le lettere sono a una giovane fanciulla, seguita dalle scuole superiori alla sua prima cattedra accademica – e arrivando alle spiegazioni della vita attuale di un matematico di professione.
Di per sé l’idea è ottima, e sicuramente alcuni capitoli permettono anche al profano di avere un’idea del perché un matematico si sente tale – ad esempio, la parte sulle dimostrazioni come la narrazione di una storia è davvero interessante. Inoltre non ci sono formule, e quindi non dovrebbe spaventare il lettore. Peccato – a parte per il prezzo – che il libro abbia svariati refusi, e soprattutto alcuni punti in cui la matematica descritta sia sbagliata: Fermat ha dimostrato il suo teorema nel caso n=4, e l’enunciato del teorema di Bernstein è errato. È vero che il profano non si preoccuperà più di tanto della cosa, ma un ulteriore controllo sarebbe stato utile.

TIMER (mostra)

A una settimana dalla sua chiusura, sono andato alla sede staccata della Triennale in Bovisa a vedere la mostra Timer, o per la precisione la versione 2007 di quella che secondo gli organizzatori dovrebbe “affermare il ruolo di Milano come uno dei potenziali riferimenti europei dell’arte dei nostri giorni”. Da casa mia sono solo dieci minuti in auto, ma che mi hanno permesso di fare tante scoperte: ad esempio che per arrivare in via Lambruschini non si passa dalla Bovisa ma da via Mac Mahon, e che si può rischiare un tamponamento a catena perché un sessantenne idiota se ne sta in bicicletta sul lato sinistro della carreggiata del cavalcavia Bacula e improvvisamente decide di spostarsi sulla destra. Io in realtà non l’avevo nemmeno visto, ho solo notato un’inchiodata generale cui ho contribuito anch’io…
Ma passiamo alla mostra. Eravamo in quattro: oltre a me e Anna c’era infatti copiascolla e una sua amica piacentina. E siamo anche entrati con il biglietto ridotto usando alcune delle mille tessere di copiascolla. Lo spazio espositivo è molto bello, ampio e luminoso; per quanto riguarda le opere, si sa come funziona l’arte contemporanea: c’è della roba onestamente bella, nel senso che ti dice qualcosa, e c’è tanta fuffa, accuratamente nascosta dalle didascalie che mostrano un uso non comune del dizionario dei sinonimi e contrari, per riuscire a dire senza dire. Ma il massimo è sicuramente stato raggiunto nel pannello che apre la mostra e spiega il suo contenuto. Non so chi tra Davide Rampello, Gianni Mercurio e Demetrio Paparoni si sia cimentato in quella prosa: il signore in questione è però riuscito a scrivere un testo che, tradotto in italiano corrente, dice più o meno “L’undici settembre è un punto di svolta anche nell’arte: gli artisti mostrano questa svolta facendo esattamente le stesse cose”. Un mito.
Il sito è molto bello visivamente, ma una chiavica nella fruizione: scordatevi di usarlo se non avete una risoluzione almeno 1024*768 e tanta fantasia.

FeedBurner comprato da Google

Se non lo sapeste, FeedBurner è il posto da cui recuperate le mie notiziole, se (a) non volete andare sul mio sito e (b) le volete leggere in formato completo (quello ridotto me lo gestisco in locale). Questo significa che di accessi ne fa parecchi – non tanto per il mio sito, ovviamente, ma per tutti gli altri.
A quanto si legge sul blog di FeedBurner, ieri l’acquisizione della società da parte di Google è stata formalizzata. Che cosa significherà tutto questo in pratica? Boh. L’unica cosa interessante che ho visto è che se uno si preoccupa che i dati personali raccolti da FB siano uniti a tutti gli altri che ha Google, ha un periodo di quindici giorni in cui fare opt-out, e gli amici di Chicago cancelleranno tutti i dati relativi a lui. È già qualcosa.

calorie

Il contachilometri della mia bicicletta ha una quantità di funzioni tra l’inutile e lo sconcertante. Due di queste si chiamano “calorie” e “grasso”. Così per sport, il mese scorso non ho mai resettato i valori: oggi, o meglio ieri sera visto che causa pioggia oggi la bici è rimasta in garage, ho scoperto che in un mese avrei consumato 6651 calorie e 662.8 non-so-bene-cosa di grasso. Però tutte quelle calorie sono circa il 10% di quelle che in teoria avrei ingurgitato questo mese (in pratica mi sa che siano state molto di più). Non è un po’ troppo? È forse meglio che mi limiti a vedere la velocità e al massimo l’odometro?

It was forty years ago today

Tanto lo stanno scrivendo tutti, è inutile che aggiunga chissà che cosa. Faccio solo notare come il CD uscì esattamente vent’anni fa, e fu la molla che mi spinse, giovane lavoratore finalmente con un reddito proprio, ad acquistare il mio primo lettore (con la discografia ufficiale completa come dischi da 2 a 15, anche se ammetto che il primo disco fu The Dark Side of the Moon).
Non penso che musicalmente parlando sia la loro migliore opera: A Hard Day’s Night, Revolver e Abbey Road, ciascuno in modo diverso, meritano di più. Ma non è quello il punto: non stiamo parlando di un disco, ma di un evento, quando il concetto di evento non esisteva ancora. Lancio contemporaneo in tutto il mondo, copertina con i gadget, testi riprodotti per la gioia del fan, nessuno stacco tra le varie canzoni. Un delirio di onnipotenza che resistette per qualche mese, fino alla morte di Brian Epstein e al fiasco (relativo) del film TV Magical Mystery Tour. Ma quel primo giugno 1967 il mondo si fermò per un attimo, e sempre per un attimo fu più felice. E non è poco.
P.S.: se volete sapere cosa dicono gli altri, andate da
Frit1
Sasaki