Magari molti non hanno capito cosa sta succedendo con il balletto delle date di termine della legislatura. Come parte del mio servizio pubblico, provo a spiegare le cose in maniera non dico chiara ma comprensibile.
La XIV legislatura è iniziata con la votazione del 13 maggio 2001, quindi dovrebbe terminare il 13 maggio 2006, e il voto tenersi domenica 14. C’erano però due problemi, uno costituzionale e uno politico. Il mandato di Ciampi scadrà infatti… il 13 maggio 2006. Di per sé la Costituzione in questo caso prevede una prorogatio, ma non è comunque una bella cosa. Ma c’è di più: questa primavera si voterà anche per numerosi comuni, tra cui Torino, Milano, e Roma, e quindi ci si sarebbe aspettato di andare alle urne una sola volta, previo apposito decreto. Però generalmente Forza Italia, essendo un partito incentrato su Berlusconi, è più debole nelle consultazioni locali, e Silvio non era molto convinto dell’accoppiamento. Così si sono messi d’accordo tutti, proclamando urbi et orbi che la data delle elezioni sarebbe stata il 9 aprile, sciogliendo le Camere il 29 gennaio. (noticina a margine: è la domenica delle Palme. Chissà cosa succederà con tutti quelli che faranno benedire i ramoscelli d’ulivo)
Poi sono però successe alcune cose. La più eclatante è stata il rinvio alle camere della legge Pecorella, che non potrebbe più essere ripresentata. Ma sotto sotto c’è dell’altro: la campagna elettorale di Berlusconi che finalmente ha avverato la predizione di Enzo Biagi (“Se Berlusconi avesse le tette, farebbe anche l’annunciatrice”) e quindi non aveva affatto voglia di essere vincolato dalle norme di par condicio in periodo elettorale; e il fatto che il Polo è indubbiamente in rimonta. A questo punto Berlusconi ha pensato di fare un bel giochetto e dire “massì, prolunghiamo la legislatura fino al limite naturale, così possiamo ancora lavorare”, ottenendo il subitaneo appoggio di tutti gli studenti che all’interrogazione di fine quadrimestre chiedono al prof se può essere rimandata a domani. Ciampi non l’ha presa affatto bene, anche perché lui poteva sì sciogliere le camere il 29 gennaio ma fino a che il governo non promulga i decreti per l’istituzione dei comizi elettorali non sarebbe successo nulla. A sinistra hanno sempre più paura di non vincere e quindi non vogliono toccare la data d’altronde concordata.
Risultato? La data del voto non si tocca, ma si riduce al minimo ammesso – 60 giorni – la durata della campagna elettorale, dando un paio di settimane in più ai lavori del parlamento. Tanto ai politici non importa più dovere tornare sul territorio per la campagna elettorale: ricordo che con la nuova legge non esiste più la preferenza, e conta solo l’ordine in cui sei stato messo in lista.
Chiaro?
Aggiornamento (26 gennaio) La notizia aggiuntiva è che il governo preparerà anche un “decreto tagliafirme”, per ridurre il numero di firme necessarie ai partiti non presenti in parlamento per presentarsi. A parte i giudizi sulla “democrazia perfettissima”, vorrei ancora aggiungere che se la legislatura termina anticipatamente (anche solo di un mese) il numero di firme richiesto viene comunque dimezzato, e secondo me questo conta molto, soprattutto nel momento in cui si è passati da un sistema maggioritario a un “proporzionale con finto sbarramento”…
Ultimo aggiornamento: 2006-01-25 11:08