Domenica non avevamo nessuna meta particolare, e Milano non offriva nulla di eclatante. Sì, potevamo andare a Rozzano al Fiordaliso a vedere “i ragazzi del Grande Fratello”, devo ammettere. Però non è stato trovato un accordo… Così siamo andati a Brescia al Museo della Città (Santa Giulia), a vedere la mostra sulle domus dell’Ortaglia. Il museo, con gran fantasia, sta in via dei Musei: in effetti ce ne sono due, e una possibile idea consisteva nel passare anche dall’altro a vedere la mostra temporanea di pittura che continuerà fino a novembre. Non ce l’abbiamo fatta: il museo della città è stato una scoperta entusiasmante, che ci ha preso quasi quattro ore.
Premessa: lo sponsor, il Credito Agrario Bresciano, ci deve aver buttato dentro una barcata di soldi. È vero che il biglietto di ingresso costa otto euro, ma considerando quanta gente sta nelle sale gli incassi basteranno sì e no a pagare loro gli stipendi. Ma avere i soldi non basta: né è sufficiente avere tanto materiale museale, cosa che comunque è verissima nel nostro caso. Occorre anche essere capaci a spendere e mostrare bene, creando un buon allestimento. Garantisco che in questo caso le soluzioni scelte non hanno davvero nulla da invidiare ai musei parigini, e questo museo può e deve essere preso a modello di fruibilità nel ventunesimo secolo.
Facciamo un passo indietro. Il museo sorge sull’ex monastero benedettino femminile di san Salvatore e santa Giulia, nato ai tempi dei Longobardi sul territorio entro le antiche mura romane. Avere avuto un monastero è significato un terreno rimasto in buona parte intatto: gli scavi degli anni ’60 hanno così riportato alla luce nelle immediate vicinanze i resti di una domus, e negli anni ’90 di un’altra ancora. Si è scelto così di integrare questi ritrovamenti nell’area museale, e a marzo si è inaugurata questa nuova sezione. La scelta è stat di coprire tutta la zona e lasciare un’illuminazione bassa, oltre a dipingere le pareti di nero, probabilmente per ridurre il pericolo di danni della luce a mosaici e pareti: inoltre il percorso camminabile resta più in alto rispetto all’altezza dei vani, in modo da vedere tutto dall’alto. Alle pareti ci sono ampie spiegazioni della struttura e delle funzioni degli ambienti delle due domus, sia in italiano che in inglese, il tutto corredato da dovizia di piantine. Termina questa parte dell’esposizione un video che ricostruisce come poteva essere la Brixia romana.
Ma tutto il percorso della mostra è una continua sorpresa, con dovizia di reperti e contestuali spiegazioni. Sarebbe forse preferibile avere indicato meglio l’ordine della visita, perché gli spazi sono un po’ labirintici, ma in genere non ci si perde. In tutto questo, la mostra temporanea con la “Afrodite ritrovata”, prorogata fino al 2 novembre, in realtà non aggiunge molto. Hanno preso la Vittoria simbolo di Brixia, le hanno tolto e lasciato lì sul puiedestallo le ali (tranquilli, sono un’aggiunta posticcia) e si sono fatti prestare la Venere di Capua per far risaltare le similitudini. Il tutto in un padiglioncino temporaneo in uno dei chiostri del convento.
Tornando al percorso principale, gli spazi di San Salvatore contengono reperti longobardi e dell’età comunale, e terminano nella chiesa omonima (un gioiello romanico eppure slanciato) e nel coro delle Monache di Santa Giulia, rinascimentale e ricchissimo di affreschi. Tornando all’ingresso, si passa poi a Santa Maria del Soccorso, con una favolosa volta stellata e la croce di Desiderio, che mostra come i longobardi amassero le cose luccicanti.
Molto meno interessanti invece le collezioni al piano superiore del museo, che tra l’altro mancano ancora di didascalie e simili. Si direbbe che il museo le avesse e fosse quasi costretto ad esporle, senza però un vero interesse: ma in ogni caso anche noi avevamo bisogno di un po’ di riposo.
Ultimo consiglio: anche se fuori fa caldo, portatevi un maglioncino. La temperatura interna è davvero bassa.
Ultimo aggiornamento: 2003-09-10 12:19