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_Libertà vigilata_ (libro)

[copertina] Internet è una gran bella cosa. Non venitelo a dire a me, che ci bazzico su da ormai quasi trent’anni. Naturalmente quello che mi sono trovato all’inizio del 1984 e che a dire il vero non si chiamava ancora Internet era qualcosa di completamente diverso da quello che avevamo all’inizio degli anni ’90 con la prima esplosione commerciale, o da quello dopo la bolla del 2000, per non parlare di cosa abbiamo oggi: ma è nella natura delle cose che ci sia un’evoluzione. Al più possiamo rimarcare come la Rete abbia non solo cavalcato ma anche prodotto il cambiamento, spostandosi man mano verso nuovi tipi di interazione e inglobando nel frattempo altri “vecchi” media, dalla stampa alla televisione alle telecomunicazioni.
Parlando di telecomunicazioni, non dovrebbe esservi sfuggito che Telecom Italia è in prima fila – anche a livello europeo con ETNO, l’associazione delle società tlc “storiche” – nel richiedere una diversa regolamentazione della rete. Quello che in genere traspare è una richiesta di azioni per difenderli dagli operatori OTT (Over The Top, quelli come Google e Facebook che gestiscono servizi “sopra” la rete che vorrebbero essere un semplice tubo trasmissivo alla stregua di una linea elettrica o del gas), ma la ragione del contendere è ben più ampia, come si può leggere nel libro del presidente Telecom Franco Bernabè appena uscito per i tipi di Laterza (Franco Bernabè, Libertà vigilata : Privacy, sicurezza e mercato nella rete, Laterza 2012, pag. 166, € 12, ISBN 97888842099468).
In Libertà vigilata Bernabè non fa certo mistero di quale sia la sua visione, e neppure dei problemi degli operatori tlc storici. C’è persino un’appendice che spiega quali sono stati i guai di Telecom (multe e soprattutto perdita di immagine) per il caso Tavaroli, e la nuova struttura per la sicurezza interna e la privacy che è stata poi implementata. Ma dopo questa presentazione lui fa notare come una cosa del genere è anche il risultato dei vincoli legislativi italiani ed europei; gli OTT non hanno nessun obbligo di fare qualcosa di simile, essendo generalmente americani e quindi sottoposti a vincoli di legge ben diversi dai nostri, e anche questo diventa un punto di oggettiva debolezza nel confronto.
Il testo ha un’ampia, anche se a volte un po’ troppo arida e tecnica, parte che racconta le storie dietro l’internet attuale, sia per l’infrastruttura di rete vera e propria che per i temi di sicurezza e privacy, evidenziando le differenze con un mercato maturo e regolamentato come quello delle tlc che ha già dovuto avere a che fare con essi, e mostrando come l’evoluzione event-driven di ICANN, l’organismo di autoregolamentazione di Internet, ha sì evitato l’eccessiva burocratizzazione e quindi ingessamento della rete, ma al prezzo di avere una struttura autoreferenziale e senza veri poteri. Bernabè passa quindi a presentare la sua proposta organica di riorganizzazione di tutto quello che riguarda la rete, dalla struttura di connessione a basso livello tutta flat-IP al rovesciamento del paradigma attuale in cui tutta l’intelligenza sta nei terminali e i router sono semplicemente dei passa-bit; dalla necessità di creare un’Internet 2 parallela a quella attuale che permetta servizi non best-effort ma di qualità garantita alla ridefinizione a più livelli del governo di Internet, con una separazione netta tra i temi sovrannazionali che devono avere una rappresentanza fattiva a livello di governi e quelli tecnici che devono continuare a restare tali.
Nonostante le argomentazioni siano ben espresse, e pur apprezzando la schiettezza di Bernabè che è una merce assai rara al giorno d’oggi, non credo però che le sue conclusioni possano essere così semplicemente attuate o anche solo accettate. Guardando alla parte puramente tecnica, ritengo molto più probabile uno scenario simile a quello che è successo lo scorso decennio nell’infotainment: i grandi operatori OTT tenderanno a fondersi con i grandi operatori storici TLC, per la banale ragione che ciascuno ha bisogno dell’altro, e le loro competenze sono complementari. Dal lato etico, nonostante l’attenzione di Bernabè che scrive esplicitamente che «nella Internet sicura dovrà pur sempre esserci spazio per l’anonimato», la storia ci insegna che una regolamentazione su base sovrannazionale porta in modo inevitabile all’eliminazione all’atto pratico dell’anonimato: se non ci credete, provate a prendere un aereo. I problemi sollevati nel testo non sono però affatto da sottovalutare; purtroppo però la mia sensazione è che al momento tra i pochi che si occupano seriamente del tema prevalgano visioni pregiudiziali in un senso e nell’altro, e dunque un libro come questo è prezioso per avere a disposizione gli strumenti per farsi una propria idea senza preconcetti.

Ultimo aggiornamento: 2012-12-01 07:00

_The Wacky Races Handbook_ (libro)

[copertina] Chi come me ha una certa età sicuramente conosce i cartoni animati di Hanna e Barbera “The Wacky Races”, e probabilmente avrà capito perché io mi sia procurato questo libretto (AA.VV., The Wacky Races Handbook, Warner Bros 2010, pag. 85, Lst 9.99, ISBN 978-1-4052-5202-7). Purtroppo però il risultato non è stato alla pari delle aspettative.
Innanzitutto il formato troppo piccolo non permette di vedere bene i particolari delle figure – e adesso non venitemi a dire che quei cartoni animati di particolari non ne avevano, perché allora non avete capito nulla. Inoltre direi che mancano molte scene che pure avrebbero dovuto esserci, tipo il mostrare le trasformazioni più strane delle varie macchine, o perlomeno un po’ di cartine delle tappe percorse. Come bonus, due paginette sugli spinoff… e non ditemi che non avete nemmeno mai visto Stop the pigeon! perché allora avete davvero avuto un’infanzia triste.
In definitiva, un libro di cui (purtroppo) si può anche fare a meno. Però una chicca ve la lascio: ho scoperto che il nome completo di Dick Dastardly è Richard Milhous Dastardly. Non credo che nel 1967, quando la serie venne trasmessa per la prima volta, gli autori avessero esplicitato quel nome, visto che sarebbe stato chiarissimo almeno per tutti gli americani a chi si riferiva. Però nel 2010, quando il libro è stato pubblicato, probabilmente il riferimento è rimasto per pochi eletti…

Ultimo aggiornamento: 2012-11-17 07:00

_Un gioco da ragazzi_ (libro)

[copertina] Questo libro (Roald Dahl, Un gioco da ragazzi e altre storie [The Wonderful Story of Henry Sugar], Salani 2012 [1977, 2001], pag. 207, € 9, ISBN 978-88-6256-960-6, trad. Luisa Corbetta) contiene sette storie “per adulti” scritte da Roald Dahl. Il “per adulti” è messo tra virgolette perché non sono certo vietate ai minori di diciott’anni! Semplicemente, visto che molti lo ritengono un autore per bambini, è meglio togliere subito gli eventuali dubbi.
C’è una cosa di Dahl che mi piace, che cioè scrive maledettamente bene – e la traduttrice Luisa Corbetta direi che è perfettamente riuscita a rendere il suo stile. C’è però una cosa di Dahl che non mi piace: la sua vena generalmente triste e negativa, che lo fa rifuggire dal lieto fine. Insomma, nel leggere i suoi racconti ho spesso sensazioni discordanti. In questo libro direi che le sensazioni sono complessivamente positive: anche il racconto che apre il libro, “Il ragazzo che parlava agli animali”, finisce sì in maniera negativa almeno per alcuni dei protagonisti ma non ci si fa caso. “La meravigliosa storia di Henry Sugar” è però il racconto che più mi è piaciuto, insieme a “Un colpo di fortuna” che però dovrebbe essere più che altro autobiografico e quindi forse fuori tema… come autobiografico è “Un gioco da ragazzi”, il primo racconto scritto da Dahl, che però è completamente diverso in stile dalla sua produzione successiva e non è che mi abbia detto più che tanto. Ho un po’ meno apprezzato gli altri racconti, invece: magari solo perché io sono un brontolone nato.

Ultimo aggiornamento: 2012-11-10 07:00

_I frattali a fumetti_ (libro)

[copertina] Devo dire che mi sarei aspettato molto di più da questo libro (Nigel Lesmoir-Gordon, Will Rood, Ralph Edney, I frattali a fumetti [Introducing Fractal Geometry], Raffaello Cortina 2010 [2000], pag. 177, € 12, ISBN 9788860303554, trad. Gianbruno Guerriero). Ha sicuramente un vantaggio, e cioè che costa poco; però dovrenmo tutti ricordarci bene che non possiamo avere un pasto gratis. Iniziamo dal titolo, che è fuorviante: non ci sono fumetti ma disegni. Capisco che parlare di disegni nel caso di frattali è ancora peggio; e infatti il titolo originale “Introducing Fractal Geometry” è per me molto più chiaro.
Il secondo punto che non mi piace del libro è la sua estrema semplificazione: ogni concetto viene trattato in poche righe e quindi non si capisce molto di che si stia parlando, soprattutto in tutti gli esempi in cui si dice “ah sì, con i frattali si potrebbe fare bla bla bla…” e ovviamente non si spiega nulla. Poi non è che io mi fidi molto di un testo che dice (pag. 68) che il piano complesso è stato inventato da John Wallis un secolo abbondante prima di Caspar Wessel e Jean-Robert Argand… qualcuno avrebbe dovuto spiegare agli autori che Wallis ha introdotto la retta dei numeri.
Anche sulla traduzione di Gianbruno Guerriero ho qualche dubbio. Capisco la difficoltà del non avere un testo ampio, ma scrivere “Bill Hirst, lo scienziato e filosofo britannico” non è esattamente italiano.
Detto tutto questo, bisogna però dare anche conto che molte spiegazioni sono sufficienti per una persona non esperta del campo ma curiosa; per costoro il libro può risultare interessante e piacevole, anche se non cambierà loro la vita.

Ultimo aggiornamento: 2012-10-27 07:00

_Giochi finiti e infiniti_ (libro)

[copertina]La Francia è una nazione in cui la divulgazione matematica è sempre stata fatta ad alto livello. Tanto per dire, quando lo Scientific American decise di dimezzare la frequenza della rubrica di giochi matematici l’edizione francese assoldò Ian Stewart perché scrivesse per loro e si conservasse così la periodicità mensile. Anche questo libro (Jean-Paul Delahaye, Giochi finiti e infiniti : Tassellature, infografica e libri senza fine [Jeux finis et infinis], Dedalo “La scienza nuova 154” 2012 [2010], pag. 226, € 16, ISBN 978-88-220-0254-9, trad. Edoardo Rivello, editing scientifico Elena Ioli) contribuisce a mantenere questa meritata fama. Come capita ormai spesso, per “giochi” si intendono sia quelli che in inglese si chiamano “plays” che i “games” più tendenti alle scienze economiche: il capitolo ad essi dedicato è però il più scontato, soprattutto per chi è avvezzo ai paradossi che mostrano che non apparteniamo alla specie homo oeconomicus. Ma tutto il resto del libro sarà molto probabilmente una novità anche per chi ha una discreta conoscenza del tema. Persino il primo capitolo, su Life di Conway, contiene risultati ben oltre quello che si legge in genere: le pagine sulle trasformazioni non distruttive delle figure hanno anche esempi molto carini, ma la parte migliore è senza dubbio quella sui giochi (plays) infiniti, col passaggio ai ricoprimenti fini del piano e dello spazio per arrivare agli assiomi sui Grandi Cardinali.
Considerazione finale: il libro è stato pubblicato con il contributo del ministero della Cultura Francese – Centre National du Livre, che immagino abbia pagato in tutto o in parte i costi di traduzione. Edoardo Rivello ha sicuramente reso molto scorrevole e leggibile il testo italiano, mentre ho qualche dubbio sull’editing scientifico di Elena Ioli, che ha inventato una mai sentita definizione “in x2” al posto di O(x2) per gli ordini di grandezza e soprattutto mi ha fatto dannare per capire la dimostrazione a pagina 161 in basso. Che il segno di maggiore fosse un minore era chiaro, ma mi ci è voluto un bel po’ di tempo per capire che i “cerchi” erano in realtà circonferenze. Sì, è colpa mia: il contesto avrebbe dovuto farmelo capire subito. Ma allora mi chiedo a che serve un editor scientifico!

Ultimo aggiornamento: 2012-10-20 07:00

_Drive In_ (libro)

[copertina]Cerrrrrto che io venticinque anni fa guardavo il Drive In (con gli amici di gioventù, ogni settimana a casa di uno di noi). E mi sono anche comprato il libro (Antonio Ricci (ed.), Drive In, Bompiani 1987, pag. 176, lire 15000). Se volevate un altro motivo per capire come mai mi sono rovinato così, adesso ce l’avete.
Come regge la memoria a leggere i tormentoni di venticinque anni fa? E cosa si pensa dei testi? Maluccio, dirò. Mi ero completamente dimenticato per esempio che un anno ci fu anche Staino con Bobo (giusto per dire che adesso si parla male di Ricci, ma un tempo non era così), che ci fu Bold Trek (e questo avrei dovuto ricordarmelo…) e che Beruschi e Margherita Fumero avevano molti sketch diversi insieme, non solo Beruscao. Per quanto riguarda i testi, è chiaro che trovarli scritti fa perdere molto della loro forza comica: su questo bisogna dare ragione a Daniele Luttazzi. Però non mi aspettavo la grevità dei testi di Greggio e D’Angelo, mentre dall’altro lato i monologhi di Enzo Braschi erano molto migliori di quanto mi ricordassi.
Insomma: giudizio critico, tavanata galattica! Ma in fin dei conti mi manca la controprova, un libro dei Soliti Idioti… (no, grazie, non voglio sapere che esista)

Ultimo aggiornamento: 2012-10-13 07:00

_Una piramide di problemi_ (libro)

[copertina] A una prima occhiata si direbbe che questo libro (Claudio Bartocci, Una piramide di problemi : Storie di geometria da Gauss a Hilbert, Raffaello Cortina “Scienza e idee” 2012, pag. 387, € 29, ISBN 978-88-6030-446-9) tratti dello sviluppo della geometria nel XIX secolo, come del resto recita il sottotitolo “Storie di geometria da Gauss a Hilbert”. Se questo è il vostro interesse, mi sa che vi convenga prendere “Una via di fuga” di Odifreddi, che vi darà un racconto più organico e completo. Leggendo le prime pagine si può immaginare che parli del terzo dei ventitré problemi di Hilbert, l’unico di formulazione geometrica (parafrasando, “È sempre possibile scomporre un poliedro in un numero finito di parti che riassemblate opportunamente formino un altro poliedro della stessa area?”, problema risolto qualche settimana dopo – o qualche settiamana prima? – dall’allievo di Hilbert Max Dehn. In realtà quello che dovrebbe essere il filo conduttore del libro è la definizione dei fondamenti della geometria, a partire dallo scossone con la scoperta delle geometrie non eudlidee fino a giungere all’accorgersi che Euclide aveva dimenticato di elencare alcuni assiomi: quelli di ordinamento ma soprattutto quello di continuità, l’assioma archimedeo. Da li si scopre la differenza tra uguaglianza, congruenza ed equiscomponibilità, fino a giungere finalmente alla dimostrazione che la continuità e quindi la misurabilità non è necessaria nel piano, ma lo diventa nello spazio.
I temi esposti sono molto interessanti, soprattutto perché anche nei testi di storia della matematica sono tralasciati; però non mi è affatto piaciuto il modo in cui sono stati trattati. È chiaro che non esiste una via regia alla matematica, e non è certo colpa di Bartocci se i temi sono delicati: persino i matematici dell’Ottocento prendevano degli sfondoni. Però quello che ho chiamato “filo conduttore” è in pratica un gomitolo dove non si trovano i capi e il discorso si avvita spesso in digressioni che fanno perdere lo scopo principale, soprattutto se il libro non lo si legge tutto di un fiato.

Ultimo aggiornamento: 2012-10-06 07:00

_Visti da lontano_ (libro)

[copertina]Lo confesso. Venticinque anni fa mi ero comprato questo libro (Michele Serra, Visti da lontano, Mondadori – BUM 1987, pag. 156, lire 16000, ISBN 978-88-04-30033-5) dell’uomo che nasconde il suo doppio cognome (sarebbe Michele Serra Errante…) e raccoglieva i finti editoriali che l’allora giovinotto scriveva su Tango. Peggio ancora, me lo sono tenuto da parte, e ora me lo sono persino riletto, per vedere come reggeva al quarto di secolo passato e se i miei ricordi erano stati abbelliti dal tempo trascorso.
Diciamo che il giudizio attuale è molto più variegato di quello del .mau. del 1987. Alcuni dei pezzi presenti (quello di Natta in primis, ma anche Brera, Spadolini, Ronchey, Fallaci e De Crescenzo; persino Berlusconi, ricordando che ai tempi era solo il tycoon e non il politico, è stato tratteggiato bene) sono ancora godibili oggi, con il mio gusto per la satira e la parodia che si è affinato negli anni. In molti altri casi, però, devo riconoscere che Serra aveva voluto giocare troppo facile ed era caduto nel becerismo. Troppo semplice far parlare Toni Negri come l’ispettore Clouseau, o far fare il picci picci mucci mucci alla Carrà, o avere un Felice Ippolito chernobylato. Immagino che inventarsi ogni settimana un nuovo stile non sia stato così semplice, però secondo me una certa soglia di qualità non si sarebbe dovuta perdere.

Ultimo aggiornamento: 2012-09-29 07:00