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_Un gioco da ragazzi_ (libro)

[copertina] Questo libro (Roald Dahl, Un gioco da ragazzi e altre storie [The Wonderful Story of Henry Sugar], Salani 2012 [1977, 2001], pag. 207, € 9, ISBN 978-88-6256-960-6, trad. Luisa Corbetta) contiene sette storie “per adulti” scritte da Roald Dahl. Il “per adulti” è messo tra virgolette perché non sono certo vietate ai minori di diciott’anni! Semplicemente, visto che molti lo ritengono un autore per bambini, è meglio togliere subito gli eventuali dubbi.
C’è una cosa di Dahl che mi piace, che cioè scrive maledettamente bene – e la traduttrice Luisa Corbetta direi che è perfettamente riuscita a rendere il suo stile. C’è però una cosa di Dahl che non mi piace: la sua vena generalmente triste e negativa, che lo fa rifuggire dal lieto fine. Insomma, nel leggere i suoi racconti ho spesso sensazioni discordanti. In questo libro direi che le sensazioni sono complessivamente positive: anche il racconto che apre il libro, “Il ragazzo che parlava agli animali”, finisce sì in maniera negativa almeno per alcuni dei protagonisti ma non ci si fa caso. “La meravigliosa storia di Henry Sugar” è però il racconto che più mi è piaciuto, insieme a “Un colpo di fortuna” che però dovrebbe essere più che altro autobiografico e quindi forse fuori tema… come autobiografico è “Un gioco da ragazzi”, il primo racconto scritto da Dahl, che però è completamente diverso in stile dalla sua produzione successiva e non è che mi abbia detto più che tanto. Ho un po’ meno apprezzato gli altri racconti, invece: magari solo perché io sono un brontolone nato.

Ultimo aggiornamento: 2012-11-10 07:00

_I frattali a fumetti_ (libro)

[copertina] Devo dire che mi sarei aspettato molto di più da questo libro (Nigel Lesmoir-Gordon, Will Rood, Ralph Edney, I frattali a fumetti [Introducing Fractal Geometry], Raffaello Cortina 2010 [2000], pag. 177, € 12, ISBN 9788860303554, trad. Gianbruno Guerriero). Ha sicuramente un vantaggio, e cioè che costa poco; però dovrenmo tutti ricordarci bene che non possiamo avere un pasto gratis. Iniziamo dal titolo, che è fuorviante: non ci sono fumetti ma disegni. Capisco che parlare di disegni nel caso di frattali è ancora peggio; e infatti il titolo originale “Introducing Fractal Geometry” è per me molto più chiaro.
Il secondo punto che non mi piace del libro è la sua estrema semplificazione: ogni concetto viene trattato in poche righe e quindi non si capisce molto di che si stia parlando, soprattutto in tutti gli esempi in cui si dice “ah sì, con i frattali si potrebbe fare bla bla bla…” e ovviamente non si spiega nulla. Poi non è che io mi fidi molto di un testo che dice (pag. 68) che il piano complesso è stato inventato da John Wallis un secolo abbondante prima di Caspar Wessel e Jean-Robert Argand… qualcuno avrebbe dovuto spiegare agli autori che Wallis ha introdotto la retta dei numeri.
Anche sulla traduzione di Gianbruno Guerriero ho qualche dubbio. Capisco la difficoltà del non avere un testo ampio, ma scrivere “Bill Hirst, lo scienziato e filosofo britannico” non è esattamente italiano.
Detto tutto questo, bisogna però dare anche conto che molte spiegazioni sono sufficienti per una persona non esperta del campo ma curiosa; per costoro il libro può risultare interessante e piacevole, anche se non cambierà loro la vita.

Ultimo aggiornamento: 2012-10-27 07:00

_Giochi finiti e infiniti_ (libro)

[copertina]La Francia è una nazione in cui la divulgazione matematica è sempre stata fatta ad alto livello. Tanto per dire, quando lo Scientific American decise di dimezzare la frequenza della rubrica di giochi matematici l’edizione francese assoldò Ian Stewart perché scrivesse per loro e si conservasse così la periodicità mensile. Anche questo libro (Jean-Paul Delahaye, Giochi finiti e infiniti : Tassellature, infografica e libri senza fine [Jeux finis et infinis], Dedalo “La scienza nuova 154” 2012 [2010], pag. 226, € 16, ISBN 978-88-220-0254-9, trad. Edoardo Rivello, editing scientifico Elena Ioli) contribuisce a mantenere questa meritata fama. Come capita ormai spesso, per “giochi” si intendono sia quelli che in inglese si chiamano “plays” che i “games” più tendenti alle scienze economiche: il capitolo ad essi dedicato è però il più scontato, soprattutto per chi è avvezzo ai paradossi che mostrano che non apparteniamo alla specie homo oeconomicus. Ma tutto il resto del libro sarà molto probabilmente una novità anche per chi ha una discreta conoscenza del tema. Persino il primo capitolo, su Life di Conway, contiene risultati ben oltre quello che si legge in genere: le pagine sulle trasformazioni non distruttive delle figure hanno anche esempi molto carini, ma la parte migliore è senza dubbio quella sui giochi (plays) infiniti, col passaggio ai ricoprimenti fini del piano e dello spazio per arrivare agli assiomi sui Grandi Cardinali.
Considerazione finale: il libro è stato pubblicato con il contributo del ministero della Cultura Francese – Centre National du Livre, che immagino abbia pagato in tutto o in parte i costi di traduzione. Edoardo Rivello ha sicuramente reso molto scorrevole e leggibile il testo italiano, mentre ho qualche dubbio sull’editing scientifico di Elena Ioli, che ha inventato una mai sentita definizione “in x2” al posto di O(x2) per gli ordini di grandezza e soprattutto mi ha fatto dannare per capire la dimostrazione a pagina 161 in basso. Che il segno di maggiore fosse un minore era chiaro, ma mi ci è voluto un bel po’ di tempo per capire che i “cerchi” erano in realtà circonferenze. Sì, è colpa mia: il contesto avrebbe dovuto farmelo capire subito. Ma allora mi chiedo a che serve un editor scientifico!

Ultimo aggiornamento: 2012-10-20 07:00

_Drive In_ (libro)

[copertina]Cerrrrrto che io venticinque anni fa guardavo il Drive In (con gli amici di gioventù, ogni settimana a casa di uno di noi). E mi sono anche comprato il libro (Antonio Ricci (ed.), Drive In, Bompiani 1987, pag. 176, lire 15000). Se volevate un altro motivo per capire come mai mi sono rovinato così, adesso ce l’avete.
Come regge la memoria a leggere i tormentoni di venticinque anni fa? E cosa si pensa dei testi? Maluccio, dirò. Mi ero completamente dimenticato per esempio che un anno ci fu anche Staino con Bobo (giusto per dire che adesso si parla male di Ricci, ma un tempo non era così), che ci fu Bold Trek (e questo avrei dovuto ricordarmelo…) e che Beruschi e Margherita Fumero avevano molti sketch diversi insieme, non solo Beruscao. Per quanto riguarda i testi, è chiaro che trovarli scritti fa perdere molto della loro forza comica: su questo bisogna dare ragione a Daniele Luttazzi. Però non mi aspettavo la grevità dei testi di Greggio e D’Angelo, mentre dall’altro lato i monologhi di Enzo Braschi erano molto migliori di quanto mi ricordassi.
Insomma: giudizio critico, tavanata galattica! Ma in fin dei conti mi manca la controprova, un libro dei Soliti Idioti… (no, grazie, non voglio sapere che esista)

Ultimo aggiornamento: 2012-10-13 07:00

_Una piramide di problemi_ (libro)

[copertina] A una prima occhiata si direbbe che questo libro (Claudio Bartocci, Una piramide di problemi : Storie di geometria da Gauss a Hilbert, Raffaello Cortina “Scienza e idee” 2012, pag. 387, € 29, ISBN 978-88-6030-446-9) tratti dello sviluppo della geometria nel XIX secolo, come del resto recita il sottotitolo “Storie di geometria da Gauss a Hilbert”. Se questo è il vostro interesse, mi sa che vi convenga prendere “Una via di fuga” di Odifreddi, che vi darà un racconto più organico e completo. Leggendo le prime pagine si può immaginare che parli del terzo dei ventitré problemi di Hilbert, l’unico di formulazione geometrica (parafrasando, “È sempre possibile scomporre un poliedro in un numero finito di parti che riassemblate opportunamente formino un altro poliedro della stessa area?”, problema risolto qualche settimana dopo – o qualche settiamana prima? – dall’allievo di Hilbert Max Dehn. In realtà quello che dovrebbe essere il filo conduttore del libro è la definizione dei fondamenti della geometria, a partire dallo scossone con la scoperta delle geometrie non eudlidee fino a giungere all’accorgersi che Euclide aveva dimenticato di elencare alcuni assiomi: quelli di ordinamento ma soprattutto quello di continuità, l’assioma archimedeo. Da li si scopre la differenza tra uguaglianza, congruenza ed equiscomponibilità, fino a giungere finalmente alla dimostrazione che la continuità e quindi la misurabilità non è necessaria nel piano, ma lo diventa nello spazio.
I temi esposti sono molto interessanti, soprattutto perché anche nei testi di storia della matematica sono tralasciati; però non mi è affatto piaciuto il modo in cui sono stati trattati. È chiaro che non esiste una via regia alla matematica, e non è certo colpa di Bartocci se i temi sono delicati: persino i matematici dell’Ottocento prendevano degli sfondoni. Però quello che ho chiamato “filo conduttore” è in pratica un gomitolo dove non si trovano i capi e il discorso si avvita spesso in digressioni che fanno perdere lo scopo principale, soprattutto se il libro non lo si legge tutto di un fiato.

Ultimo aggiornamento: 2012-10-06 07:00

_Visti da lontano_ (libro)

[copertina]Lo confesso. Venticinque anni fa mi ero comprato questo libro (Michele Serra, Visti da lontano, Mondadori – BUM 1987, pag. 156, lire 16000, ISBN 978-88-04-30033-5) dell’uomo che nasconde il suo doppio cognome (sarebbe Michele Serra Errante…) e raccoglieva i finti editoriali che l’allora giovinotto scriveva su Tango. Peggio ancora, me lo sono tenuto da parte, e ora me lo sono persino riletto, per vedere come reggeva al quarto di secolo passato e se i miei ricordi erano stati abbelliti dal tempo trascorso.
Diciamo che il giudizio attuale è molto più variegato di quello del .mau. del 1987. Alcuni dei pezzi presenti (quello di Natta in primis, ma anche Brera, Spadolini, Ronchey, Fallaci e De Crescenzo; persino Berlusconi, ricordando che ai tempi era solo il tycoon e non il politico, è stato tratteggiato bene) sono ancora godibili oggi, con il mio gusto per la satira e la parodia che si è affinato negli anni. In molti altri casi, però, devo riconoscere che Serra aveva voluto giocare troppo facile ed era caduto nel becerismo. Troppo semplice far parlare Toni Negri come l’ispettore Clouseau, o far fare il picci picci mucci mucci alla Carrà, o avere un Felice Ippolito chernobylato. Immagino che inventarsi ogni settimana un nuovo stile non sia stato così semplice, però secondo me una certa soglia di qualità non si sarebbe dovuta perdere.

Ultimo aggiornamento: 2012-09-29 07:00

_[mini]marketing_ (ebook)

[copertina] Non ho ben capito come mai nel marketing sembra tanto di moda proporre “tesi”, che secondo me sono l’equivalente dei pensierini che facevo alle elementari, o se siete più positivi di me si possono paragonare agli aforismi di cui ogni tanto si trovano raccolte in giro. Pensavo che le 95 tesi del Social Marketing Forum fossero un’idea 2012, e invece ho scoperto che già tre anni fa Gianluca Diegoli aveva scritto questo “[mini]marketing”, dal nome del suo blog, mettendo come sottotitolo “91 discutibili tesi per un marketing diverso”. (Gianluca Diegoli, [mini]marketing, Simplicissimus Book Farm 2008, pag. 56, ISBN 978-88-6369-002-6) Parlare di “numero di pagine” per questo libro, soprattutto per la versione in ebook, è sicuramente fuorviante: molto onestamente, l’introduzione spiega infatti che il testo è in tutto di ventiduemila caratteri, una tesi (una frase, insomma) per pagina, tesi che sono “un generatore di dubbi sul marketing e la comunicazione aziendale ai tempi della conversazione globale”. Questa meta-tesi la sposo pienamente: sulle tesi effettive (ma perché proprio 91? c’è qualche ragione mistica?) ho invece qualche dubbio in più. Diegoli ha come punto centrale la conversazione, che ovviamente è un notevole salto di qualità rispetto al marketing come lo si conosce che invece è un discorso monodirezionale. Concordo che non si può pensare di fare conversazione nello stesso modo in cui si faceva la pubblicità standard; ma questo non mi pare significhi che la pubblicità classica non possa più avere un senso. Mah, decidete da soli…

Ultimo aggiornamento: 2012-09-26 07:00

_La cupola del mondo_ (libro)

[copertina] L’Italia rinascimentale, e soprattutto Roma, è ben nota per essere patria di chissà quanti intrighi. Ma non sono in molti a vedere tali intrighi dal punto di vista artistico, o meglio dell’architettura. L’autore di questo libro (Sebastian Fleming, La cupola del mondo [Der Kuppel des Himmels], Editrice Nord 2012 [2010], pag. 587, € 18,69, ISBN 978-88-429-2006-9, trad. Paolo Scopacasa) racconta in un certo senso la storia della cupola di San Pietro, inframmezzata da quella della vita di Michelangelo Buonarroti. Almeno la base del romanzo storico è questa: ho riconosciuto vari aneddoti su Michelangelo che avevo orecchiato quando ero ragazzo e poi dimenticato. O se preferite il libro racconta l’eterna lotta di poteri nella Roma rinascimentale, iniziando con Leonardo, Bramante, Pico della Mirandola e il cardinal Giovanni de’ Medici in una setta, i Fedeli d’Amore, che vuole ricreare lo stile classico di costruzione a cupola rifacendosi nientemeno che al Tempio di Salomone e al suo architetto Hiram, in contrapposizione all’Archiconfraternita de Perfecti in Segreto che vuole mantenere l’ordine attuale contro tali infiltrazioni neopagane, e ha come uomo di punta prima il (a quanto ne so inesistente) cardinal Giacomo Catalanoe poi il cardinal Carafa, papa Paolo IV. Quando papa Giulio II Della Rovere vuole crearsi un mausoleo, l’ormai vecchio Bramante e il giovane Michelangelo propongono in modo indipendente di sostituire la vecchia basilica, creando una cupola a base quadrata. Poi i decenni passano, gli architetti e i papi muoiono, Roma viene saccheggiata, l’eresia luterana e il Concilio di Trento cambiano le cose… Non ne so abbastanza di architettura per capire come sono esplicate le idee; a volte il libro indulge però un po’ troppo in leziosismi che rallentano la potenza del racconto, ben tradotto da Paolo Scopacasa (che però a pagina 177 poteva anche chiamare Jacopo da Varazze e non da Varagine :) )

Ultimo aggiornamento: 2012-09-22 07:00