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Endo

Venerdì sera, per festeggiare il mio compleanno, siamo andati a cena al Tomoyoshi Endo, quello che probabilmente è stato il primo ristorante giapponese ad aprire a Milano. Il posto ha una posizione strategica almeno per noi che ci siamo andati a piedi, essendo a due passi dalla Stazione Centrale in via Fabio Filzi… Anzi, di per sé si ci può anche arrivare da via Victor Pisani, che poi è il vialone in stile impero che parte dalla stazione, visto che il ristorante sta all’interno di un cortile di quelli dove potrebbero girarci qualche film soft-horror.
Il posto era rumoroso in maniera incredibile, ma bisogna anche dire che era pieno di orientali il che in generale dovrebbe essere un segno di buona qualità del cibo. E in effetti, sia il sashimi maxi che ho preso io che il sushi special di Anna erano molto buoni, e anche il miso era accettabile per uno come me che odia zuppe e brodi. Il conto finale, compresa una bottiglia di Heineken, è stato di 50 euro, che per un giapponese a Milano non è affatto esagerato. Ricordate solo di andarci sul presto, perché alle 22:30 la cucina chiude.

Ultimo aggiornamento: 2006-05-07 17:56

L’anno dei dominatori

[copertina]Mettere insieme gli alieni, le SS norvegesi e la reincarnazione in un romanzo non è necessariamente una brutta idea. Però dipende da come la porti avanti. Qui (Ian Watson, L’anno dei dominatori [Mockymen], Urania Mondadori 1496 – marzo 2005 [2003], pag. 347, €3.60, ISSN 977-1120-528361-51496, trad. Cecilia Scerbanenco) si inizia con un prologo che va avanti fino a pagina 72 e che ho trovato davvero pesante, tanto che stavo meditando di lasciar perdere la lettura. Il prosieguo è fortunatamente migliorato, anche se la traduzione non ha certo contribuito: ad esempio a pagina 80 bastava leggere la frase che seguiva per riuscire almeno a chiedersi se “injuries” significhi proprio “ingiurie”, e ci sono vari altri punti in cui il testo mi suona troppo strano.

Ultimo aggiornamento: 2006-04-28 09:38

Edoardo II (teatro)

Dopo qualche problemuccio con charta.it per riuscire a recuperare i biglietti last minute, ieri sera siamo riusciti ad andare al Grassi per vedere quest’opera marlowiana. A proposito di last minute: vorrei sapere come il Piccolo decida di suddividere i posti tra quelli internet e gli altri, visto che da rete sembrava fosse strapieno mentre le ultime cinque file erano vuote, e vorrei anche sapere perché il biglietto costava 10 euro più 0.90 di prevendita, ma noi l’abbiamo pagato 12.45. C’è anche una post-prevendita?
Ma lasciamo perdere queste bieche considerazioni venali, e passiamo piuttosto all’opera, che potremmo riassumere in breve come “I PACS all’epoca dei Plantageneti”. Marlowe, genio maledetto morto non ancora trentenne, non è certo delicato come il suo contemporaneo Shakespeare: ci si ammazza che è un piacere. L’allestimento del Teatro Stabile dell’Umbria è molto bello, anche se ha scioccato parecchi degli habitué del Piccolo. Passi avere una bara sul proscenio, ma vedere come prima scena Edoardo II completamente nudo che va a prendersi la corona posta sulla bara non è proprio un inizio standard…
Danilo Nigrelli ha tra l’altro un dannato fisicaccio, ma tutta la compagnia è comunque ben piazzata fisicamente, anche perché la scelta della regia è stata di eliminare praticamente i costumi (no, non sono nudi! semplicemente hanno tutti dei lunghi vestiti grigio scuro, e delle specie di elmi in maglia), lasciare quasi sempre tutti gli attori in scena nascosti sullo sfondo giocando sulle luci che illuminano i protagonisti, e fare “cambi scena in corsa”, uniti a una specie di danza in alcune scene, e accelerare al parossismo il passaggio da una scena all’altra, quasi in stile spot pubblicitario. Anche gli inserti in latino e in gregoriano all’interno del testo accrescono quest’aria cupa che dà il suo bel fascino: le due ore e mezzo abbondanti (con intervallo) filano via che è un piacere. I duetti tra Edoardo e Gaveston-Marco Foschi sono poi favolosi.
Punti negativi? per quasi tutto il primo tempo, la colonna sonora di sottofondo era più che altro un rumore che sembrava di stare in metropolitana. Ma soprattutto c’è l’assassinio della grammatica italiana, per la precisione del congiuntivo. La traduzione di Letizia Russo l’ha praticamente abolito, e ogni volta che sentivo dire cose tipo “voglio che tu sei mio” sobbalzavo dalla sedia. Ognuno ha i suoi limiti nella sperimentazione.

Ultimo aggiornamento: 2006-04-25 18:03

<em>Max Bill</em>

Dopo il lauto pranzo pasquale con Anna e i suoi, abbiamo deciso di continuare la giornata in maniera acculturata: siamo così andati a Palazzo Reale a vedere la mostra su Max Bill. Data la nostra scarsa cultura non sapevamo nulla di questo svizzero che ha fatto l’architetto, il pittore, lo scultore, il designer, eccetera eccetera. Una volta scoperto dove si entra, cioè dal lato in fondo del palazzo e pagato il biglietto come al solito troppo caro (9 euro), la mostra ci ha riservato delle belle sorprese, accresciute dal fatto che non c’era nessuno – probabilmente perché tutti andavano a vedere “le donne nude”, leggasi l’altra mostra a Palazzo, dedicata ad Helmut Newton.
Bill ha conosciuto praticamente tutti quelli che contano, e prima di decidersi per il suo stile concreto-minimalista ha dipinto in svariati modi, come si vede nella prima sala. Quindi possiamo dirci certi che quello che fa è frutto di una scelta precisa. Diciamo che mettere assieme molti quadri piuttosto simili è forse un po’ pesante, ma nel mezzo si trovano opere assolutamente piacevoli, come “Sei linee della stessa lunghezza” e soprattutto le “Quindici variazioni su un tema”, che partono da un disegno puramente geometrico e poligonale per mostrare come dai punti ricavati si possono costruire varie forme sempre più o meno geometrizzanti ma completamente diverse tra di loro. Anche la parte della scultura è notevole, con forme spesso legate al nastro di Möbius – è anche vero che Bill ha iniziato la sua carriera come argentiere, e quindi non aveva grossi problemi a dorare le sue sculture. Infine per quanto riguarda la parte di designer: con la scusa che ha progettato lo “sgabello di Ulm”, finalmente le sale avevano un numero sufficiente di posti a sedere, che non erano nient’altro che file di questi sgabelli :-)
Giudizio complessivo: se come a me a voi piace questo tipo di arte, non potete mancare la mostra, che rimarrà allestita fino al 25 giugno (chiusura lunedì, tranne Pasquetta e il 1. maggio in cui resterà aperta), quindi per una volta avete tempo di andare a vederla!

Ultimo aggiornamento: 2006-04-16 21:38

Chiamatemi Kowalski. Il ritorno

All’ultima recita milanese, siamo riusciti a vedere Paolo “Little King” Rossi con il suo spettacolo 2006, che però, come dice il nome stesso, è una rivisitazione del primo spettacolo che lo rese noto al pubblico: Kowalski (per i curiosi, è il cognome di sua nonna. Da piccolo, Paolo avrebbe voluto chiamarsi così e non Rossi, e ci credo!) Alcuni pezzi sono quindi reperti del passato, più o meno noti tanto che potevo pronunciare le battute in contemporanea; altri sono stati rivisitati, oppure creati all’ultimo momento come tutti quelli sui risultati elettorali.
Paolo Rossi ieri ha affermato di avere l’influenza e 38 di febbre; non posso garantire sulla veridicità dell’affermazione, anche se si è indubbiamente ingarbugliato più di una volta uscendone fuori con un aplomb invidiabile, ma ad ogni modo l’abbiamo visto scoppiettante, a differenza dell’ultima volta. Come sempre lo spettacolo è finto-improvvisato, nel senso che sembra lasco ma è chiaro che è tutto preparato dalla A alla Z. La band musicale, con Syria come vocalist e i musicisti Emanuele Dell’Aquila, Alex Orciari e Marco Parenti, è un supporto ottimo.

Ultimo aggiornamento: 2006-04-14 14:55

Manualetto di campagna elettorale (libro)

[copertina]
Quando ho visto il nome dell’autore ho subito pensato che il libro fosse una parodia. Invece no: l’autore è il fratello minore di Cicerone, che gli scrisse questo libretto (Quinto Tullio Cicerone, Manualetto di campagna elettorale [Commentariolum petitionis], Salerno editore “Faville” 20062, pag. 276, € 14, ISBN 88-8402-515-X, trad. e note Paolo Fedeli) su come fare per riuscire a farsi eleggere console nel 64 a.C. Molti di questi consigli sono utilizzabili ancora oggi, e quindi non è un caso che il libro sia stato ripubblicato in prossimità delle politiche del 2006.
Il guaio è che questo è per l’appunto un “commentariolum”, quindi occupa poche pagine. Anche rimpolpandolo con il testo a fronte e aggiungendo un’introduzione forse più lunga del testo, occorreva ancora inserire del materiale e così possiamo trovare anche due testi del Vero Cicerone: la concisa Lettera ad Attico, scritta mentre pensava di entrare in campagna elettorale, e l’orazione In difesa di Murena, tenuta mentre era console e a favore di un altro candidato al consolato. Vabbè, anche questi testi sono a loro modo interessanti. Ma nonostante introduzione e note in gran copia, confesso di non essere riuscito a trovare uno schemetto conciso che spiegasse quali erano le cariche elettive nella Repubblica e soprattutto come avvenissero effettivamente le elezioni al consolato. Chissà, forse non sono state ritenute sufficientemente degne.

Ultimo aggiornamento: 2006-04-13 11:55

Il Caimano (film)

Alla fine ieri sono andato con Anna a vederlo. Nota: non avevo mai visto un film di Nanni Moretti. Commenti? boh.
Più precisamente, nel film ci sono vari livelli di lettura. Per quanto riguarda la storia di Silvio, non si può non essere d’accordo col Nanni Moretti stesso quando dice “chi queste cose le voleva sapere, le sa già”. Forse la parte iniziale dove il Caimano è interpretato da Elio de Capitani può dare qualche informazione in più ai disattenti, ma tant’è. La “storia intorno” mi è sembrata piuttosto scontata, con Silvio Orlando e Margherita Buy nei loro ruoli ormai abituali, e il solo Michele Placido a divertirsi a fare quello che in un certo senso è l’homo caimanizzatus. Lasciamo poi perdere la recitazione di Moretti nei panni del Caimano, di un ingessato da fare paura. Gli unici punti che mi sono piaciuti sono stati le battute sull’Italietta e sull’impossibilità di parlare seriamente di Berlusconi, e soprattutto la scena finale, che non mi aspettavo per nulla e che è davvero inquietante.

Ultimo aggiornamento: 2006-04-08 20:13

_Cryptonomicon_

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Ci sono libri in un certo senso di nicchia, nel senso che molte persone non li sopportano ma per una minoranza sono imprescindibili. Questo (Neal Stephenson, Cryptonomicon, Arrow Books 2000 [1999], pag. 918, Lst 8.99, ISBN 0-09-941067-2) ne è un esempio. La storia è a prima vista incomprensibile, con tre trame distinte – due che iniziano negli anni prima della Seconda Guerra Mondiale e una contemporanea – che iniziano a intrecciarsi in un modo assolutamente barocco, con personaggi che appaiono per caso all’inizio del libro che alla fine si scoprono essere collegati agli altri personaggi attraverso ben meno dei sei gradi di separazione di cui abbiamo sentito parlare così tanto; il tutto su una base di romanzo storico con le scoperte di Turing e l’invenzione del calcolatore digitale e i ricordi di guerra. Gli altri due temi che pervadono il libro sono la “geekiness”, che qua è ovviamente considerata una qualità positiva, e la paranoia, rappresentata solitamente attraverso la crittografia. Il Cryptonomicon, il cui nome è chiaramente modellato sul lovecraftiano Necronomicon, è il libro dove tutti i crittografi fino alla seconda guerra mondiale aggiungevano i risultati a cui erano pervenuti. Nell’universo parallelo del libro, abbiamo poi Finux al posto di Linux, ETC invece che IBM, Ordo rispetto a PGP… un gioco nel gioco.

Ultimo aggiornamento: 2014-04-21 16:19