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Kandinsky e l’astrattismo in Italia (mostra)

Quasi in zona Cesarini (la mostra chiuderà tra due settimane) stamattina siamo stati a Palazzo Reale a vedere la mostra Kandinksy e l’astrattismo in Italia – 1930-1950.
Prima cosa: la mostra è favolosa. Nonostante l’allestimento sia stato curato anche dalla Fondazione Mazzotta, che storicamente tende a lavorare più sui disegni che sui quadri, questa volta ci sono davvero tante opere, e soprattutto Kandinsky è davvero ben rappresentato nella sua fase astrattista. Né ha senso lamentarsi della mancanza di opere del suo primo periodo, visto che Luciano Caramel, il curatore della mostra, l’ha costruita in maniera assolutamente coerente. Al limite ci si può lamentare della quantità di opere esposte complessivamente, che è davvero enorme e può indurre a crisi di rigetto.
Altra cosa spettacolare è l’illuminazione. Quando si entra nella prima sala e si sta davanti a Composizione VII, il primo pensiero è “ma è una riproduzione?” Mi sono lamentato tante volte di come nelle mostre fosse impossibile vedere i quadri per colpa di tutti i riflessi: beh, questa volta non è affatto stato così. L’unico appunto da fare è che per gli astrattisti italiani le uniche informazioni che si avevano era la loro biografia, e che forse qualche nota in più sarebbe stata utile: e poi non ho ben capito perché mai veniva scritto che “esponevano alla Biennale” (al presente) anche ben dopo la loro morte. Vezzi di Caramel?

Ultimo aggiornamento: 2007-06-10 19:01

_Aristide – ll mondo alla roversa_ (teatro)

Siamo a fine stagione, e anche a teatro si fanno i saldi. Siamo così andati con un biglietto last minute a vederci… le marionette. Al Piccolo c’è infatti questa tradizione della Compagnia Marionettistica Carlo Colla e figli – al momento c’erano tra gli altri Carlo II Colla e Carlo III Colla – che spesso fanno spettacoli per bambini, ma a giugno si sono cimentati con queste due opere goldoniane, in scena fino al 10 giugno, non esattamente con un pienone di pubblico.
Inizio subito col dire che le opere di per sé sono serissime, anche se leggermente rimaneggiate, e mostrano il genio di Goldoni. Aristide è una presa in giro del Temistocle di Metastasio, musicata da Vivaldi; l’ambientazione sarebbe in teoria nell’antica Persia, con il re Serse, ma i due servi non sono altri che Arlecchino e Colombina! Giusto per dire che la contaminazione dei generi non è nata negli ultimi cinquant’anni. Il mondo alla roversa invece ha le musiche di Salieri, ed è una commedia dove si immagina che a Venezia le donne abbiano preso il comando e costringano gli uomini a essere loro schiavi d’amore… fino a che Ferramonte consiglierà questi cicisbei su come rimettere le cose a posto.
Le marionette sono semplicemente stupefacenti. Ci sono scene in cui due personaggi si scambiano tra di loro una spada, e non ho ancora capito come facciano. Nella scena iniziale de Il mondo alla roversa, ambientata a San Marco, ci sono due piccioni che svolazzano qua e là. Le scenografie sono perfette, e tra l’altro con un gioco di prospettiva incredibile: quando i marionettisti sono scesi a prendersi i convinti applausi del pubblico, dovevano stare accucciati per non spaccare tutto.
Chi volesse provare l’ebbrezza ha anche la prossima settimana a disposizione, con nientemeno che Il giro del mondo in ottanta giorni!

Ultimo aggiornamento: 2007-06-08 20:54

Abuyon non cadrà (libro)

[copertina] La mia fama di spietato recensore di libri si sta sempre più diffondendo. Ugo mi ha così spedito questo libro di fantasy (Michele Lerda, Abuyon non cadrà Araba Fenice 2007, pag. 156, € 13, ISBN 9788886771771) chiedendomi di leggerlo e dare un parere.
La storia è molto interessante, e presenta l’enorme vantaggio – almeno per me – di essere fantasy senza riciclare Harry Potter o Il signore degli anelli. Le protagoniste sono infatti due gatte, e il mondo è parallelo a quello degli umani, con qualche punto di contatto come appunto Abuyon. Le trovate che si trovano man mano nel racconto sono spesso inaspettate, come ad esempio il linguaggio Fusa: la storia scorre bene. Detto questo, e tralasciati un paio di refusi (“accattate” invece che “attaccate” a pagina 35, e “I” invece che “Il” a pagina 149), e il piemontesismo “solo più”, devo aggiungere che quello che mi pare mancare nel libro è una visione d’assieme. L’autore ha affermato di averlo scritto di getto, e riguardato solo alla fine: caratteristica che ha in comune con parecchi grandi scrittori dell’Ottocento, ma che porta inevitabilmente a non avere personaggi disegnati a tutto tondo, con un loro carattere ben definito. Per dare un esempio, Milù parte come gatta sempre pronta a mangiare, e poi non la si vede praticamente più interessata al cibo… anche in un romanzo di iniziazione è troppo. Anche alcuni artifici, come quello degli alter ego, sono stati usati un po’ troppo spesso come metodo per togliere le castagne dal fuoco quando la storia si ingarbugliava troppo.
Ma in definitiva quest’opera prima del nostro Camilleri alla rovescia (non solo perché è della Provincia Granda…) lascia ben sperare per il futuro.

Ultimo aggiornamento: 2007-06-04 21:14

Specchio+

Con una decina di giorni di ritardo, racconto rapidamente le mie impressioni sulla nuova incarnazione dell’ex-settimanale – ora mensile, con il “+” nel nome che dovrebbe indicare una miglioria – che esce come allegato de La Stampa l’ultimo sabato del mese. Il costo è di trenta centesimi oltre il prezzo del giornale, restando allineato con gli omologhi inserti dei quotidiani concorrenti: c’è però la differenza che mentre il vecchio Specchio era in abbinamento facoltativo in Piemonte, Val d’Aosta e Ligura, cioè nel bacino storico della diffusione del giornale, adesso mi pare che lo debbano comprare anche loro. Le altre differenze esteriori sono nel formato, che è più grande di prima, e nel dorso, che è di nuovo in formato libro, e non semplicemente spillato. Per quanto riguarda il contenuto, secondo la copertina e l’editoriale il supplemento dovrebbe essere dedicato a “innovazione e creatività”, parole che fanno tanto moderno, e tutto il supplemento dovrebbe avere un respiro più ampio di quello del vecchio settimanale. In pratica? Beh, innanzitutto c’è una quantità incredibile di pubblicità. Sulle 264 pagine del supplemento, ce ne sono 105 che sono réclame per così dire “ufficiali”: quindi escludendo redazionali e liste di oggetti trendy, che in fondo sono sempre pubblicità. Sul resto, mancano le rubriche, che comunque erano già state sfrondate negli ultimi mesi di Specchio, e gli articoli sono sempre più visivi e meno testuali. Capisco che fare dei veri approfondimenti non è così facile, ma non riesco esattamente a capire l’utilità che avrei nel leggere questo supplemento.
Un’ultima curiosità: la redazione di Specchio+ si trova a Milano, in piazza Cavour. Ormai Torino conta sempre di meno.

Ultimo aggiornamento: 2007-06-04 15:57

Com’è bella la matematica. Lettere a una giovane amica

[copertina] (se vuoi una mia recensione più seria, va’ su Galileo!)
Hardy, nella sua Apologia di un matematico, si lamentava che ormai alla sua età non potesse più fare matematica ma si dovesse limitare a farla conoscere. Ian Stewart apre questo suo libro (Ian Stewart, Com’è bella la matematica [Letters to a Young Mathematician], Bollati Boringhieri – Nuova Cultura 2006 [2006], pag. 157, € 17, ISBN 9788833917146, trad. Benedetta Antonielli d’Oulx) con questa citazione, e subito aggiunge qualcosa tipo “beh, adesso le cose sono cambiate: si può fare matematica fino a tarda età, e comunque divulgarla è bellissimo”. In effetti, questo breve libro vuole essere l’aggiornamento al ventunesimo secolo dell’ormai classico testo di Hardy, partendo dalla demisoginizzazione del testo – le lettere sono a una giovane fanciulla, seguita dalle scuole superiori alla sua prima cattedra accademica – e arrivando alle spiegazioni della vita attuale di un matematico di professione.
Di per sé l’idea è ottima, e sicuramente alcuni capitoli permettono anche al profano di avere un’idea del perché un matematico si sente tale – ad esempio, la parte sulle dimostrazioni come la narrazione di una storia è davvero interessante. Inoltre non ci sono formule, e quindi non dovrebbe spaventare il lettore. Peccato – a parte per il prezzo – che il libro abbia svariati refusi, e soprattutto alcuni punti in cui la matematica descritta sia sbagliata: Fermat ha dimostrato il suo teorema nel caso n=4, e l’enunciato del teorema di Bernstein è errato. È vero che il profano non si preoccuperà più di tanto della cosa, ma un ulteriore controllo sarebbe stato utile.

Ultimo aggiornamento: 2007-06-04 12:12

TIMER (mostra)

A una settimana dalla sua chiusura, sono andato alla sede staccata della Triennale in Bovisa a vedere la mostra Timer, o per la precisione la versione 2007 di quella che secondo gli organizzatori dovrebbe “affermare il ruolo di Milano come uno dei potenziali riferimenti europei dell’arte dei nostri giorni”. Da casa mia sono solo dieci minuti in auto, ma che mi hanno permesso di fare tante scoperte: ad esempio che per arrivare in via Lambruschini non si passa dalla Bovisa ma da via Mac Mahon, e che si può rischiare un tamponamento a catena perché un sessantenne idiota se ne sta in bicicletta sul lato sinistro della carreggiata del cavalcavia Bacula e improvvisamente decide di spostarsi sulla destra. Io in realtà non l’avevo nemmeno visto, ho solo notato un’inchiodata generale cui ho contribuito anch’io…
Ma passiamo alla mostra. Eravamo in quattro: oltre a me e Anna c’era infatti copiascolla e una sua amica piacentina. E siamo anche entrati con il biglietto ridotto usando alcune delle mille tessere di copiascolla. Lo spazio espositivo è molto bello, ampio e luminoso; per quanto riguarda le opere, si sa come funziona l’arte contemporanea: c’è della roba onestamente bella, nel senso che ti dice qualcosa, e c’è tanta fuffa, accuratamente nascosta dalle didascalie che mostrano un uso non comune del dizionario dei sinonimi e contrari, per riuscire a dire senza dire. Ma il massimo è sicuramente stato raggiunto nel pannello che apre la mostra e spiega il suo contenuto. Non so chi tra Davide Rampello, Gianni Mercurio e Demetrio Paparoni si sia cimentato in quella prosa: il signore in questione è però riuscito a scrivere un testo che, tradotto in italiano corrente, dice più o meno “L’undici settembre è un punto di svolta anche nell’arte: gli artisti mostrano questa svolta facendo esattamente le stesse cose”. Un mito.
Il sito è molto bello visivamente, ma una chiavica nella fruizione: scordatevi di usarlo se non avete una risoluzione almeno 1024*768 e tanta fantasia.

Ultimo aggiornamento: 2007-06-03 19:44

Il sonno degli dei (libro)

[copertina] In questo vecchissimo Urania – ha il prezzo ancora in lire! – che mi è capitato tra le mani (Jack McDevitt, Il sonno degli dei [The Engines of God], Urania n.1340 – 1998 [1994], pag. 488, Lire 7000, ISBN 9771120528002, trad. Grazia Alineri) il filo principale della storia è la xenoarcheologia, insomma la versione dell’archeologia applicata ai mondi diversi dal nostro. DeVitt è abbastanza bravo a provare a immaginare quali manufatti potrebbe fare una civiltà aliena, e il mistero delle città finte ha anche un suo certo qual interesse. Però il risultato finale mi è sembrato piuttosto deludente, in un certo senso senza né capo né coda, come se il libro fosse stato scritto in vari pezzi e nessuno si fosse messo a rileggerlo tutto di un fiato per vedere se il puzzle si ricombinava bene; e alcuni dei pezzi “pensierosi” – nel senso che dovrebbero spiegare cosa il protagonista sta pensando – sono francamente noiosi.

Ultimo aggiornamento: 2007-05-25 10:25

Cattedra del dialogo

La Cattedra del dialogo era stata istituita dal cardinal Martini per un confronto tra cattolici e laici sul cristianesimo. Adesso (vedi volantino in pdf) i tempi cambiano (anche se la scorsa settimana in effetti c’era Gianni Vattimo) e ieri sera c’è stato un confronto tra il teologo luterano Jürgen Moltmann e il nostrano don Franco Giulio Brambilla, preside della Facoltà Teologica dell’Italia settentrionale. Visto che il buon Franco Giulio ha celebrato il mio matrimonio, ho pensato bene di andare ad acculturarmi e andare a sentire la conferenza.
Ho così scoperto l’esistenza dell’Auditorium San Fedele, riempito da un 400 persone – parecchi in bicicletta, eravamo tutti lì a cercare pali per legarla… – e soprattutto ho imparato un po’ di cose di teologia sulle quali non mi ero mai soffermato, come il fatto che Dio, per quasi tutta la patristica (tranne Origene che però è sempre stato in odore di eresia) non può soffrire in quanto essere perfetto, e quindi la passione di Cristo non può essere anche divina ma solo umana, e perde il potere di redenzione. Il tutto si trova con più ampi particolari nel suo libro “La Passione di Dio”. La relazione (letta in inglese, con il testo in italiano distribuito al pubblico) è stata parecchio interessante. Non ho capito bene poi gli intermezzi al pianoforte di Gaetano Liguori (non che fossero brutti, anzi; è proprio che mi sembravano fuori tema). La serata è poi proseguita con le domande (in italiano) del Brambilla, e dalle risposte (in tedesco, tradotte dal pastore Ulrich Eckert) di Moltmann. Confesso che riuscivo a capire meglio le risposte delle domande, persino prima della traduzione… non so se è perché è più facile “parlare difficile” in italiano che in tedesco, oppure se Moltmann sia più abituato a parlare a persone magari acculturate, ma non esattamente esperte in teologia.
Commento finale: non so quante conferenze di questo tipo riuscirei a reggere, ma una ogni tanto non è che faccia male!

Ultimo aggiornamento: 2007-05-22 13:55