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Il cannocchiale d’ambra (libro)

In questo terzo e ultimo libro della trilogia della Materia Oscura (Philip Pullman, Il cannocchiale d’ambra [The Amber Spyglass], Salani 2003 [2000], pag. 451, € 16, ISBN 9788884513298, trad. Francesco Bruno) tutti i fili degli altri due libri si intrecciano in un’opera di respiro davvero enorme, che parte dalla fine di Dio per arrivare all’ingresso nell’età adulta dei due ragazzi protagonisti, Will e Lyra. L’eterna lotta tra il bene e il male segna un punto topico, e come si era già intuito nei libri precedenti il male è anche la religione organizzata e gerarchica, che nel mondo di Lyra è ancora più opprimente. Ma a parte questo abbiamo echi di non so quante fonti diverse: un viaggio nell’Ade, le Arpie, richiami evangelici e biblici, più immagino tutti i riferimenti a William Blake e John Milton che io mi sono perso. Ma forse i pensieri che restano più impressi sono il tema del distacco, onnipresente nel testo; la coscienza che nasce da sola, un po’ come secondo Hofstadter in I Am a Strange Loop, e il riconoscere che nessun essere vivente può conoscere tutto, e che quindi ciascuno di noi ha bisogno degli altri. Ottima la traduzione.

Ultimo aggiornamento: 2007-09-05 09:52

The Beatles – la vera storia (libro)

[copertina] Uno avrebbe anche il diritto di dire basta alle biografie più o meno autorizzate dei Beatles. Non per altro, ma ne sono state pubblicate troppe. E invece eccoci qua con l’ennesima, anzi la biografia come recita il titolo originale. (Bob Spitz, The Beatles – la vera storia [The Beatles: The Biography], Sperling & Kupfer – I Fuoriclasse 2006 [2005], pag. 660, € 29, ISBN 9788820041618, trad. Ira Rubini). Dal punto di vista storiografico, nulla da eccepire: oltre alle fonti già esistenti, Spitz ha condotto una serie impressionante di interviste, e la sezione “note e riferimenti” è di un corposo da fare paura. Nel libro si trovano anche parecchie informazioni inedite, soprattutto sul periodo prima della Beatlemania, addirittura a partire da prima della nascita dei Fab Four. Alcuni dei miti relativi vengono demoliti a suon di fatti. Però… L’impressione che ho avuto nella lunga lettura è che Spitz abbia dei pre-giudizi (Paul sempre affarista, John il puro ma anche il più facile ad essere traviato, la perfida Yoko, e così via) e non si sia curato di nasconderli. Inoltre gli ultimi anni, 1968-70, sembrano essere messi giù di fretta, forse perché si era spaventato dalla mole del libro. La traduzione è scorrevole, ma è anche incorsa in diversi svarioni. Ad esempio, a pagina 189 le “novelties” non sono le “novità”; più indietro, “you’re welcome” in risposta a un ringraziamento non è esattamente “sei il benvenuto”; a pagina 515, l'”ingenuity” è tutto meno che ingenuità.

Ultimo aggiornamento: 2007-08-31 08:48

La lama sottile (libro)

[copertina] Secondo volume della trilogia della Materia Oscura, questo libro (Philip Pullman, La lama sottile [His Dark Materials II: The Subtle Knife], Salani 1997 [1997], pag. 292, € 13, ISBN 9788884511836, trad. Alfredo Tutino) riprende i temi de La bussola d’oro e li porta ancora più avanti verso i temi del miltoniano Paradiso Perduto… un personaggio si chiama adirittura Giacomo Paradisi! Per dirla in maniera un po’ più chiara, il tema di base è la lotta dell’Uomo, armato solo del suo libero arbitrio contro l’Autorità (chiamatela Dio, se volete). In questo volume la lotta non è ancora iniziata: lord Asriel, dopo avere scoperto alla fine del libro precedente come creare un ponte tra i vari mondi paralleli, sta radunando un’armata. Ma questa storia resta solo sullo sfondo: qui continuiamo a seguire Lyra che si ritrova prima in un mondo intermedio infestato dagli Spettri, che rubano l’anima agli adulti, ma non possono toccare i bambini; e poi finisce nella nostra Terra, dove incontra un altro ragazzino, John Parry, che sta cercando suo padre sparito chissà dove dodici anni prima. I fili tra i due mondi si intrecciano sempre di più, anche per mezzo di un coltello davvero speciale, appunto “la lama sottile”, che permette di tagliare delle porte tra i vari universi… La storia è sempre avvincente, anche se un po’ più sfilacciata: spero che tutto torni chiaro col terzo volume. Peccato, almeno per me, che muoiono anche dei “buoni”; come in ogni libro serio, del resto. La traduzione è sempre ottima, anche se il “registro texano” stavolta si è perso.

Ultimo aggiornamento: 2007-08-30 09:05

_Il visitatore che non c’era_ (libro)

[copertina] Fredric Brown per me è sempre stato un autore di fantascienza. Tra i miei preferiti, tra l’altro, visto che il suo stile scanzonato e assurdo permette di divertirsi anche se parla di omini verdi o entità similmente improbabili come in Assurdo universo. Ma nella sua produzione Brown è anche stato un giallista, e questo libro (Fredric Brown, Il visitatore che non c’era [Night of the Jabberwock], Polillo – I Bassotti novembre 2003 [1950], pag. 245, € 11.90, ISBN 9788881541874, trad. Tracy Lord) ne è un esempio preclaro. Il cinquantatreenne Doc Stoeger, quasi un alter ego di Brown, ha molte passioni: il whisky, gli scacchi, Lewis Carroll e il giornalismo. È infatti il direttore e giornalista unico del Clarion News, un settimanale di cronaca locale della sua cittadina dove una notizia come la pesca di beneficenza della locale parrocchia può tranquillamente finire in prima pagina. Il cruccio maggiore di Doc è per l’appunto non potere mai avere un’edizione sensazionale del suo giornale… fino alla notte narrata nel libro, dove capitano tante di quelle cose che sarebbero bastate per dei mesi. Il tutto parte dalla visita di un ometto dall’improbabile nome di Yehudi Smith, l'”omino che non c’è” carrolliano, che lo invita a una riunione segreta di appassionati…
Prima di darvi notizie false e tendenziose, mi affretto a dire che il giallo in quanto tale è deboluccio, se ho scoperto l’assassino persino io; e che tutto il contesto è così da America rurale di fine anni ’40 che potrebbe non piacere; però le pagine scorrono che è un piacere, aiutate dall’otima traduzione – anche se per un carrolliano un po’ imbastardito come me trovarsi i versi tradotti lascia parecchio perplessi.

Ultimo aggiornamento: 2018-05-04 14:51

Gli ori dei cavalieri delle steppe (mostra)

Questo weekend è stato particolarmente intenso dal punto di vista cultural-scarpinatorio. Dopo l’opera, infatti, ci siamo fermati a Trento: abbiamo fatto una passeggiata di due orette scarse in (tarda) mattinata, inframmezzata da una buona polenta alla malga Stramaiolo, e poi, prima di prendere il treno per Milano, ci siamo fermati a vedere la mostra Gli ori dei cavalieri delle steppe, che si tiene fino al 4 novembre presso il castello del Buonconsiglio. La mostra contiene una serie di reperti, per la maggior parte provenienti dai musei dell’Ucraina, sulle popolazioni delle steppe euroasiatiche, quelli che da noi sono stati chiamati Cimmeri e Sciti, prima, Sarmati poi, e infine Avari e Unni, e che hanno come denominatore comune il fatto di essere stati nomadi e non stanziali, e di usare i cavalli quasi come propria estensione.
Se devo essere sincero, avevo trovato piu interessante la mostra sui tesori afghani. Qua ci sono dei bei reperti, e le informazioni collaterali sono sicuramente molto ampie, oltre che essere in tre lingue (italiano, inglese e tedesco, chiaramente); però la scelta di suddividere le sale per temi, e non per popolazioni o per periodo storico – salvo l’eccezione della parte cristiana, ma questa è di sei-sette secoli successiva a tutto il resto – rende difficile farsi un quadro complessivo di cosa è successo. È anchevero che quelle sono popolazioni nomadi, ma l’Ucraina è comunque grande, e mi sa tanto che siano stati messi insieme oggetti da posti piuttosto lontani. Paradossalmente la sala che mi è piaciuta di più è stata la prima, senza reperti e che raccontava di quando quei popoli non erano ancora nomadici ma stanziali: un caso molto particolare, visto che in genere l’evoluzione delle civiltà avviene in senso opposto.
Ultima nota: per un handicappato in carrozzina la visita è assolutamente impossibile. Troppi livelli diversi nel castello, e l’impossibilità anche solo di pensare ad ascensori o cose del genere.

Ultimo aggiornamento: 2007-08-26 22:27

_Il Barbiere di Siviglia_ (opera)

Beh, diciamo che la giornata non è stata delle migliori. Già io non stavo bene, e alle otto di sera a un certo punto mi è venuta una serie di brividi che non riuscivo più a muovermi. Poi siamo scesi in ritardo da Trento. Abbiamo sbagliato strada per andare a trovarci con gli amici che hanno casa fuori Verona – e io stavo troppo male per dire “al diavolo la cena, lasciamo qua la macchina che siamo già a Verona, inutile andare avanti e indietro”. Il sistema semaforico veronese è altamente pessimizzato. I parcheggi sotterranei erano tutti pieni, e posti in superficie vicino all’Arena non ce n’erano. Come risultato, siamo arrivati con mezz’ora di ritardo, perdendoci tutti i pezzi più famosi e dovendo vedene il primo atto dalla piccionaia. Niente male, visto che i nostri biglietti, ancorché scontati, venivano 75 euro; ma la colpa era nostra, quindi non recrimino affatto.
Detto tutto questo, passiamo all’opera di per sé, anzi no; due parole sull’Arena. Non c’ero mai stato, e devo dire che fa un bell’effetto, soprattutto se come ieri non pioveva e gli spalti erano belli pieni (le ultime file delle poltrone in platea no, a dire il vero: non so se una politica di prezzi last minute potrebbe aiutare, ma mi sa che non gliene importi più di tanto). Però vedere fuori le scene delle altre opere tutte accatastate che sembrano essere pronte per la discarica non è un bello spettacolo, dovrebbero pensarci su.
L’allestimento era “nuovo”, diceva la locandina. Non saprei giudicare la validità di queste enormi rose poste sopra delle siepi, a loro volta posizionate quasi come labirinto che ogni tanto veniva spostato – e questo dalla piccionaia si vedeva molto bene – però posso dire che hanno fatto le cose in grande: alla fine del primo atto ci saranno state quasi cento persone in scena. Oltre ai cantanti, c’erano infatti una quarantina di soldati, e più di venti ballerini. Di questi ultimi confesso di non avere capito l’utilità, se non per riempire le due estensioni laterali del palco; per quanto riguarda le comparse che facevano i soldati, ho trovato divertente uno che nell’intervallo era uscito fuori dal teatro con qualche suo compare e, tirata fuori una macchina fotografica digitale, gli ha detto “Aho’, immortalami!” Essendo Rossini, l’opera è ovviamente buffa: non so però se certi momenti umoristici non cantati sono stati aggiunti dal regista, oppure sono già presenti nella partitura originale. Sicuramente i fuochi d’artificio alla fine sono un’aggiunta moderna, che però stava molto bene.
Della qualità dei cantanti non parlo, perché non ci capisco nulla. Ho comunque notato che già non riesco in genere a capire una voce lirica femminile; il fatto che Rosina non fosse italiana ha ancora peggiorato la situazione, e ho subito perso ogni speranza di comprendere i suoi gorgheggi. Fortunatamente Almaviva, Figaro e Bartolo avevano una dizione molto più chiara, cosa che è abbastanza utile in un posto senza possibilità di mostrare sopratitoli. Mi chiedo anche come faccia uno come Franco Vassallo a cantare come Giorgio Germont nella Traviata un giorno, e come Figaro il giorno successivo: complimenti.
Ultima nota di demerito sul pubblico. Lasciamo perdere quelle che arrivano con tacco sette e scoprono che forse non era il caso: magari la volta successiva impareranno. Ma c’è di peggio. D’accordo, la rappresentazione è finita a mezzanotte passata. Posso capire che qualcuno avesse dei problemi, e dovesse partire in fretta. Ma non credo che la quantità di gente che ha iniziato a sciamare fuori prima ancora che i cantanti uscissero per gli applausi fosse tutta in così gravi ambasce; soprattutto la tipa davanti a noi che si è anche lamentata a voce alta chiedendosi perché la costringessero a uscire per quelle scalinate cosi ripide al buio, e non accendessero le luci. Ecco: a una tipa così non credo che riuscirebbe a entrare in testa il concetto che se le luci sono ancora spente, magari un motivo c’è.
(ah: a parte la stanchezza, alla fine dell’opera ero tornato perfettamente in forma. Merito dell’Arena o di Rossini?)

Ultimo aggiornamento: 2016-10-29 18:59

<em>Sophie Germain – Una matematica dimenticata</em> (libro)

[copertina] (se vuoi una mia recensione più seria di questo e del precedente libro, va’ su Galileo!)
Come per il libretto su Galois, anche qui (Laura Toti Rigatelli, Sophie Germain – Una matematica dimenticata, Archinto – Le mongolfiere 2007, pag. 77, € 9, ISBN 978-88-7768-486-8) abbiamo la storia di un matematico attraverso le sue lettere. No: in questo caso si parla di una matematica: Sophie Germain, una delle prime donne a riuscire ad ottenere una certa fama nelle scienze… nemmeno troppa, a dire il vero, visto che non credo che la conosciate in molti ed è stata financo “casualmente” dimenticata quando si è trattato di ricordare su una placca della torre Eiffel tutti gli scienziati il cui lavoro ha permesso la costruzione del monumento. Purtroppo la realizzazione pratica è molto inferiore. Le lettere sono state messe in ordine casuale – quelle senza data, anche se anteriori, sono lasciate per ultime – e soprattutto manca quel nonsoché che ti permette di sentire la persona come reale. Perlomeno c’è un utile glossarietto con la spiegazione di chi sono i matematici i cui nomi si incontrano nelle lettere riportate; però rimane un senso di dispiacere per quella che sarebbe potuta essere un’ottima occasione per fare vedere al grande pubblico che la matematica non si declina solo al maschile.

Ultimo aggiornamento: 2007-08-24 10:23

_Évariste Galois – Morte di un matematico_ (libro)

[copertina] La breve vita di Galois è stata molto romanzata, probabilmente perché i matematici volevano fare vedere che uno dei loro poteva anche pensare a qualcosa di diverso dai numeri. Non mi aspettavo quindi più di tanto da questo libro (Paolo Pagli e Laura Toti Rigatelli, Évariste Galois – Morte di un matematico, Archinto – Le mongolfiere 2007, pag. 93, € 12, ISBN 978-88-7768-488-2), ma sono rimasto piacevolmente sorpreso. La prima parte, con il racconto della vita del giovane francese, ha infatti superato la solita parte aneddotica che si legge di solito per dare un respiro piu ampio alle vicende e inserire meglio la sua vita nella Francia del dopo Restaurazione; ma soprattutto la seconda parte, contenente alcune lettere scritte o ricevute da Galois, è davvero interessante per capire meglio la sua personalità. Molto pratica la biografia del matematico nelle ultime pagine, e probabilmente indispensabile il copioso numero di note al testo. Non preoccupatevi, però: di matematica non ce n’è per nulla!

Ultimo aggiornamento: 2007-08-24 10:21