Archivi categoria: sfrucugliate

La SIAE e l’inno di Mameli

Premetto che per quanto mi riguarda se la SIAE andasse a fuoco arriverei con una tanica di benzina. Detto questo, vorrei aggiungere due parole sul fattaccio la cui onda lunga ieri sera è arrivata anche sui blog: il presidente del Consiglio comunale di Messina, Giuseppe Previti, che ha scritto a Napolitano lamentandosi perché la SIAE esige i diritti per le pubbliche esecuzioni dell’inno di Mameli. Ora nella nostra simpatica nazione non si può mai escludere nulla, e posso anche immaginare che qualche solerte funzionario abbia provato a estorcere un po’ di soldi che servono sempre alle disastrate casse dell’associazione. Però credo che la storia sia molto più burocraticamente semplice; provo così a raccontare un po’ di cose come non le vedrete in giro da molte parti.
Il testo del Canto degli Italiani scritto da Goffredo Mameli (morto nel 1849) e la melodia composta da Michele Novaro (morto nel 1885) sono nel pubblico dominio, dato che «I diritti di utilizzazione economica durano per tutta la vita dell’autore e fino a 70 anni dopo la sua morte» e «trascorso tale periodo l’opera cade in pubblico dominio». (Tutti i virgolettati sono presi dal sito stesso della SIAE, non mi invento nulla). Un’opera caduta nel pubblico dominio non si fa affatto male, al limite fa male alle casse SIAE: infatti «L’opera caduta in pubblico dominio è liberamente utilizzabile senza autorizzazione e senza dover corrispondere compensi per diritto d’autore». Tutto bene, allora? No. La frase seguente nelle FAQ della SIAE è infatti «Ciò purché si tratti dell’opera originale e non di una sua elaborazione protetta.»
A questo punto i miei ventun lettori, che sono molto svegli, hanno capito cosa sta succedendo. È evidente che non ci sono registrazioni ufficiali dell’Inno di Mameli ai tempi della Repubblica Romana; quando così si suona l’inno all’inizio di una manifestazione si prende una sua elaborazione (detto in altro modo, un disco o un MP3) e subito l’avvoltoio… ehm, il funzionario SIAE arriva a chiedere la sua libbra di carne. Tutto legalissimo. Ma deve per forza essere così?
La soluzione, dal mio punto di vista, è semplicissima. Sono ragionevolmente certo che la Presidenza della Repubblica ha la possibilità di pagare un’orchestra per una registrazione ufficiale dell’inno, e nel caso voglia anche le parole possa anche pagare un coro; tanto la parte istituzionale è solo la prima strofa che non è così lunga e a volte riesce a essere memorizzata persino da un calciatore. A questo punto il Quirinale prende la registrazione (di cui ha acquistato i diritti economici di elaborazione), rinuncia esplicitamente ai suoi diritti e la lascia a disposizione di tutti i cittadini senza alcuna distinzione. Sarebbe preferibile porla nel pubblico dominio, ma anche solo una cessione a titolo gratuito dei diritti di esecuzione sarebbe sufficiente. Tutti quelli che vogliono eseguire l’inno lo prendono, lo suonano e salutano l’ominio SIAE.
Se io fossi un consigliere della Presidenza della Repubblica andrei anche oltre, e troverei un modo per rendere liberamente disponibile tutto il materiale istituzionale pubblicizzando nel mentre la cosa: ma sono un utopico utopista. Però questo primo passo non è così difficile, e renderebbe (quasi) tutti felici: no?
Aggiornamento: (12:15) Specifico meglio il concetto di “elaborazione protetta”. Le parole dell’inno sono nel pubblico dominio. La melodia dell’inno (quello che si canta, insomma: re – re mi re, si – si do si, e così via) è nel pubblico dominio. Un qualunque arrangiamento del brano, che sia suonare l’inno in versione orchestrale, reggae, heavy come fece Jimi Hendrix con l’inno americano, è una elaborazione. A questo punto l’elaborazione è una cosiddetta “opera derivata” e gode degli stessi diritti dell’opera originale; se io pubblico uno spartito con il mio arrangiamento dell’Inno, posso chiedere i diritti di esecuzione. Questa è la definizione di protetta.

Ultimo aggiornamento: 2010-04-27 10:03

Grande distribuzione: più concentrata di quanto sembri

Tutto è partito da questa notizia sul sito della BBC, che segnalava come il gruppo Carrefour aveva chiuso il primo semestre 2009 in perdita a causa di operazioni straordinarie in Italia. Che esistesse Carrefour Italia lo sapevo, che i supermercati GS siano comunque del gruppo Carrefour lo sapevo pure, ma la storia non finisce lì.
A quanto sono riuscito a scoprire, già nel 2000 Carrefour era entrata con un 20% nel capitale di Finiper (la società che gestisce i supermercati Iper); Finiper a sua volta si era presa il controllo dei supermercati Unes. La cosa è continuata più o meno così negli anni (vedi 2005, dicembre 2008, lo scorso luglio), il tutto naturalmente all’oscuro del consumatore che pensa di avere una differenziazione dei punti vendita. Probabilmente i 400 milioni segnati a perdita dal gruppo Carrefour serviranno per acquistare la quota di maggioranza in Finiper.
Infine una chicca: chi è il presidente di Carrefour Italia, nonché patron di Finiper e Unes? Tal Marco Brunelli, giovinotto classe 1927 il cui nome non dirà nulla a nessuno ma è stato il cofondatore di Esselunga assieme a Bernardo Caprotti e poi di quelli che ora sono i supermercati GS insieme al fratello di Caprotti, Guido. In pratica, quello che rimane della grande distribuzione italiana è nelle mani di due ultraottantenni.

Ultimo aggiornamento: 2009-08-28 10:30

Censura wikipediana a fin di bene?

Forse la scorsa settimana avrete letto che il reporter americano David Rohde, da sette mesi prigioniero dei talebani in Pakistan, è riuscito a liberarsi insieme al suo collega pakistano fatto prigioniero con lui.
Domenica scorsa il New York Times, testata per cui lavora Rohde, ha pubblicato un articolo dove spiegano che per tutto quel tempo hanno chiesto alle principali testate giornalistiche di mantenere un basso profilo e non parlare della vicenda, nella speranza che i talebani non ritenessero il reporter così importante come in realtà è. A me la cosa pare tanto wishful thinking, ma non è così importante, soprattutto adesso. Più interessante è scoprire che quelli del NYT sono riusciti anche a zittire Wikipedia; le modifiche postate (da un anonimo che scriveva da un indirizzo IP della Virginia, per la cronaca, vedi cronologia) venivano regolarmente cancellate come “senza fonti affidabili”, con la benedizione di Jimmy Wales e immagino di una cricca di amministratori di Wikipedia in lingua inglese), sempre su richiesta informale del NYT. Tra l’altro, spulciando bene la cronologia della voce si trovano queste modifiche immediatamente successive al rapimento ma prima che la notizia cercasse di filtrare. Visto che l’utente Michaeljohnss è il giornalista del New York Times citato nell’articolo, posso immaginare che quelle aggiunte erano state fatte per mostrare ai rapitori che Rohde non era un servo del potere: strano che nessuno abbia fatto notare questa cosa.
Ci si può invece chiedere se la censura che è stata fatta, pur essendo a fin di bene, sia o no una cosa corretta da fare. La mia risposta è “non lo so”. Probabilmente sì, visto che le informazioni tenute nascoste non avrebbero comunque dato vantaggio a nessuno, a differenza ad esempio del coprire uno scandalo; credo comunque di essere in minoranza, come si può leggere sulla stessa wikipedia (in lingua italiana; non sono andato a verificare su quella in lingua inglese). Alla seconda domanda, se in Italia potrebbe succedere qualcosa del genere, la mia risposta è un molto più convinto “no”. Non tanto per il maggior rigore morale dei sysop di wikipedia, quanto perché – ammesso e non concesso che un grande quotidiano si vedesse rapito un reporter e decidesse di non rendere pubblica la notizia – al giornale in questione non verrebbe affatto in mente di contattare Wikipedia, che serve fondamentalmente a scopiazzare i coccodrilli senza ovviamente citare la fonte perché “non sta bene”.

Ultimo aggiornamento: 2009-06-30 10:56

rimborsi al comitato promotore dei referendum

Spinto da un commento del Più Cattivo (è il #6 qui) sono andato a vedere qual è la normativa per i rimborsi elettorali. Nonostante le promesse di Simplificius Calderoli, che io sappia non esiste ancora una banca dati pubblica di tutte le leggi attualmente valide, quindi ho dovuto fare una ricerchina che spero ma non garantisco essere completa.
La normativa di riferimento è la legge 157/99, intitolata “Nuove norme in materia di rimborso delle spese per consultazioni elettorali e referendarie e abrogazione delle disposizioni concernenti la contribuzione volontaria ai movimenti e partiti politici”. All’articolo 1, comma 4 si legge (grassetto mio):
In caso di richiesta di uno o piu’ referendum, effettuata ai sensi dell’articolo 75 della Costituzione e dichiarata ammissibile dalla Corte costituzionale, e’ attribuito ai comitati promotori un rimborso pari alla somma risultante dalla moltiplicazione di lire mille per ogni firma valida fino alla concorrenza della cifra minima necessaria per la validita’ della richiesta e fino ad un limite massimo pari complessivamente a lire 5 miliardi annue, a condizione che la consultazione referendaria abbia raggiunto il quorum di validita’ di partecipazione al voto. Analogo rimborso e’ previsto, sempre nel limite di lire 5 miliardi di cui al presente comma, per le richieste di referendum effettuate ai sensi dell’articolo 138 della Costituzione.
La successiva legge 156/2002, “Disposizioni in materia di rimborsi elettorali”, non tocca l’impianto se non aumentando i rimborsi per la legislatura (da 4000 lire per legislatura a 1 euro l’anno), quindi non ci interessa. In pratica, ogni referendum che raggiunge il quorum dà un po’ più di 250000 euro al comitato promotore: questa in effetti può essere una buona ragione per non votare ai referendum, per indicare non tanto che non si accettano le modifiche quanto che non si accetta il comitato promotore ;-)

Ultimo aggiornamento: 2009-06-12 13:20

Europee 2009 vs europee 2004 in Italia

Per la gioia degli amici di FacciaLibro dove queste mie notiziole appaiono in differita, ecco un confronto su voti e percentuali di queste elezioni rispetto a quelle di cinque anni fa. Attenzione: il conteggio dei seggi è completamente al di fuori, perché come magari ricordate il PD+L ha deciso di applicare il massimo quorum permesso dall’UE a queste elezioni. I dati sono ricavati dal ministero dell’Interno: qui il 2009 e qui (che la persona che ha preparato il database possa patire tutte le fiamme dell’inferno) il 2004.
– Votanti: tre milioni in meno (32.7 milioni contro 35.7 milioni) nonostante mezzo milione di elettori in più (50.3 milioni contro 49.8 milioni).
– Bianche e nulle: parecchie meno. Nel 2004 erano rispettivamente 1.6 e 1.6 milioni, quest’anno 1.0 e 1.1 milioni. Questo non me lo aspettavo: in pratica il numero di voti validi è sceso solo di due milioni.
– FI+AN+UDEUR facevano il 33.7% con 11.0 milioni di voti; il PDL fa il 35.3% con 10.8 milioni di voti.
– la Lega faceva il 5.0% con 1.6 milioni; fa il 10.2% con 3.1 milioni.
– l’Ulivo faceva il 31.1% con 10.1 milioni di voti; il PD fa il 26.1% con 8 milioni di voti.
– Di Pietro faceva il 2.1% con 0.7 milioni di voti; fa l’8% con 2.4 milioni di voti.
– l’UDC faceva il 5.9% con 1.9 milioni; fa il 6.5% con 2.0 milioni.
– le millanta sinistre facevano il 13% (!) con 4.2 milioni; fanno il 7% con 2.1 milioni.
– Mussolini, Fiamma, Pensionati, Segni facevano il 3.6% con 1.2 milioni; MPA, Fiamma, FN fanno il 3.5% con 1.1 milioni.
– i radicali facevano il 2.25% con 731.000 voti, fanno il 2.42% con 743.000 voti.
– poi ci sono le scartine varie.
Devo dire che vista così la cosa è ancora più incredibile di quanto ricordassi. Ulivo+Di Pietro sono rimasti uguali come voti rispetto a cinque anni fa, esattamente come il PDL; lo spostamento è stato semplicemente il dimezzamento della sinistra e il raddoppio della Lega. Ovviamente i flussi sono più complicati, ma i macrorisultati sono interessanti :-)

Ultimo aggiornamento: 2009-06-08 20:54

eurovoto: due analisi al prezzo di una

Ora che tutte le sezioni – almeno quelle sull’italico suolo – hanno terminato lo spoglio delle schede per le europee, posso dedicarmi a un rapido commento sui voti. Ma di commenti in realtà ne farò due, uno sulle percentuali e uno sui voti assoluti.
Innanzitutto, io faccio i confronti con le politiche dello scorso anno. Non mi pare che nessuno dei partiti in lizza abbia fatto una campagna “europea”, anzi: quindi i dati sono confrontabili, a differenza di quanto capiterà con le amministrative. Per la precisione, uso i risultati della Camera 2008 e quelli odierni. Quello che hanno fatto notare tutti è che il PdL ha perso, sia rispetto all’anno scorso (da 37.4% più lo 0.3% di Ferrara a 35.3%) che rispetto ai sondaggi. Anche quelli clandestini di Notapolitica, che pure l’anno scorso erano sostanzialmente corretti, quest’anno hanno sbagliato di ben cinque punti percentuali, che non sono mica pochi. Quello che fanno anche notare tutti è che il PD ha perso un casino di voti: il 26.1% contro il 30.8% delle politiche una volta scorporati i radicali (cosa che nessun commentatore fa mai). Ma proviamo invece a fare i conti sulle coalizioni o presunte tali; per fare questo conto divido a metà il risultato dell’MpA, distribuendolo tra destra e destra estrema. [*]
– destra (PdL + Lega + Ferrara 2008 + MpA/2): passa dal 47.1% al 46.6% (-0.5%)
– sinistra (PD + Di Pietro + Radicali): passa dal 37.6% al 36.5% (-1.1%)
– centro (UDC): passa dal 5.6% al 6.5% (+0.9%)
– sinistra estrema (millanta sigle): passa dal 5.4% al 7.0% (+1.6%)
– destra estrema (FN + Fiamma + La Destra 2008 + MpA/2): passa dal 2.7% al 2.4% (-0.3%)
– altri passano da 1.6% a 1.0% (-0.6%)
Si vede insomma un leggerissimo spostamento a sinistra dell’elettorato rispetto all’anno scorso (spostamento assolutamente ininfluente, visto che è spalmato su partiti che non raggiungono il quorum e quindi non esistono), con consensi travasati verso le millanta sinistre dal centrosinistra e verso l’UDC dal centrodestra, oltre che una serie di spostamenti interni PdL-Lega e PD-Di Pietro. Nulla di eclatante, però, rispetto al ribaltone dell’anno scorso.
Se però prendiamo i numeri dei voti ai singoli schieramenti, le cose cambiano.
Immaginando che tutti i radicali avessero votato PD l’anno scorso (ipotesi meno peregrina di quanto sembri), abbiamo che
– il PdL ha perso 2.800.000 voti (più i 135.000 di Giulianone Ferrara)
– il PD, anche sommando i radicali, ha perso 3.300.000 voti
– l’UDC è stabile
– la Lega ha guadagnato 100.000 voti
– IdV ha guadagnato 800.000 voti
– le sinistre hanno guadagnato 100.000 voti
– per gli altri, non ho voglia di fare i conti
Vista in questo modo la cosa appare piuttosto diversa, vero? L’astensionismo che l’anno scorso aveva colpito pesantemente la sinistra adesso si è spostato anche a destra. I sinistri duri e puri paradossalmente tengono, ma naturalmente essendosi divisi non contano nulla. L’exploit della Lega esce molto ridimensionato, e l’unico vero successo è di Tonino Di Pietro. Peccato che sui quotidiani non vedrete questo tipo di analisi, e vi dovete accontentare di qualche sparuto blog (non sarò il solo: scommetto su almeno due tra i miei amichetti)
Noticina finale: a questo giro non mi sono assolutamente curato di exit poll, proiezioni et similia. Me ne sono andato a dormire quando forse qualcosa era già apparso da qualche parte, ma non l’ho visto: e mi sono svegliato tranquillo e beato. Dovrei farlo più spesso.
[*] le etichette sono molto teoriche. Non riuscirei mai a definire Di Pietro di sinistra.

Ultimo aggiornamento: 2009-06-08 13:47

Pietro Accame ricaricato

[DOTTOR Accame]Ricordate Pietro Accame, pardon il DOTT. Pietro Accame? Nella migliore tradizione del richiamo, dopo aver telefonato ad Anna adesso le ha mandato una simpatica letterina (per posta, con l’indirizzo personalizzato: la potete trovare qua), dove il candidato la ringrazia “per la Sua utilissima collaborazione telefonica” (mi sa che Anna mi abbia mentito sul contenuto della telefonata) e le spiega come si vota, perché non si sa mai che si sbagli e metta più di una crocetta sulla scheda.
Se qualcuno si chiedesse perché mai Accame (oh, scusate, il dott. Accame) abbia spedito lettere anche a chi non era interessato al suo programma, la risposta credo che sia nella legge 515/93, che regola la campagna elettorale e anche la pubblicità. Il costo dell’invio di una lettera con la “tariffa elettorale” è di quattro centesimi, un quindicesimo di quanto pagheremmo io o voi. Sì, lo so che ci sono tariffe agevolate per le stampe, ma queste sono molto agevolate: e sono ferme dal 2002, quando le 70 lire originali sono state arrotondate in eccesso a 4 centesimi. Chi glielo fa fare a scremare le lettere da spedire?
p.s.: Per par condicio, devo aggiungere che oggi Anna ha anche ricevuto la pubblicità elettorale, sempre a quattro centesimi, della candidata alla Provincia per Italia dei Valori, Alberta Liuzzo.

Ultimo aggiornamento: 2009-05-28 19:22

PRAvacy

Ricordate quando la scorsa settimana avevo scritto della pubblicità che ci ricordava che la nostra auto doveva passare la revisione? Bene, per una volta ho voluto andare fino in fondo alla storia: creatami una email apposta, ho iniziato la mia richiesta di informazioni ex D. Lgs. 196/2003: informazioni assolutamente mirate e non generiche, tra l’altro.
Venerdì mattina ho scritto a Midas: «chiedo di sapere ai sensi dell’articolo 7 del D. Lgs. 196/2003 la comunicazione in forma intelligibile dei dati personali che mi riguardano *e la loro origine*. Inoltre mi oppongo al trattamento di tali dati per invio di qualunque tipo di materiale (pubblicitario e no).». La risposta è arrivata dopo un quarto d’ora esatto, e dice
I Suoi dati personali (indirizzo postale, marca e modello auto, scadenza revisione) sono stati forniti a Midas Italia S.p.a. dall’ACI (Automobile Club d’Italia) in forza di una convenzione sottoscritta tra le parti in data 25 marzo 2005.
Inoltre, per quanto riguarda i miei dati (anzi quelli di Anna), «Midas utilizza i dati una sola volta esclusivamente per la postalizzazione e ne dispone subito dopo l’immediata cancellazione.» (tenete presente la cosa).
Nel primo pomeriggio di venerdì (alle 14:30, per la cronaca) ho così scritto all’ACI: «chiedo di sapere a quali soggetti e categorie di soggetti tali dati sono stati comunicati o possono essere comunicati. Mi oppongo inoltre alla comunicazione di tali dati ad aziende terze a fini di invio di materiale pubblicitario.» Ottenere la risposta di venerdì pomeriggio avrebbe ovviamente avuto un qualcosa di miracoloso, ma lunedì nella tarda mattinata anche ACI ha risposto (notare il mittente: ACI-DSD-fornituradati chiocciola aci.it. Esiste una funzione apposita per la fornitura dei dati). Il testo:
Si premette che, ai sensi del decreto legislativo 196/2003, la diffusione di dati personali da parte di soggetti pubblici, come l'ACI, a favore di soggetti privati o di Enti pubblici economici è ammessa solo se prevista da norme di legge o di regolamento.
(cosa vera, ma io non ho chiesto *perché* abbiano consegnato i dati, ma *a chi*…)
Nel caso di specie la previsione è contenuta nell'art. 22 del D.M. 514/92 il quale dispone che i dati di cui si tratta possano essere forniti dal sistema informativo del PRA a categorie di soggetti per le quali il Ministero delle Finanze riconosca (o abbia riconosciuto) la sussistenza di un rilevante interesse alla loro cognizione. Le aziende che operano nel campo automobilistico, quali quelle che esercitano attività di revisione tecnica dei veicoli, aziende di demolizione, case costruttrici, concessionari auto ecc., rientrano in tali categorie.
(il testo del decreto ministeriale non sono riuscito a trovarlo, ma mi fido)
Inoltre, essendo il PRA un registro c.d. pienamente pubblico, tale, cioè, da realizzare un regime di pubblicità piena nei confronti della collettività, i dati in esso contenuti sono utilizzabili anche senza il consenso degli interessati (si veda l'art. 24 del Decreto citato), i quali, però, hanno diritto di opporsi al trattamento, rivolgendo apposita comunicazione all'azienda che ha inviato il materiale pubblicitario, secondo la disciplina indicata nel medesimo Decreto legislativo.
(immagino che il “Decreto citato” non sia il D.M. 514/92 ma il D.Lgs. 196/2003, che all’articolo 24 parla appunto di “Casi nei quali puo’ essere effettuato il trattamento senza consenso” e al comma 1.c recita che il consenso non è necessario se “riguarda dati provenienti da pubblici registri, elenchi, atti o documenti conoscibili da chiunque, fermi restando i limiti e le modalita’ che le leggi, i regolamenti o la normativa comunitaria stabiliscono per la conoscibilita’ e pubblicita’ dei dati;”)
Ricapitoliamo:
– Il PRA afferma che manda i dati in giro in forza di un decreto del 1992, quindi precedente alla prima legge per il trattamento dei dati personali (la 675/1996), che per lei è acqua fresca
– il PRA afferma che può comunque inviare i dati perché i dati del PRA sono pubblici: ricordatevelo, quando vorrete chiedere informazioni sul proprietario dell’auto che vi ha tamponato ed è scappato
– nella migliore tradizione di scaricabarile, il PRA dice “ma tanto potete chiedere alle aziende di togliervi dai suoi registri”, mentre l’azienda dice “ma tanto noi usiamo l’indirizzo una volta sola”. Risultato: tra due anni capiterà esattamente la stessa cosa, e tutti continueranno a fare i santarellini.
PS: vi ricordate, vero, che Bersani aveva tentato di abolire il PRA, ma che poi non ci è riuscito a causa degli alti lai di quelli del PRA stesso, che non volevano cambiare lavoro?

Ultimo aggiornamento: 2009-02-03 08:00