Archivi categoria: sfrucugliate

Decennale

Oggi ricorrono dieci anni dalla promulgazione ella Legge 6 febbraio 1996 n.52, che all’articolo 17 ha allungato da 50 a 70 anni il diritto d’autore.
Per amor di precisione, quella legge è un omnibus, visto che in vista della scadenza anticipata della legislatura ci hanno ficcato una serie di leggi scorrelate tra loro che avevano come unico punto in comune il fatto che erano direttive europee che dovevamo recepire: quella sul diritto d’autore è la n. 98 del 1993 e quindi eravamo come al solito in ritardo.
Diciamo che i più felici per la legge sono stati quelli della Mondadori, che hanno potuto godere ancora per dieci anni della protezione sulle opere di Pirandello.

Ultimo aggiornamento: 2006-02-06 10:27

Dizinformatsija

Ieri sera, mentre stavo leggendo, senticchiavo il TG regionale. A un certo punto la speaker, tutta contenta, ha affermato che le piogge di questi ultimi giorni avevano abbassato la concentrazione di inquinanti, e che a Milano i valori avevano superato di poco la soglia solamente in due centraline. Sono sobbalzato.
Il guaio non è tanto che uno si sarebbe aspettato un abbattimento ben superiore: siamo diventati tutti pessimisti. Il fatto è che a Milano le centraline che misurano il PM10 sono esattamente due: quella al Verziere e quella in via Juvara. Quindi in realtà i limiti sono stati superati in tutte le centraline.
È vero che non è molto facile scoprire la cosa: se si va sul sito dell’ARPA, occorre mettersi con calma a spulciare le varie richieste possibili. Tra l’altro, i dati non sono visualizzabili: occorre indicare un indirizzo email, forse per scoprire chi diavolo vuole scoprire cose di cui non dovrebbe curarsi. Una volta si poteva arrivare alle informazioni dal sito del Comune; però oggi né da lì né dal sito AMA (che nella miglior tradizione milanese, vedi ATM, non è nell’albero geografico ma con un “-mi” attaccato: “www.ama.mi.it” sarebbe sembrato un dominio di serie B) si può raggiungere il server (di Fastweb e indicato solo con l’indirizzo IP 81.208.25.93: fortuna che hanno inventato il DNS). Simpatico, no?
PS: anche Metro di oggi afferma che «le zone in cui le centraline dell’Arpa hanno registrato, l’altra notte, i valori maggiori di polveri sottili sono via Juvara e al Verziere». Questo mi fa pensare che la fonte di questo “casuale” misunderstanding non sia la redazione lombarda del TG3.

Ultimo aggiornamento: 2005-11-07 10:55

E se dessimo a Cesare quel che è di Cesare?

È tornata fuori la notizia dell’esenzione dell’ICI per la Chiesa Cattolica. Secondo Avvenire è una non-notizia, nel senso che non è vero che ci sia una nuova legge che li esenti dall’ICI e anzi faccia loro ottenere i rimborsi, ma semplicemente che la legge già esistente è stata ribadita. C’è chi ha anche fatto notare che i circoli culturali godono in realtà della stessa esenzione. Ma qual è la verità?
La normativa ICI è definita nel Decreto Legislativo 504/1992, che non sono riuscito a trovare al volo in rete. Molti comuni italiani mostrano però il testo dell’articolo 7, che tratta delle esenzioni. Il punto (c) parla dei “fabbricati con destinazione ad usi culturali di cui all’art. 5 bis, D.P.R. n.601/1973”, che sarebbe interessante conoscere meglio; il punto (e) dei “fabbricati di proprietà della Santa Sede indicati negli articoli 13, 14, 15 e 16 del Trattato lateranense” che però
si direbbero essere i palazzi che formano lo stato della Città del Vaticano. Restano due punti interessanti: il (d) e l'(f). Quest’ultimo parla dei “fabbricati appartenenti agli Stati esteri e alle organizzazioni internazionali per i quali è prevista l’esenzione dall’imposta locale sul reddito dei fabbricati in base ad accordi internazionali resi esecutivi in Italia”, e si potrebbe anche immaginare che gli immobili della chiesa siano proprietà del Vaticano: ma mi sembra strano – anche se non impossibile – che siano stati fatti accordi internazionali (e non banalmente bilaterali) al riguardo.
E il punto (d)? Parla di “fabbricati destinati esclusivamente all’esercizio del culto, purché compatibile con le disposizioni degli articoli 8 e 19 della Costituzione, e le loro pertinenze”. Quindi si direbbe da un lato che l’esenzione non è solo per i cattolici, ma una sinagoga o una moschea dovrebbero godere della stessa esenzione, visto che non si parla di “culto cattolico”; però il concetto di “pertinenza” mi suona piuttosto generico.
Diciamo che mi piacerebbe molto che i vari vescovati indicassero quali sono gli edifici esentati dall’ICI e quali sono le loro pertinenze, come segno di trasparenza :-)
Aggiornamento (h 18:10): ho finalmente trovato i documenti giusti, e la cosa cambia aspetto.
Il decreto legislativo sull’ICI si trova innanzitutto qua, ma questo non è poi così importante. Quello che conta è che c’è un decreto legge (il 163 del 17 agosto 2005, il governo non è mai in vacanza!) che inizia a parlare di Misure urgenti per la funzionalità del Registro Italiano Dighe e all’articolo 6 recita che
L'esenzione prevista dall'articolo 7, comma 1, lettera i), del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, e successive modificazioni, si intende applicabile anche nei casi di immobili utilizzati per le attività di assistenza e beneficenza, istruzione, educazione e cultura di cui all'articolo 16, primo comma, lettera b), della legge 20 maggio 1985, n. 222, pur svolte in forma commerciale se connesse a finalità di religione o di culto.
La legge 222 di cui sopra è quella che ha anche introdotto l’ottopermille, tra l’altro.
Quindi il regalo c’è stato indubbiamente: ad esempio una scuola cattolica è per definizione connessa a finalità di religione, quindi non sta pagando l’ICI, e se l’avesse pagata potrebbe chiedere il rimborso. Può darsi che sia vero che non la pagasse già prima, come appunto sembra suggerire l’articolo di Avvenire (non so per quanto reggerà questo link), però la cosa mi sembra a questo punto ben diversa. Un conto è un edificio usato solo per il culto, un altro uno che fa attività commerciali anche se per una buona causa!

Ultimo aggiornamento: 2005-10-06 15:31

e noi, a queste cose, ci teniamo!

Continuiamo a parlare di acqua. A Radio Superhit, intorno alle 9:15 e alle 18:15, mandano in onda uno spot dove Giampaolo Furia parla – per tre minuti tre, e vi assicuro che sono tanti – del rivoluzionario sistema Idros Jet by Kenwood, che permetterà di avere “acqua pura microfiltrata, refrigerata e addirittura gasata”. Il nostro amico Giampaolo si dilunga a spiegare i grandi risparmi, anche se non so esattamente quali bottiglie d’acqua minerale costino un euro al litro come lui sembra ammiccarci. Ci spiega che non si tratta di osmosi – che tanto per l’ascoltatore quadratico medio è una parola come un’altra – ma appunto di “microfiltrazione”, la variante anglofila del microfiltraggio. Ci comunica che “solo oggi” a chi comprerà questo portentoso ritrovato della tecnica verrà regalata una macchina per il caffè con due mesi di caffè gratis. Ci ricorda che l’apparecchio è autorizzato dal Ministero della Sanità (sì, sarebbe il Ministero della Salute, non state a sottilizzare), con lo slogan che ho usato come titolo. Ci ripete più volte lo slogan ufficiale: “tutta l’acqua che vuoi, come e quando vuoi”.
Bene. Tralasciamo il fatto che a me la microfiltrazione fa venire in mente il famigerato latte Frescoblù di Parmalat, un tentativo di Calisto Tanzi di spacciare per fresco del latte che poteva anche avere due settimane. Però mi suona un po’ strano che il numero telefonico da loro citato più volte (051.681717) sia riservato, o almeno non risulti da una ricerca su paginebianche.it. In effetti esiste il sito, e c’è un logo che assomiglia a quello della Kenwood (inteso come elettrodomestici da cucina, non come elettronica d’ascolto). Ma sicuramente i più attenti di voi avranno notato che la K della Kenwood originale è bicolore, e non tutta rossa come il succedaneo italiano. Del resto, Kenwood è del gruppo De Longhi, e non avrebbe molto senso usare il nome britannico, salvo che per dire “inglisc is biutiful”. Ma anche nel sito ufficiale ci sono tante belle informazioni, ma nessun prezzo: come spiegato, «Idros Jet non lo trovate nei negozi e non si acquista on line. L’acquisto avviene con contatto diretto tra noi e voi»… il tutto con immagine di stretta di mano.
Sono prevenuto, lo ammetto.
(per completezza aggiungo che non ho dubbi che l’apparecchio funzioni come indicato: io mi occupo dello stile)
Aggiornamento: In effetti, sotto il logo della Idros il logo della Kenwood è corretto. È possibile che la colpa della colorazione sbagliata sia del web designer.

Ultimo aggiornamento: 2005-08-03 16:46

Decreto antiterrorismo e posta elettronica

Tra una bomba e l’altra, abbiamo sentito delle norme antiterrorismo volute dal ministro dell’interno Pisanu e approvate più o meno da tutti i partiti. Tra queste norme, si è sentito dire che “i provider dovranno tenere per due anni tutti i messaggi di posta elettronica”. Beh, non è esattamente così, almeno da quello che si può leggere nel testo del decreto.
Premessa: io non ho studi di legge, e posso solo parlare dal punto di vista informatico. Non prendete insomma le mie parole per oro colato. L’articolo in questione è il 6, comma 1, e recita così:
A decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto e tino al 31 dicembre 2007 è sospesa l’applicazione delle disposizioni di legge, di regolamento o dell’autorità amministrativa che prescrivono o consentano la cancellazione dei dati del traffico telefonico o telematico, anche se non soggetti a fatturazione, e gli stessi, esclusi comunque i contenuti delle, comunicazioni, e limitatamente alle informazioni che consentono la tracciabilità degli accessi e dei servizi, debbono essere conservati fino a quella data dai fornitori di una rete pubblica di comunicazioni o di un servizio di comunicazione elettronica accessibile al pubblico, fatte salve le disposizioni vigenti che prevedono un periodo di conservazione ulteriore. I dati del traffico conservati oltre i limiti previsti dall’articolo 132 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, possano essere utilizzati esclusivamente per le finalità del presente decreto legge, salvo l’esercizio dell’azione penale per i reati comunque perseguibili.
A parte l’uso creativo delle virgole, è abbastanza chiaro leggere che il contenuto delle comunicazioni è escluso. Quindi si può immaginare che quello che si dovrà conservare per due anni sono i log dei server: data e ora del contatto, sito remoto, mittente e destinatario dell’envelope, cioè la “busta” del messaggio, che non sono necessariamente gli stessi di quelli che vediamo noi. Per fare un esempio banale, se io invio un messaggio in ccn: al mio amico pippo@example.com, il server di posta di example.com vedrà nell’envelope che il destinatario è pippo@example.com, ma nel testo nel messaggio non ci sarà traccia di Pippo. Attenzione: il titolo del messaggio non appare nell’envelope ma nel corpo del messaggio, come pure la dimensione del messaggio stesso, e sarebbe bello sapere cosa vuole fare il ministro di quei dati.
La cosa non è stupida come può sembrare a prima vista: non è poi così difficile ricavare utili dati anche soltanto dai log, come ben sa chiunque si sia divertito su Usenet a sgamare un finto “nuovo” utente. I dati che ho indicato sopra possono essere compattati in una cinquantina di byte: per dieci milioni di messaggi al giorno fanno mezzo giga, meno di un CD e una frazione di DVD.
Passiamo adesso alle note dolenti, e ce ne sono. Innanzitutto lo spam. Se le stime che dicono che oggi un messaggio su dieci non è spam, quei dati sono da decuplicare, e già diventa più difficile. Vorrà dire che cominceranno ad esserci algoritmi antispam molto più aggressivi che non accettano nemmeno i messaggi sospetti: se non li si prende, non li si deve nemmeno salvare… La cosa potrebbe anche essere simpatica, se non fosse che comincerà a ridursi la certezza della spedizione del proprio messaggio.
Altro punto da considerare è la definizione di “contenuti”. Le header di un messaggio, quelle con il titolo, la data di spedizione, ma anche il programma usato per spedirle e la codifica del messaggio stesso, non sono effettivamente “contenuto”, e danno informazioni molto utili ai detective. Quindi potrebbe essere necessario salvare anche questi dati: risultato, di nuovo un fattore 10 di dimensioni in più.
Infine, la parte più dolente. Chi deve salvare tutti questi dati? Pensiamo un attimo: il nostro terrorista in erba può tranquillamente usare un suo server mail personale, saltando quindi quello del suo provider, e non si sogna certo di tenersi i log; quindi questi devono anche essere salvati da chi riceve posta. È vero che di per sé si può anche avere su un server per ricevere posta, ma questo è più raro. In questo caso occorrerebbe mettersi a sniffare il traffico sulla rete e vedere quello SMTP, cosa non troppo complicata ma sicuramente costosa. L’altra possibilità è vietare di usare la porta 25 agli utenti comuni: in fin dei conti lo si sta già facendo abbastanza spesso per bloccare lo spam che proviene dai PC con ADSL cui gli spammatori hanno fatto il lavaggio del cervello prendendo loro possesso. Però garantisco che a me la cosa non piacerebbe affatto.
Detto tutto questo, resta il punto fondamentale. Io uso Gmail via webmail. Se scrivo ad Anna che legge i suoi messaggi su Hotmail via webmail il mio testo non passa da un server italiano, quindi non se lo salverà nessuno (ok, sono ragionevolmente certo che se lo salvano gli americani senza dirci nulla, ma non è questo il punto). Quindi tutto il decreto non serve a nulla. Carino, no?

Ultimo aggiornamento: 2005-07-24 17:52

Propaganda referendaria

Mentre andavamo a votare, siamo passati dai giardini di Piazzale Massari, dove c’erano i tabelloni per i manifesti elettorali. Tra i soliti manifesti per il sì, ne spuntavano due del Comitato Scienza e Vita, che invitavano all’astensione.
Ora, è ovvio che una singola persona può decidere di astenersi. Per quanto a me la cosa non piaccia in generale, c’è libertà di propagandare quello che vuoi, e se ti paghi gli spazi commerciali puoi anche mettere manifesti al riguardo. Ma non mi pare che la normativa di legge (articolo 4 comma b della legge sulla par condicio: le successive modifiche della legge 303/2003 non hanno toccato quell’articolo) permetta di usare gli spazi assegnati ai referendari per l’astensione. Dove si va a denunciare?

Ultimo aggiornamento: 2005-06-12 13:02

trovate le differenze

(questo post apparirà tra qualche giorno… chi mi legge via feed dovebbe vederlo, per gli altri rimarrà perso un po’ sotto inizio pagina. Mi sembra giusto così: potere ai feed!)
Essendo io per natura un tipo curioso, verifico spesso da dove arrivino gli accessi al mio sito, dopo avere eliminato i famigerati “spam referrer”. Martedì scopro che una ventina di persone sono arrivate a leggermi da $noto_quotidiano_italiano. Apro la pagina che contiene il collegamento verso di me, e leggo che “avrei fatto il tifo” per Gianluca Neri nella questione di chi è stato il primo a fornire la notizia della leggibilità del rapporto sull’uccisione di Calipari, ma che “nel post emerge che i conti non tornano’. Scrivo allora a $giornalista facendo notare che avevo aggiornato il mio post domenica sera, indicando chiaramente che Indymedia ha postato il messaggio dieci ore prima di Neri, e che avevo aggiunto un mio commento sul fatto che non è tanto la primogenitura importante quanto il fatto che la notizia chez Macchianera era verificabile da tutti, a differenza del testo di Indymedia.
In effetti $giornalista ha modificato il suo testo, come si può vedere: (primadopo. Le cache sono utilissime per recuperare vecchie versioni di una pagina…). Resta però un simpatico punto. Nel mio messaggio avevo anche fatto notare come l’articolo di slashdot citato nella pagina in questione non fosse apparso all’alba ma a metà pomeriggio, dimostrando come a seconda se uno si fosse loggato oppure no vedeva l’ora come 15:43 (Europa centrale) o 9:43 (East Coast). Quella parte non è stata toccata, però; forse perché era un asse portante dell’articolo relativo, che è apparso sulla versione cartacea di $noto_quotidiano_italiano? Io mi sono stancato di investigare, provateci voi.

Ultimo aggiornamento: 2005-05-04 14:17

brevetti software: sconfitta

Per chi ha seguito da queste pagine la saga dell’approvazione di una direttiva UE sui brevetti software (prima parte, seconda parte) e vuole sapere come è andata a finire, la risposta è purtroppo negativa. Non è stata accolta la proposta di spostare il punto dalla classe A (si accetta e basta) alla classe B (si ricomincia a discutere).
Le fonti sono le solite: ffii.org e NoSoftwarePatents. Traducendo un po’ sia dall’inglese che dal loro punto di vista che non è esattamente quello della Commissione :-), si direbbe che tutta la storia è stata un misto di regolamenti e procedure formali. Se qualcuno si fosse alzato a dire “questo punto non è stato messo all’ordine del giorno con almeno 14 giorni di anticipo”, lo si sarebbe dovuto sfilare via. Il ministro danese, nonostante il suo parlamento nazionale avesse approvato una mozione chiedendogli ufficialmente di fare spostare quel punto, non ha protestato più di tanto. Il ministro lussemburghese, presidente di turno, ha fatto tutto un bel discorso dicendo che questa modifica avrebbe creato un pericoloso precedente, e che tanto c’è sempre la possibilità che l’Europarlamento modifichi la direttiva. Quello che non ha aggiunto è che non basta una maggioranza dei votanti, ma ci vuole la maggioranza assoluta degli eletti, vale a dire 367 voti a favore di una modifica. La vedo molto male.

Ultimo aggiornamento: 2005-03-08 14:44