[Disclaimer: Ho ricevuto il libro grazie al programma Early Reviewer di LibraryThing] Di storie su Re Artù e la Tavola Rotonda ce ne sono a iosa, anche lasciando perdere La spada nella roccia con la disneyzzazione forzata. Rimanendo sul contemporaneo, molti ricorderanno la saga di Avalon di Marion Zimmer Bradley; io posso mettere sul piatto i libri di Jack Whyte che da un certo punto di vista mi ricordano il setup di questo testo. La parte sicuramente interessante di questo lavoro di Swope è il suo raccontare all’inizio di molti dei capitoli cosa troviamo nei testi medievali arturiani, con tutte le incongruenze del caso; da qui l’autore parte con la sua rivisitazione della saga, con alcune idee personali – Merlino è il nonno di Artù, e tra i cavalieri della tavola rotonda Lamorak è nero e di origine araba. Ritengo però che il libro avrebbe avuto bisogno di più editing; molte affermazioni sono ripetute verbatim anche a distanza di poche pagine, e alcuni dei dialoghi sono forzati e scolastici. Nel complesso, però, la lettura risulta piacevole.
(Joseph J. Swope, Dark Age Monarch : The Reign of King Arthur, Black Rose Writing 2022, pag. 311, € 5,44, ISBN 9781684339693 (cartaceo))
Voto: 4/5
Se siete tra coloro che hanno paura della matematica, e già alla parola “frazioni” sentono la pelle d’oca, non preoccupatevi: di matematica in questo libro ce n’è davvero poca. La storia delle frazioni è solo il fil rouge del libro, nel senso che ogni tanto Zimring prende il tema di cui sta parlando e dice qualcosa del tipo “per alzare la probabilità che percepiamo basta far crescere il numeratore e calare il denominatore della frazione corrispondente, e per abbassarlo si fa il viceversa”: e alla fine butta proprio via l’approccio probabilistico passando a quello frequentista (“su 1000 persone sane ce ne sono 10 che risultano comunque positive a un test per una certa malattia”). Il libro si occupa in realtà di scienze cognitive: detto in maniera terra terra, di come noi sbagliamo a percepire le cose, assegnando probabilità completamente errate agli eventi intorno a noi. La prima parte elenca i modi in cui possiamo sbagliare: errata suddivisione dei casi, confirmation bias (cerchiamo involontariamente le cose che corroborano l’idea che ci siamo fatti a priori), cherry-picking (scegliamo apposta le cose che ci fanno comodo); la seconda parte presenta vari esempi – tutti ben noti a chi si occupa di questi temi – di questi errori all’opera. La terza e ultima parte cambia le carte in tavola ed è la più spiazzante, perché mostra come le percezioni errate possono dare un vantaggio competitivo (basta non arroccarcisi…) Ci sono anche alcune proposte di come poter ovviare al fatto che il nostro cervello è tarato in un modo non probabilistico, ma Zimring è il primo a dire che c’è ancora molto da fare in questo campo. Molto utile secondo me l’avere un riassunto alla fine di ogni capitolo, che può servire al lettore per verificare se ha compreso davvero quanto stava leggendo.
[Disclaimer: Ho ricevuto il libro grazie al programma Early Reviewer di LibraryThing]
Prima raccolta dei fumetti su Back in the Future. Bob Gale nell’introduzione spiega che proprio perché coi viaggi nel tempo si può fare di tutto occorre porre dei limiti molto stretti: nei film si aveva fondamentalmente uno one-shot, mentre in questi fumetti si è scelto di raccontare parti della storia (delle storie?) che non sono state trattate nei film. A parte il numero enorme di copertine – venticinque? – al termine del libro che servono solo a riempire pagine – ma questo mi sa sia abbastanza comune in questo tipo di graphic novel – la qualità delle storie è mediamente bassa. Si salvano giusto “When Marty met Emmett”, in parte “Looking for a few good scientist” ambientato ai tempi della seconda guerra mondiale, la prima parte di “Clara’s Story” (appunto, la storia di Clara prima di conoscere Doc) e soprattutto “In search of Clavin Marty Klein”, che a parte la scena da Rocky Horror Picture Show fa tornare alla memoria il primo film. Personalmente mi pare un po’ poco. La grafica è naturalmente anch’essa molto diversa tra i vari autori, ma apprezzarla o meno è troppo soggettivo per poter dare un giudizio.
Anche Stefano Bartezzaghi sceglie di entrare nell’agone delle distinzioni più o meno artificiali nella lingua italiana: e lo fa a modo suo in questo libretto. L’introduzione riprende il suo vecchio testo “Mater ignota” pubblicato sulla rubrica Lessico e Nuvole il 3 maggio 2006, e che mostrava un tormentone con un insieme di parole che applicate ai maschi avevano in certo senso e messe al femminile si traducevano sempre – absit iniuria verbis – in “una mignotta”. Da lì prende il via una disamina del terzo articolo della Costituzione, che comincia affermando «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, […]» Cominciando con la parte apparentemente più semplice, Bartezzaghi fa notare che anche se si espungesse dal testo la parola “razza” non è che il razzismo sparirebbe. (Lui lo dice meglio di me e lo spiega anche dal punto di vista semiotico.) Ma più in generale, spiega, la lingua è fatta da distinzioni, che possono essere neutre oppure diventare oppositive, e caricarsi di valori morali: si parla di assiologia. Insomma, se non ho capito male, limitarsi a cambiare le parole senza considerare tutto quello che c’è dietro di esse non porterà mai a grandi risultati…
Scrivo su Wikipedia dal 2004. Questo significa che ero presente durante praticamente tutta l’evoluzione dell’enciclopedia, e anche se non posso dire di ricordarmi sempre tutte le minuzie dei template e delle regole e regolette varie so comunque come muovermi. Questo significa però che mi risulta difficile comprendere come Wikipedia venga vista “da fuori”. Ben vengano dunque i libri come questo, dove Enrico Marello (professore di diritto all’università di Torino) guarda l’enciclopedia dal suo punto di vista e poi racconti cosa sia successo – nel bene ma anche nel male – quando ha fatto fare alcuni lavori a due gruppi di studenti. La versione elettronica del testo, secondo lo spirito wikipediano, è stata rilasciata con una licenza CC-BY-SA, tanto che ce ne siamo immediatamente appropriati e ora il libro è anche disponibile su Wikisource, la biblioteca (libera!) dei progetti Wikipedia. È ovvio che dal punto di vista di Marello c’è un’enorme differenza tra i testi presenti in Wikipedia e quelli della letteratura giurisprudenziale (e ci mancherebbe altro, aggiungo io), e che la qualità di quei testi è spesso molto bassa (purtroppo, aggiungo di nuovo io). Però alla fine Wikipedia non ne esce così male, pur notando alcuni punti deboli legati alla struttura editoriale non esistente. Ma a parte le conclusioni, ritengo che tutto il testo sia da leggere da parte di chi non ha mai scritto su Wikipedia, per capire come ci si può accostare senza troppi rischi di essere rimbalzati via dai cattivi utenti… che poi spesso sono solo troppo oberati di lavoro per avere il tempo di dare spiegazioni comprensibili.
Nell’introduzione del libro si legge (traduzione mia) che è “un tentativo di avere racconti su base scientifica composti da scrittori di estrazione diversa, per esplorare un futuro che è diventato frammentato per colpa di un presente caotico”, e che questo obiettivo è raggiunto “combinando le predizioni di persone che non sono abitanti naturali del mondo della fantascienza, con scienziati o autori veterani che danno loro supporto”. Non sono certo che il risultato sia all’altezza delle aspettative. Uno dei guai è probabilmente il fatto che quasi tutti i racconti sono molto brevi, e non è affatto facile scrivere in quel modo; in effetti il racconto più lungo, Safe From Harm di Tim Maughan, è il migliore del gruppo. Altre storie interessanti sono Conjugal Frape di Jamie Watt, Biohacked & Begging di Stephen Oram, Anomaly in the Rhythm di Viraj Joshi, Brain Dump di Frances Gow, Trial by Combat di John Houlihan, ed EPILOGUE [citation needed] di Ken MacLeod (“Lo dimostri.” :-) ). Non credo sia un caso che tutti loro siano scrittori di fantascienza; certo, è la prova che stiamo parlando di narrativa di genere: ma è proprio per questo che sono loro a sapere come scriverla.