Prima di essere un esperto di giochi, Stefano Bartezzaghi è un semiologo. E questo suo ultimo libro è fondamentalmente un testo di semiologia, il che me l’ha fatto apprezzare molto di meno, per la banale ragione che non sono chissà quale esperto nel settore e quindi mi mancano le basi. In effetti la parte che mi è piaciuta di più è stata il capitolo 5 (“Ucraina. La guerra presa alla lettera “) che riprende i brevi testi che Bartezzaghi ha scritto su Repubblica all’inizio dell’invasione russa.
Quello che invece non mi è piaciuto è il trovare materiale molto simile nei vari capitoli, soprattutto quando si parla dell’Iliade. (Non guardate il titolo “ariosteo” della seconda parte del volume: banalmente i capitoli sono intitolati a Donne, Cavallier, Arme e Amori :-) ) È quasi come se il testo fosse stato assemblato in momenti diversi senza poi essere stato armonizzato. Resta comunque interessante vedere lo sport, più che la guerra, da un punto di vista diverso dal solito.
Stefano Bartezzaghi, Chi vince non sa cosa si perde, Bompiani 2024, pag. 272, € 11,99 (cartaceo: 19), ISBN 9791221703047 – se acquistate il libro dal link qualche centesimo va a me
Voto: 3/5

Si può parlare di numeri in tanti modi. L’ho fatto anch’io con Numeralia. In questo caso Maccacaro e Tartari hanno scelto un approccio molto scanzonato – almeno a prima vista, perché se uno si mette a leggere il testo scoprirà una miniera di informazioni non sempre collegate alla matematica che permettono di imparare tante cose. Anche le proprietà più prettamente matematiche dei numeri sono trattate in modo non standard, probabilmente con lo scopo di non spaventare il lettore casuale. 
In un certo senso il titolo potrebbe anche essere corretto, nel senso che non sono proprio riuscito a capire questo libro, da buona torre di Babele. Certo, non mi aspettavo una trattazione tecnica, visto il curriculum degli autori: ma una visione più filosofica mi sarebbe andata benissimo. Invece mi sono trovato un insieme di frammenti senza un ordine che almeno io riconoscessi, e alla fine non mi è rimasto proprio nulla. Prendere le fanciulle meccaniche di Efesto e arruolarle nell’intelligenza artificiale non ha una grande utilità, e comunque esula dal punto di vista. L’automa per definizione fa quello che gli viene detto, è un computer; e anche il fil rouge tra Lullo, Laputa e Leibniz con il tentativo di sistematizzare la generazione di nuova conoscenza è troppo fragile. Non parliamo della biblioteca di Babele che non ha nulla a che fare con l’AI. Sconsiglio.
[Disclaimer: Ho ricevuto il libro grazie al programma Early Reviewer di LibraryThing]