Vabbè, la storia dell’Albergo di Hilbert la conosciamo più o meno tutti – o almeno la conosce chi ha un po’ di curiosità per la matematica. Devo dire che però la storia raccontata da Ivar Ekeland e disegnata da John O’Brien, che è appena entrata nella Mathical Hall of Fame, è davvero carina ed è un peccato che sia fuori commercio. (Ma potete andare a prenderlo in prestito su archive.org, in un’ora lo leggete senza problemi). In questo caso il vero protagonista è il gatto, che guarda tutte le magie matematiche dell’albergo di Hilbert e non riesce a capire come possano avvenire, tanto che alla fine… no, non ve lo posso dire.
Il testo è indubbiamente pensato per ragazzini, e i disegni contribuiscono alla piacevolezza del testo. Sarebbe simpatico vederlo tradotto in italiano…
(Ivar Ekeland, The Cat in Numberland, Cricket Book 2006, pag. 60, ISBN 9780812627442)
Leggere questo libro, che parte come una biografia di Paolo Boringhieri ma vira molto rapidamente verso una storia dell’editrice Einaudi tra il 1945 e il 1957, con un’appendice sui primi anni della Boringhieri, lascia una sensazione di déjà vu per chi come me ha un po’ bazzicato il mercato editoriale italiani. Le difficoltà economiche erano già allora le stesse di oggi, esattamente come la difficoltà nel riuscire a rispettare i tempi di traduzione (ecco, forse allora le traduzioni erano più ruspanti di quanto lo siano oggi, almeno nell’editoria di qualità). Ma è anche bellissimo (ri)scoprire un Pavese-factotum che praticamente mandava avanti da solo la casa editrice, vedere la quantità di consulenti di primissimo piano che Einaudi aveva – come nota personale, non avrei mai pensato che Luigi Radicati di Brozolo fosse stato uno di loro – e soprattutto accorgersi dell’organicità al PCI. Forse la mia generazione era meno politicizzata, o forse sono io che vivevo nell’iperuranio: ma leggere della cellula del Partito in Einaudi, o scoprire come l’affare Lysenko vedesse una triangolazione tra Mosca, Torino e Roma per l’eventuale pubblicazione delle sue opere in italiano mi ha lasciato basito. Una storia, anzi tante storie parallele, davvero interessante!
Con queste ventisei storie, una per lettera dell’alfabeto – con qualche licenza poetica… – Giuseppe Mussardo traccia una storia della scienza moderna. Abbiamo una preponderanza di fisici, ma la cosa ci può stare visto che Mussardo è anch’egli fisico. Non pensate a biografie vere e proprie, anche se ci sono cenni sulla vita di tutti i protagonisti: in genere l’autore parte da un punto focale della loro vita e costruisce il suo racconto a partire da lì. Le illustrazioni di Debora Gregorio sono un ottimo complemento al testo, che si legge davvero con piacere.
Il prossimo giovedì sarà pubblicato
La coppia Monti-Wacks ritorna con questo nuovo libro sulla “sicurezza nazionale”, nel quale raccontano come il concetto non sia affatto moderno – anche se ai tempi della Roma imperiale la “sicurezza” spesso era più nei riguardi dell’imperatore che per lo stato… – e soprattutto come sta cambiando. La parte iniziale con l’excursus storico è interessantissima: lo sapevate che i “delatores” erano semplicemente quelli che permettevano di far partire un procedimento penale, “portando (informazioni) riguardo (a qualcuno)”? Ma non certo inferiore è la parte moderna e contemporanea, dove vediamo come non solo il concetto di sicurezza nazionale è piuttosto ambiguo in punta di diritto ma soprattutto capiamo cosa significa in pratica lo spostamento dagli stati sovrani alle Big Tech della gestione della sicurezza nazionale. Si può essere o meno d’accordo con gli autori quando tirano l’acqua al loro mulino e affermano che La sicurezza nazionale deve diventare una parte riconosciuta del sistema legale, liberandosi della sua veste politica; ma è difficile negare che mentre la democrazia nasce come una delega di potere dal cittadino allo stato, attualmente abbiamo un’inquietante trasferimento di potere, che erode il contrasto tra democrazie liberali e regimi autoritari.
D’accordo, questo è un problema mio: ma per me è stato davvero difficile leggere un libro che parla di un mondo post-apocalisse, con l’apocalisse in questione nata da una pandemia influenzale. Forse non è nemmeno la pandemia di per sé che mi ha angosciato, quanto il vedere come tutta la civiltà che do per scontata si sia sbriciolata in pochi giorni, forse anche molto più di quanto ci si possa aspettare: mi pare impossibile che al ventesimo anno dopo la fine del mondo nessuno abbia ancora cominciato a produrre elettricità anche se in piccolo, e nessuno sia andato a saccheggiare le biblioteche per cercare informazioni su come fare alcune cose di base. Eppure i protagonisti dicono che ormai la vita è molto più tranquilla che dieci anni prima… insomma non siamo più alla pura sopravvivenza.
Non c’è dubbio: Spadaccini scrive molto bene. Lo si vede già dall’introduzione. E non mi lamento nemmeno più di tanto dei pezzettini riempitivi alla fine dei capitoletti – che nascono di solito come articoli indipendenti pubblicati in rete; secondo me non era necessario dare una parvenza di continuità perché sarebbe bastato parlare di storie, ma quella è una sua scelta di per sé innocua. Quello che invece non mi è piaciuto è il tentativo di mischiare una parte più descrittiva – le storie sui libri e sulle persone – con una parte più narrativa che dal mio punto di vista è completamente avulsa, come l’estratto del suo romanzo mai portato a compimento. (Parlare del suo rapporto con i libri ha invece senso nel contesto). Insomma il risultato è stato qualcosa che non è né carne né pesce.
Con questo libretto Claudio Facchinelli vorrebbe mostrare al lettore che odia la matematica come ci sia un tratto “umanista” nella materia, tratto che a scuola non viene certamente mostrato. Fin qua sono perfettamente d’accordo: però secondo me i capitoletti del libro non riescono a mostrare questo lato umanistico. Va benissimo eliminare le dimostrazioni, che tanto nessuno legge; ma togliere i riferimenti alle formule lascia un senso di vuoto e soprattutto non riesce a mostrare quale sia la vera utilità dei temi trattati. Più volte mi sono fermato mentre leggevo, dicendo a me stesso “e quindi?” L’unica volta in cui ho trovato qualcosa di davvero interessante è stata il capitolo sulla trigonometria: non solo per l’ovvia considerazione che non si capisce perché mai fosse così importante studiarla al liceo classico, ma anche per la spiegazione del vero motivo per cui veniva un tempo usata. Però è davvero un po’ poco.