 [Disclaimer: Ho ricevuto il libro grazie al programma Early Reviewer di LibraryThing]
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Mi ha fatto sorridere vedere alcuni altri recensori lamentarsi che il titolo di questo libro è fuorviante, perché i dieci racconti qui contenuti non sono nello stile di Poe. Eppure la cosa dovrebbe essere chiara, visto che si parla della sua (seconda) morte… In realtà questa raccolta contiene testi scritti in stili diversi. Quello che dà il titolo è in effetti abbastanza simile a Poe, ma per esempio i primi due (Trophy for an Earnest Boy e Stop Killing the Innocence mi ricordano più Roald Dahl.
In generale la maggior parte dei racconti termina con un anticlimax: Matthews era molto bravo a costruire un ambiente che avvince il lettore… fino alla fine, che come avrebbe detto T.S. Eliot arriva not with a bang but a whimper”. The Waitress and the Relic è probabilmente l’esempio più chiaro; A Story Not About Richardson invece gira intorno senza meta. Confesso di non aver capito il finale di Delusional Gymnosis, ma il motivo potrebbe essere il mio inglese lungi dall’essere perfetto. Indispensable Ghosts termina anche in un tono minore, ma visto il racconto ci sta; The Kiss mi fa invece pensare al bacio della morte (chissà se l’idea era quella). Il racconto migliore è senza dubbio il più lungo, Dark Machinery, anche se avrei comunque eliminato la prima parte che non ha relazione con la seconda a parte l’essere ambientata in Italia nella seconda guerra mondiale. 
(Jack Matthews, Second Death of E.A. Poe and Other Stories, Personville Press 2022, pag. 210, € 2,73, ISBN 9781005300623)
Voto: 3/5
 Prima raccolta dei fumetti su Back in the Future. Bob Gale nell’introduzione spiega che proprio perché coi viaggi nel tempo si può fare di tutto occorre porre dei limiti molto stretti: nei film si aveva fondamentalmente uno one-shot, mentre in questi fumetti si è scelto di raccontare parti della storia (delle storie?) che non sono state trattate nei film. A parte il numero enorme di copertine – venticinque? – al termine del libro che servono solo a riempire pagine – ma questo mi sa sia abbastanza comune in questo tipo di graphic novel – la qualità delle storie è mediamente bassa. Si salvano giusto “When Marty met Emmett”, in parte “Looking for a few good scientist” ambientato ai tempi della seconda guerra mondiale, la prima parte di “Clara’s Story” (appunto, la storia di Clara prima di conoscere Doc) e soprattutto “In search of Clavin Marty Klein”, che a parte la scena da Rocky Horror Picture Show fa tornare alla memoria il primo film. Personalmente mi pare un po’ poco. La grafica è naturalmente anch’essa molto diversa tra i vari autori, ma apprezzarla o meno è troppo soggettivo per poter dare un giudizio.
 Prima raccolta dei fumetti su Back in the Future. Bob Gale nell’introduzione spiega che proprio perché coi viaggi nel tempo si può fare di tutto occorre porre dei limiti molto stretti: nei film si aveva fondamentalmente uno one-shot, mentre in questi fumetti si è scelto di raccontare parti della storia (delle storie?) che non sono state trattate nei film. A parte il numero enorme di copertine – venticinque? – al termine del libro che servono solo a riempire pagine – ma questo mi sa sia abbastanza comune in questo tipo di graphic novel – la qualità delle storie è mediamente bassa. Si salvano giusto “When Marty met Emmett”, in parte “Looking for a few good scientist” ambientato ai tempi della seconda guerra mondiale, la prima parte di “Clara’s Story” (appunto, la storia di Clara prima di conoscere Doc) e soprattutto “In search of Clavin Marty Klein”, che a parte la scena da Rocky Horror Picture Show fa tornare alla memoria il primo film. Personalmente mi pare un po’ poco. La grafica è naturalmente anch’essa molto diversa tra i vari autori, ma apprezzarla o meno è troppo soggettivo per poter dare un giudizio. Anche Stefano Bartezzaghi sceglie di entrare nell’agone delle distinzioni più o meno artificiali nella lingua italiana: e lo fa a modo suo in questo libretto. L’introduzione riprende il suo vecchio testo “Mater ignota” pubblicato sulla rubrica Lessico e Nuvole il 3 maggio 2006, e che mostrava un tormentone con un insieme di parole che applicate ai maschi avevano in certo senso e messe al femminile si traducevano sempre – absit iniuria verbis – in “una mignotta”. Da lì prende il via una disamina del terzo articolo della Costituzione, che comincia affermando «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, […]» Cominciando con la parte apparentemente più semplice, Bartezzaghi fa notare che anche se si espungesse dal testo la parola “razza” non è che il razzismo sparirebbe. (Lui lo dice meglio di me e lo spiega anche dal punto di vista semiotico.) Ma più in generale, spiega, la lingua è fatta da distinzioni, che possono essere neutre oppure diventare oppositive, e caricarsi di valori morali: si parla di assiologia. Insomma, se non ho capito male, limitarsi a cambiare le parole senza considerare tutto quello che c’è dietro di esse non porterà mai a grandi risultati…
 Anche Stefano Bartezzaghi sceglie di entrare nell’agone delle distinzioni più o meno artificiali nella lingua italiana: e lo fa a modo suo in questo libretto. L’introduzione riprende il suo vecchio testo “Mater ignota” pubblicato sulla rubrica Lessico e Nuvole il 3 maggio 2006, e che mostrava un tormentone con un insieme di parole che applicate ai maschi avevano in certo senso e messe al femminile si traducevano sempre – absit iniuria verbis – in “una mignotta”. Da lì prende il via una disamina del terzo articolo della Costituzione, che comincia affermando «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, […]» Cominciando con la parte apparentemente più semplice, Bartezzaghi fa notare che anche se si espungesse dal testo la parola “razza” non è che il razzismo sparirebbe. (Lui lo dice meglio di me e lo spiega anche dal punto di vista semiotico.) Ma più in generale, spiega, la lingua è fatta da distinzioni, che possono essere neutre oppure diventare oppositive, e caricarsi di valori morali: si parla di assiologia. Insomma, se non ho capito male, limitarsi a cambiare le parole senza considerare tutto quello che c’è dietro di esse non porterà mai a grandi risultati… Scrivo su Wikipedia dal 2004. Questo significa che ero presente durante praticamente tutta l’evoluzione dell’enciclopedia, e anche se non posso dire di ricordarmi sempre tutte le minuzie dei template e delle regole e regolette varie so comunque come muovermi. Questo significa però che mi risulta difficile comprendere come Wikipedia venga vista “da fuori”. Ben vengano dunque i libri come questo, dove Enrico Marello (professore di diritto all’università di Torino) guarda l’enciclopedia dal suo punto di vista e poi racconti cosa sia successo – nel bene ma anche nel male – quando ha fatto fare alcuni lavori a due gruppi di studenti. La versione elettronica del testo, secondo lo spirito wikipediano, è stata rilasciata con una licenza CC-BY-SA, tanto che ce ne siamo immediatamente appropriati e ora il libro è anche disponibile su Wikisource, la biblioteca (libera!) dei progetti Wikipedia. È ovvio che dal punto di vista di Marello c’è un’enorme differenza tra i testi presenti in Wikipedia e quelli della letteratura giurisprudenziale (e ci mancherebbe altro, aggiungo io), e che la qualità di quei testi è spesso molto bassa (purtroppo, aggiungo di nuovo io). Però alla fine Wikipedia non ne esce così male, pur notando alcuni punti deboli legati alla struttura editoriale non esistente. Ma a parte le conclusioni, ritengo che tutto il testo sia da leggere da parte di chi non ha mai scritto su Wikipedia, per capire come ci si può accostare senza troppi rischi di essere rimbalzati via dai cattivi utenti… che poi spesso sono solo troppo oberati di lavoro per avere il tempo di dare spiegazioni comprensibili.
 Scrivo su Wikipedia dal 2004. Questo significa che ero presente durante praticamente tutta l’evoluzione dell’enciclopedia, e anche se non posso dire di ricordarmi sempre tutte le minuzie dei template e delle regole e regolette varie so comunque come muovermi. Questo significa però che mi risulta difficile comprendere come Wikipedia venga vista “da fuori”. Ben vengano dunque i libri come questo, dove Enrico Marello (professore di diritto all’università di Torino) guarda l’enciclopedia dal suo punto di vista e poi racconti cosa sia successo – nel bene ma anche nel male – quando ha fatto fare alcuni lavori a due gruppi di studenti. La versione elettronica del testo, secondo lo spirito wikipediano, è stata rilasciata con una licenza CC-BY-SA, tanto che ce ne siamo immediatamente appropriati e ora il libro è anche disponibile su Wikisource, la biblioteca (libera!) dei progetti Wikipedia. È ovvio che dal punto di vista di Marello c’è un’enorme differenza tra i testi presenti in Wikipedia e quelli della letteratura giurisprudenziale (e ci mancherebbe altro, aggiungo io), e che la qualità di quei testi è spesso molto bassa (purtroppo, aggiungo di nuovo io). Però alla fine Wikipedia non ne esce così male, pur notando alcuni punti deboli legati alla struttura editoriale non esistente. Ma a parte le conclusioni, ritengo che tutto il testo sia da leggere da parte di chi non ha mai scritto su Wikipedia, per capire come ci si può accostare senza troppi rischi di essere rimbalzati via dai cattivi utenti… che poi spesso sono solo troppo oberati di lavoro per avere il tempo di dare spiegazioni comprensibili.
![[copertina]](https://i0.wp.com/xmau.com/wp/notiziole/wp-content/uploads/sites/6/2022/04/9781914953095.jpg?resize=141%2C200&ssl=1) Nell’introduzione del libro si legge (traduzione mia) che è “un tentativo di avere racconti su base scientifica composti da scrittori di estrazione diversa, per esplorare un futuro che è diventato frammentato per colpa di un presente caotico”, e che questo obiettivo è raggiunto “combinando le predizioni di persone che non sono abitanti naturali del mondo della fantascienza, con scienziati o autori veterani che danno loro supporto”. Non sono certo che il risultato sia all’altezza delle aspettative. Uno dei guai è probabilmente il fatto che quasi tutti i racconti sono molto brevi, e non è affatto facile scrivere in quel modo; in effetti il racconto più lungo, Safe From Harm di Tim Maughan, è il migliore del gruppo. Altre storie interessanti sono Conjugal Frape di Jamie Watt, Biohacked & Begging di Stephen Oram, Anomaly in the Rhythm di Viraj Joshi, Brain Dump di Frances Gow, Trial by Combat di John Houlihan, ed EPILOGUE [citation needed] di Ken MacLeod (“Lo dimostri.” :-) ). Non credo sia un caso che tutti loro siano scrittori di fantascienza; certo, è la prova che stiamo parlando di narrativa di genere: ma è proprio per questo che sono loro a sapere come scriverla.
 Nell’introduzione del libro si legge (traduzione mia) che è “un tentativo di avere racconti su base scientifica composti da scrittori di estrazione diversa, per esplorare un futuro che è diventato frammentato per colpa di un presente caotico”, e che questo obiettivo è raggiunto “combinando le predizioni di persone che non sono abitanti naturali del mondo della fantascienza, con scienziati o autori veterani che danno loro supporto”. Non sono certo che il risultato sia all’altezza delle aspettative. Uno dei guai è probabilmente il fatto che quasi tutti i racconti sono molto brevi, e non è affatto facile scrivere in quel modo; in effetti il racconto più lungo, Safe From Harm di Tim Maughan, è il migliore del gruppo. Altre storie interessanti sono Conjugal Frape di Jamie Watt, Biohacked & Begging di Stephen Oram, Anomaly in the Rhythm di Viraj Joshi, Brain Dump di Frances Gow, Trial by Combat di John Houlihan, ed EPILOGUE [citation needed] di Ken MacLeod (“Lo dimostri.” :-) ). Non credo sia un caso che tutti loro siano scrittori di fantascienza; certo, è la prova che stiamo parlando di narrativa di genere: ma è proprio per questo che sono loro a sapere come scriverla. Ho letto decine di libri di quizzini matematici (e ne ho scritto anche qualcuno…). Ciascuno di essi ha uno stile diverso, sia per la scelta dei problemi che per la loro esposizione e per come si passa alle soluzioni. Non mi era ancora capitato di vedere pero l’approccio usato da Niederman. In pratica i problemi – non ce ne sono tantissimi, anche se qualcuno mi era comunque nuovo – sono solo la ciliegina sulla torta di un discorso molto più generale, che parla dei problemi matematici come un modo di vedere il mondo. E il bello è che il discorso fila anche senza cercare di risolvere i problemi! In pratica è possibile divertirsi nella lettura senza impazzire nel risolvere questi problemi. Dite niente…
 Ho letto decine di libri di quizzini matematici (e ne ho scritto anche qualcuno…). Ciascuno di essi ha uno stile diverso, sia per la scelta dei problemi che per la loro esposizione e per come si passa alle soluzioni. Non mi era ancora capitato di vedere pero l’approccio usato da Niederman. In pratica i problemi – non ce ne sono tantissimi, anche se qualcuno mi era comunque nuovo – sono solo la ciliegina sulla torta di un discorso molto più generale, che parla dei problemi matematici come un modo di vedere il mondo. E il bello è che il discorso fila anche senza cercare di risolvere i problemi! In pratica è possibile divertirsi nella lettura senza impazzire nel risolvere questi problemi. Dite niente…