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_Pitagora continua a divertirsi_ (libro)

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Il terzo libro della raccolta dei problemi delle Olimpiadi della matematica (Gilles Cohen (ed.), Pitagora continua a divertirsi, Bruno Mondadori – Container 2006 [1997], pag. 144, € 9, ISBN 88-424-9846-7, trad. a cura del Centro Pristem) è curiosamente di formato ridotto rispetto ai primi due, il che rende più difficile riporlo in libreria. I problemi sono quelli di sempre: i primi sono davvero facili, adatti per ragazzi delle medie, ma anche gli ultimi non sono davvero complicati. Purtroppo le soluzioni sono esposte in maniera disuguale, oltre ad avere qualche refuso che però non rende impossibile la comprensione. Diciamo che avrei preferito trovare più spesso ragionamenti più astratti: in fin dei conti, spesso si impara anche leggendo il percorso che porta alla soluzione.

Ultimo aggiornamento: 2019-01-25 12:04

Che cosa ha veramente detto Paolo (libro)

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Noi non ci si fa mancare nulla: nemmeno l’esegesi biblica. In questo libro (Tom Wright, Che cosa ha veramente detto Paolo [What Saint Paul Really Said], Claudiana – Piccola biblioteca teologica 1999 [1997], pag. 231, € 14.98, ISBN 8870163040, trad. Erik Noffke) l’autore, così ad occhio un teologo anglicano – ma potrei sbagliarmi – cerca di definire quale fosse davvero il pensiero di Paolo nel contesto in cui operava. Le conclusioni di Wright sono molto diverse da quello che generalmente ci si aspetterebbe. Secondo lui, Saulo non solo era un rigido ebreo osservante prima della sua conversione, ma lo sarebbe stato anche dopo; le accuse di ellenizzazione nemmeno troppo strisciante che gli vengono normalmente fatte sono erronee, con tanto di doviziose spiegazioni a partire dai testi delle sue epistole e dagli Atti degli Apostoli. Paolo prefigurerebbe la Trinità come poi definita quasi tre secoli dopo a Nicea e Costantinopoli, ma Dio resta uno; Cristo è il Re, ma è indubbiamente un figlio di Israele; e infine il linguaggio usato per spiegare queste cose ai Gentili rispecchia perfettamente quello dell’Antico Testamento. Non sono così bravo in teologia da poter dare un giudizio, anche se gli argomenti sono indubbiamente esposti bene; sono poi stato sufficientemente pigro da non avere una Bibbia sottomano per leggermi autonomamente i brani citati, accontentandomi dei riassunti fatti. In definitiva, però, una lettura molto interessante.

Ultimo aggiornamento: 2016-03-27 18:46

_Guns, Germs and Steel_

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Nella versione italiana, il sottotitolo di questo libro (Jared Diamond, Guns, Germs and Steel, Vintage 1998, pag. 480, Lst 8.99 , ISBN 0-09-930278-0) è “breve storia del mondo negli ultimi 13000 anni”. Ma nella versione originale si afferma che la storia è “of everybody“, di tutti. In effetti l’autore, che si è anche vinto il Pulitzer nel 1997 con quest’opera, riesce nell’impresa di dare una spiegazione convincente al perché sono stati gli Occidentali a conquistare gli altri continenti e non viceversa. “Armi, acciaio e malattie” sono le cause finali che hanno permesso ai pochi conquistatori europei di vincere le altre popolazioni, ma la ragione per cui non è capitato l’opposto, secondo Diamond, è il vantaggio competitivo della massa continentale eurasiatica (più il Nordafrica), che aveva meno barriere naturali, più grandi animali da addomesticare, un maggior numero di piante coltivabili e una direzione est-ovest. Questo ha permesso di avere sempre più persone che non dovevano passare tutto il loro tempo a procacciarsi il cibo, rendendo così possibili nuove innovazioni che venivano a loro volta ottenute dalle popolazioni vicine.
Se c’è un appunto da fare, è la prolissità del testo. Questo è uno dei casi in cui i “libri condensati” che un tempo Selezione dal Reader’s Digest pubblicava sarebbero stati perfetti, asciugando le ridondanze del testo.

Ultimo aggiornamento: 2016-01-13 17:37

I numeri dell’universo

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Perché i numeri “naturali” – vale a dire non quelli antropomorfi, ma quelli ricavati dalle costanti di natura – sono così enormi o minuscoli? E queste “costanti”, sono davvero costanti? Sono indipendenti tra di loro? E cosa succederebbe all’universo se i loro valori fossero diversi? A tutte queste domande cerca di dare una risposta John Barrow in questo suo saggio dal titolo purtroppo maltradotto (John D. Barrow, I numeri dell’universo [The constants of Nature, from Alpha to Omega], Mondadori – Oscar Saggi 2004 [2002], pag. 326, €8.80, ISBN 8804532483, trad. Tullio Cannillo) che così ripercorre la fisica teorica del ventesimo secolo, fino ad un accento della teoria delle superstringhe, dove veniamo a scoprire che il nostro universo potrebbe avere tutta una serie di dimensioni spaziali “impacchettate”. La prosa di Barrow è davvero accattivante e ben tradotta, e permette al lettore di farsi un’idea davvero chiara di quale sia il significato intrinseco delle varie teorie scientifiche, e di perché il principio antropico (il fatto cioè che viviamo in un universo perfettamente adatto alla vita) non sia necessariamente una stranezza. Mi resta però qualche dubbio su tutte le citazioni alle precedenti opere di Barrow, quasi come se volesse dire che non sta bene leggere questo suo libro senza sapere tutto il resto…

Ultimo aggiornamento: 2019-12-20 13:00

_Morte accidentale di un anarchico_ (teatro)

Lo ammetto. Non lo avevo mai visto prima. Devo dire però che scegliere di andare a teatro la sera di San Silvestro non mi è sembrata una grande idea, considerato il markup sul biglietto (35 euro invece che 19 – e tenete conto che era tutto finito alle 22:45). C’è ancora tempo fino a domenica 8 a prezzo normale…
Ciò detto, passiamo all’opera vera e propria. La scelta, non so se originaria di Fo oppure di Ferdinando Bruni che cura la regia oltre che fare il Matto, è stata di rendere la storia come un classico esempio di Commedia dell’Arte. In pratica, i vari personaggi sono delle maschere dialettali. Il questore, probabilmente per la ciccia che fa ricordare Balanzone, parla in bolognese; il commissario Sportivo, con la sua dolcevita nera e i finti bicipiti, ha un marcato accento siciliano (presumo che farlo parlare in “calabrese” fosse un po’ esagerato…) Bertozzo è ligure, la giornalista (immagino la Cederna) napoletana e l’agente ha il doppio ruolo di pugliese e veneto. Bruni continua a cambiare registro linguistico e caratteriale, come del resto necessario per il suo lavoro, ed è davvero bravo.
È vero che, come del resto disse anche Fo, lo spettacolo è costruito direttamente sui verbali, senza aggiungere nulla; bisogna però dire che forse occorrerebbe qualche spiegazione in più, se si vuole continuare ad averlo come testimonianza e non come semplice farsa (il vescovo che parla in “tetesco bafarese”, l’originale nome del sedicente psichiatra Antonio Rabbi che è stato trasformato in Rogerio Maria Rabbi…) Insomma, chi non sa di cosa si parla o lo sa a malapena rimane a mio parere spiazzato.

Ultimo aggiornamento: 2019-12-20 13:00

<em>Gauguin e Van Gogh; Millet</em>

Ieri avevamo prenotato e pagato. Oggi non potevamo più tirarci indietro. Non importa che a dispetto delle previsioni solatie stamattina ci fosse una nevicata di quelle davvero toste, che faceva solo voglia di starsene tranquilli davanti al camino. Non importa che stamattina ci avessero comunicato che la nostra povera 147 fosse finalmente pronta: meglio, sarebbe importato se le condizioni climatiche fossero state decenti, ma oggi era fuori discussione prendere un mezzo di trasporto che non fosse il treno. Così ci siamo avviati per Brescia, alla mostra della stagione 2005-2006 (ingresso cumulativo 15 euro; chiude il 19 marzo).
L’inizio non è stato dei migliori: a parte la neve, la prenotazione via internet non funzionava, e arrivati in carrozza il capotreno ha gentilmente comunicato che saremmo partiti con dieci minuti di ritardo… perché la motrice era stata agganciata in ritardo. Non che fosse un problema insormontabile, visto che avevamo appositamente preso un treno con congruo anticipo per potere mangiare un boccone a Brescia, cosa che in efetti abbiamo fatto: non alla caffetteria del museo, che era strapiena come spesso capita quando la gente è comunque arrivata a vedere la mostra ma non vuole uscire per il freddo, ma a un bar a un centinaio di metri. Arrivati e fatta la nostra bella coda – non per i biglietti, ma per il guardaroba – siamo finalmente entrati a vedere la mostra, anzi le mostre, visto che oltre a quella principale su Gauguin e Van Gogh erano esposti una sessantina tra quadri e disegni di Jean-Francois Millet, tutti provenienti dal Museum of Fine Arts di Boston.
Innanzitutto bisognerebbe chiamare la mostra “le tre G”. Oltre ai due pittori, si ergeva alta e fiera la figura di Marco Goldin, il direttore di Linea d’ombra, la società coneglianese organizzatrice delle mostre lì a Santa Giulia. C’erano massime e aforismi di Goldin dipinte sui muri, libri di Goldin al bookshop, l’installazione multimediale a metà della mostra – l’ultimo grido della modernità per una mostra, a quanto pare – aveva una voce che recitava poesie di Goldin, e il video proiettato, dopo un interessante gioco di tridimensionalità con alcuni dei dipinti in mostra, presentava un atto unico di… come? avete detto Goldin? ma allora ci siete già stati! Lascio ai miei lettori, pochi ma indubbiamente intelligenti, decidere se è megalomania o un utile sistema sinergico per ridurre le spese.
A parte ciò, la mostra mi è sembrata molto piacevole. Rispetto a quanto vedemmo al Van Gogh Museum di Amsterdam, il periodo iniziale del pittore olandese presenta una serie molto più variegata di opere, soprattutto disegni, così come si può notare l’eclettismo giovanile di Gauguin prima che decidesse di passare al primitivismo. Anche i pannelli didascalici, e i frammenti di alcune delle numerosissime lettere scritte da Van Gogh, aiutavano a comprendere meglio lo svilupparsi delle carriere dei due grandi, e le loro relazioni e influssi reciproci. Anche la mostra su Millet aveva un senso nel contesto: Van Gogh infatti imparò a disegnare anche dalle stampe milleriane, e così è stato possibile confrontare alcuni quadri e personaggi, come il Seminatore, con gli originali che li hanno ispirati.

Ultimo aggiornamento: 2005-12-28 23:45

_A sua immagine_ (libro)

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Il libro (James BeauSeigneur, A sua immagine [In His Image], Editrice Nord 2005 [1988,1997,2003], pag. 389, € 18, ISBN 88-429-1364-2, trad. Vittorio Curtoni) ha come sottotitolo “un thriller teologico”. Non mi sono perciò stupito più di tanto a scoprire che il traduttore è Vittorio “old Vic” Curtoni, che si è sempre divertito con questo sottogenere (ma guarda, Vic, che si dice “alla Porta Palatina!”) L’idea di base è che la Sindone contenga delle cellule ancora vive (del Figlio di Dio? di un extraterrestre?) dalle quali si riesce a clonare un uomo che farà carriera all’interno di una ONU ormai a guida del pianeta. Il tutto condito da sindonologi, citazioni bibliche, ebrei messianici, spiriti guida new age, diplomatici più o meno intrallazzati, e missili nucleari. A parte lo scoop su chi fu a tradire davvero il Cristo – no, non è stata la Maddalena: Dan Brown qua non è di casa – ho trovato il libro piuttosto pesante, troppo infarcito di nozioncine e note a piè di pagina per far vedere quante cose l’autore conosce; e il disclaimer messo all’inizio e ricordato con una nota verso la fine del libro per evitarsi una fatwa cristiana mi pare francamente eccessivo…
È strano invece che abbia tre date di copyright, come se lo continuasse a riscrivere. Il libro devrebbe essere il primo di una trilogia, ma non credo che proseguirò.

Ultimo aggiornamento: 2018-12-15 18:15

L’oceano del tempo (libro)

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Roger MacBride Allen è uno degli ultimi epigoni del genere “fantascienza hard”, che cioè mette fortemente l’accento sulla parte “scientifica”, lasciando perdere tutte le sortite psicologiche e simili. Troviamo così in questo libro (Roger MacBride Allen, L’oceano del tempo [The Ocean of Years], Urania supplemento 22 – giugno 2005 [2002], pag. 391, €4.10, ISSN 977-1120-528019, trad. Fabio Feminò) una serie di lunghe spiegazioni su come ci si può muovere in un ambiente con muffe altamente velenose che ti si attaccano immediatamente addosso, oppure sulla differenza tra tempo cronologico, soggettivo ed oggettivo: il tutto in giro per lo spazio galattico, alla caccia del terraformatore Oskar DeSilvo, che – se è davvero ancora vivo – forse ha delle idee su come bloccare il declino dell’espansione galattica.
La trama si lascia leggere anche senza avere prima letto il primo volume della saga, Le astronavi del tempo (che io lessi, dimenticandomelo…) Il traduttore avrebbe però potuto leggere più attentamente il testo, e accorgersi di avere sempre scritto casualità invece che causalità

Ultimo aggiornamento: 2005-12-15 10:04