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_Breve storia di (quasi) tutto_ (libro)

[copertina] Bisogna sempre darsi degli orizzonti ampi. E non si può dire che il giornalista Bill Bryson non se li sia dati. Una volta che decise di voler sapere (quasi) tutto sul nostro pianeta, si è imbarcato in una ricerca che l’ha portato a scrivere questo librone (Bill Bryson, Breve storia di (quasi) tutto [A Short History of Nearly Everything], Tea 2008 [2003], pag. 589, € 9, ISBN 9788850215492, trad. Mario Fillioley) che spazia dalla fisica alla cosmologia alla geologia all’evoluzione per vedere come siamo potuti arrivare ad esistere. Lo stile è forse un po’ troppo americano per i miei gusti, quando ad esempio comincia a dire degli esperti che ha incontrato descrivendoli fisicamente, e soprattutto verso il fondo mi pare che l’editing non sia stato dei migliori, con frasi riscritte quasi uguali a distanza di alcune righe: il traduttore ha opportunamente consultato molti esperti ma si è poi dimenticato di spiegare che i trilioni e quadrilioni sono da intendersi all’americana. Ma complessivamente il libro è scritto in maniera davvero accattivante, e i pettegolezzi su come sono state fatte le varie scoperte scientifiche – comprese quelle che oggi crediamo vere ma non lo sono affatto – permettono di capire come le scoperte scientifiche sono sempre frutto di più idee e come non sia detto che il nome che noi associamo a una scoperta sia quello della persona che l’ha fatta davvero. Una lettura che vale la pena.

Ultimo aggiornamento: 2017-01-14 12:45

Torno sui miei passi (canzone)

Scheda:
autori: Beretta-Del Prete – Celentano
anno: 1967
edizione: Clan Celentano
tonalità: la maggiore
tempo: 4/4
struttura: Intro – Ritornello – Strofa – Strofa – Middle8 – Strofa – Ritornello – Strum. – Middle8 – Strofa – Ritornello
Non penserete mica che Adriano Celentano abbia iniziato a fare il predicatore con gli show televisivi del terzo millennio, vero? Macché! Già a metà degli anni ’60 alcuni dei suoi brani erano già contro quello che non gli piaceva, che in genere era tutto cio che non era fatto come lui avrebbe voluto. Torno sui miei passi è del 1967, ed uscì come lato B di La coppia più bella del mondo. Il testo è dei fidi Luciano Beretta e Miki Del Prete; la musica è del nostro Molleggiato, e in effetti si vede la differenza nella varietà – meglio, nella mancanza di varietà – degli accordi rispetto a quanto Paolo Conte aveva composto per l’altra faccia del 45 giri. D’altra parte, il brano è divertente sia nel testo che nella melodia, con il suo rifiuto di accettare il beat e la scelta di ” tornare sui suoi passi”, vale a dire fare rock. Peccato che poi abbia smesso…
Struttura armonica
Intro

      |La  |   |   |   |Mi7  |   |   |   |
La:    I                V

A dirla tutta, l’introduzione, più che un rock, a me ricorda i brani orchestrali dei primi anni ’50, probabilmente a causa dello stile orchestrale con una frase molto breve. Le otto battute dell’introduzione terminano con una cadenza che secondo me non c’entra un tubo con l’arrangiamento orchestrale dietro, né con il prosieguo del pezzo… ma tant’è. In effetti anche al termine del brano, dopo l’ultima ripetizione del ritornello, viene suonato un accordo di la6/9 che è una classica chiusa rock, ma di nuovo stona con il resto dell’arrangiamento. Chissà come mai c’è stata una scelta simile
Ritornello

      |La  |    |    |    |Mi  |    |(La)  |    |
La:    I                   V         (I)

Il ritornello è cantato da un coro, e la ripetizione della parola iniziale di ogni strofa (“Passano, passano… Cambiano, cambiano… Nascono, nascono…”) dà come l’idea che i nostri coristi siano lì a minacciare con il dito puntato il nostro Molleggiato. Sono anche disposto a perdonare l’evidente affronto alle leggi della musicalità perpetrato sballando tutti gli accenti tonici, per la risposta seguente di Celentano (“Come farò a stare a galla non so”), cantata mentre tutti gli strumenti tacciono di colpo. Musicalmente, le otto battute rafforzano ancora più la tonalità, con un passaggio I-V-I (quest’ultima solo teorica, visto che gli strumenti appunto non suonano). Notate come fino a questo momento gli accordi usati nella canzone sono solamente due.
Strofa

       |La  |    |    |    |Re7  |    |La   |    |Mi7 |    |(La)  |    |
La:     I                   IV          I          V          (I)

La strofa, dove Celentano esprime il suo manifesto rocchettaro, musicalmente è un classico twelve-bar blues. Presente Rock Around the Clock? Ecco, è esattamente la stessa cosa. Quattro battute sulla tonica, due sulla sottodominante (nella variante con l’accordo di settima minore, quello che dà una dissonanza blues: nel nostro caso il do naturale del re7 cozza con il do diesis nella tonalità di la maggiore), due di nuovo sulla tonica, due sulla dominante e le ultime due sulla tonica. A dire il vero, queste ultime due battute sono cantate senza accompagnamento, come le ultime due del ritornello, e in effetti c’è la stessa frase musicale che così fa da collante al brano. L’altro collante, se si vuole, è dato dall’accentazione musicale sempre separata da quella tonica: fortunatamente “rock’n’roll” e “beat” sono parole tronche, ma pas-SI e stra-DA sono indubbiamente accentate sull’ultima sillaba. L’intermezzo strumentale è simile alla strofa, ma rimane fermo sull’accordo di mi7 nelle ultime quattro battute; d’altra parte, essendo un intermezzo non c’è nulla di male a non farlo terminare sulla tonica.
Middle8

       |Do#7  |    |Fa#7    |    |Si7  |    |Mi7  |    |
La:     III          VI           II          V

Sempre per restare in tema di assoluta aderenza agli schemi classici, il Middle8 è composto di… otto battute. Esse formano un’unica frase, con un continuo giro di quinte discendenti; in pratica il classico concetto di cadenza V-I è portato all’estremo, visto che partiamo dalla “quinta della quinta della quinta della quinta della tonica” e man mano togliamo una matrioska. Questo trucchetto non è certo nato con Celentano: per fare un esempio beatlesiano, Cry for a Shadow usa lo stesso giochetto (come? non conoscete Cry for a Shadow? Beh, non è così strano visto che è stata incisa nel 1961 mentre i Beatles suonavano come session men del famosissimo Tony Sheridan). In Italia posso ad esempio citare la parte finale della strofa di Sotto questo sole di Francesco Baccini (“prendi la bici, andiamo, dai, si va…”) oppure il middle 8 di Bimba se sapessi di Sergio Caputo (“È sempre più difficile tirare avanti questo show…”).
Una struttura di questo tipo crea inevitabilmente un’aspettativa, che è poi rinforzata dal testo con le triplici ripetizioni delle parole chiavi (guardati, levati: sempre con doppio accento musicale sulla prima e sull’ultima sillaba), e soprattutto dal terzinato finale, un altro vecchio trucco per creare un’aria di attesa al termine di una struttura musicale.
Due parole finali
Come avete visto da questa analisi, non possiamo certo dire che la canzone fosse una novità rivoluzionaria nemmeno quarant’anni fa quando è stata incisa: rigidamente ancorata ai cliché del rock, e con un testo che faceva già presagire in nuce la svolta predicamentale di Celentano. Però non mi vergogno a dire che a me piace. Fosse per me, cambierei un po’ introduzione e chiusura, ma per il resto me la tengo stretta: forse perché a differenza del nostro, io la sento quasi come una presa in giro.

Ultimo aggiornamento: 2008-05-04 12:30

L’algoritmo del parcheggio (libro)

[copertina] (se vuoi una mia recensione più seria di questo libro, va’ su Galileo!) Un aneddoto. Nel 1982, quando ero una matricola a matematica, un dottorando faceva le esercitazioni di Analisi 1: noi gli appioppammo un tormentone a partire da una frase che pronunciò una volta, “ma sotto sotto… c’è una sottosottosuccessione”. Il dottorando di allora, dopo essere stato Rettore dell’Università di Udine, anzi “Magnifico” come lo chiamava la Littizzetto durante Chetempochefa, oggi di Udine è il sindaco. Parlo naturalmente di Furio Honsell, che ha pensato bene di scrivere un libro (Furio Honsell, L’algoritmo del parcheggio, Mondadori 2007, pag. 199, € 15, ISBN 9788804567257) pensato per i tanti signori Io Che Sononegatoperlamatematica, in breve I.C.S.
L’idea è ottima, il titolo perfetto, e anche il testo ha degli spunti interessanti, sia come leggibilità o per meglio dire lievità che da un punto di vista didattico. Ad esempio trovo molto chiara la spiegazione di come prima di dare una risposta occorra fare la domanda giusta: nell’algoritmo del parcheggio che dà il titolo al libro si può chiedere se l’algoritmo migliore sia quello che massimizzi la probabilità di trovare il parcheggio migliore (ma ci faccia rischiare di trovarne uno proprio pessimo) o quello che ci faccia parcheggiare meglio in media, rinunciando a puntare alla perfezione. D’altra parte ci sono anche molte pecche, guardandolo dal punto di vista del signor I.C.S. (il libro non è né vuole essere per chi la matematica l’ama già!). Molte volte i risultati sono solamente indicati senza non dico una dimostrazione ma nemmeno un’idea di come arrivarci, e potrebbero portare l’ignaro lettore a credere che la matematica funzioni più che altro per magia. Inoltre la scelta di non mettere formule è accettabile, ma quella di evitare le figure un po’ meno. I disegni di Bruno Bozzetto sono carini, ma sono ovviamente umoristici e non aiutano a capire…
In definitiva, può comunque essere un libro utile per avvicinare un po’ di persone e fare in modo che non abbiano più tutta quella paura per la matematica, ma forse è un’occasione un po’ sprecata.

Ultimo aggiornamento: 2008-04-29 08:30

Dizionarietto di parole del futuro (libro)

[copertina] Questo libretto (Tullio De Mauro, Dizionarietto di parole del futuro, Laterza (Universale 867) 2006, pag. 127, € 10, ISBN 978-88-420-8141-8) è la raccolta della rubrica tenuta da De Mauro su Internazionale che ogni settimana presenta in circa mille caratteri (meno di mezza cartella, meno di questa recensione) una parola “incipiente”: un termine cioè che non è ancora un neologismo, perché nei vocabolari non risulta ancora. Le parole non sono necessariamente italiane, e De Mauro ne traccia generalmente l’uso nelle principali lingue europee proprio per vedere la storia della loro diffusione. Alcune sono probabilmente note a chi mi sta leggendo, per esempio internettaro o sudoku; altre erano a me completamente ignote, come oseltamivir (un farmaco antinfluenzale, o meglio la molecola del principio attivo). Nonostante lo spazio ridotto dedicato a ogni lemma, cosa tra l’altro ideale per chi vuole centellinarsi il libro, De Mauro trova spesso il modo di fare un commento anche politico – in senso lato – relativo al termine. Quello che mi ha stupito di più sta in una nota nell’appendice, Dove nascono i neologismi?, appendice che dopo un bell’inizio mi ha però un po’ deluso finendo con una lista tassonomica. La parola latina “omissis” è usata praticamente solo in Italia, il che la dice lunga su come le parole abbiano bisogno di un humus specifico per prosperare. In generale, comunque, la lettura è piacevole.

Ultimo aggiornamento: 2008-04-27 10:32

Prima lezione di grammatica (libro)

[copertina] Serianni è uno di quegli autori verso cui ho dei pregiudizi (in senso etimologico). Tengo la sua Garzantina sulla grammatica italiana come oracolo per tutte le volte in cui ho dubbi su come si scrive qualcosa in italiano corretto. E nemmeno con questo agile libretto (Luca Serianni, Prima lezione di grammatica, Laterza – Universale 883, 2006, pag. 176, € 10, ISBN 9788842079194) sono stato deluso: anzi!
Non spaventatevi dal titolo: di lezioni, qua, non ce ne sono affatto. Piuttosto, Serianni non solo mostra al lettore come la grammatica italiana non sia scolpita nel granito, ma lo accompagna a vedere come e spesso perché le forme si evolvono, facendo confronti con l’italiano dei secoli passati e spesso con altre lingue. Gli esempi, corretti e no, arrivano dalle fonti più disparate: scrittori antichi e contemporanei, temi degli studenti (in genere errati…), articoli di giornale (in genere corretti). Ho scoperto cose per me assolutamente nuove – e anche qualche errore che commettevo – sulla lingua italiana; ad esempio che “provincie” con la i deriva direttamente dalla versione latina, e la regola che ci hanno insegnato a scuola è solo un’utile semplificazione.
Il tutto è scritto con un lessico assolutamente irreprensibile e tecnico, eppure comprensibile e anche divertente, forse anche perché Serianni più che normare e bacchettare vuole appunto bene alla nostra lingua; bene addirittura al punto di restare ottimista sul suo uso. Leggetelo, non vi pentirete.

Ultimo aggiornamento: 2008-04-25 19:45

Balla – la modernità futurista (mostra)

Cosa può fare un’acculturata coppia milanese in una domenica fondamentalmente solatia ma ancora freddina di metà aprile? Va per mostre, claro!
La scelta odierna è caduta su Balla, a Palazzo Reale fino al 2 giugno. Vittorio Sgarbi, che in qualità di assessore alla cultura milanese è lo sponsor della mostra, ha intonato dei peana dicendo che è eccezionale, e finalmente qualcuno ha avuto il coraggio di fare una cosa così grande e importante per un autore famoso ma negletto. Commento mio: bah.
Nulla da eccepire sulla quantità e qualità del materiale esposto, intendiamoci. Duecento opere, tutte sue, compresi molti bozzetti che a mio parere sono davvero utili per comprendere la genesi dei suoi quadri futuristi. Non metto neppur becco sulla scelta di rappresentare solo il periodo 1900-1929: anzi, apprezzo l’avere comunque voluto iniziare con il periodo pre-futurista che a me era totalmente ignoto e mi ha fatto scoprire opere come Villa Borghese – Parco dei Daini e soprattutto La giornata dell’operaio. Peccato però che all’interno della mostra non ci fosse una didascalia una, e che la bigliettaia non ci ha ricordato di prendere il fogliettino lì all’ingresso che effettivamente conteneva una serie di informazioni sulle opere che avremmo trovato. (Altra possibilità è stamparsi le informazioni dal sito, cercando di non accorgersi che hanno scritto in grassetto Riscostruzione anziché Ricostruzione).
Anche la disposizione della mostra non è delle migliori: non c’è un percorso ciclico il che significa che devi tornare indietro; sono state aggiunte delle pareti provvisorie non solo per creare più sale, il che è anche comprensibile, ma anche come contropareti – cos’è, non hanno ancora finito di rimettere a posto quell’ala del palazzo? Inoltre lo spazio è piuttosto angusto. C’è un video, un riassunto del film francese del 1972 “Balla e il futurismo”, che a posteriori ci ha salvato la visita perché ci ha permesso di porre in un contesto storico le opere che abbiamo visto; peccato che sia all’interno di una delle sale espositive, e senza una sedia “per problemi di spazio”, come dice un cartello appiccicato all’inizio della mostra.
Insomma, il tutto sembrava tanto un hard discount della cultura, con la piccola differenza che il biglietto è di 9 euro e di sconti non se ne parla, a meno che non siate soci Touring (chissà poi perché).

Ultimo aggiornamento: 2008-04-20 18:00

Virgole per caso (libro)

[copertina] La punteggiatura è sempre una brutta bestia; spesso leggendo certi sedicenti “testi” ci si chiede quali sostanze psicotrope siano state assunte dai loro estensori. Magra consolazione può essere sapere che questo triste stato dell’arte non è solo italiano, come mostra questo libro (Lynne Truss, Virgole per caso [Eats, Shoots and Leaves], Piemme 2005 [2003], pag. 219, € 14.50, ISBN 9788838461965, trad. Annalisa Carena). L’autrice, con humour tipicamente britannico, racconta la storia, l’uso e l’abuso dei vari segni di interpunzione, dalla virgola al punto all’apostrofo alle virgolette e ai trattini. Purtroppo per un lettore italiano l’utilità del libro è ridotta, a meno che non debba imparare a scrivere in inglese: anche se parecchi temi valgono in genere, molti dei consigli sono specifici per quella lingua, e la scelta di mettere tutte le traduzioni degli esempi inglesi come note a piè di pagina, senza quasi mai cercare degli equivalenti italiani – l’unico caso in cui li ho visti è stato il capitolo sui trattini – a mio parere si rivela perdente. Già l’anodino titolo italiano poteva essere sostituito con “Per un punto Martin perse la cappa”: in fin dei conti, l’originale “Eats, shoots and leaves” fa parte di una battuta su un panda per cui l’aggiunta di una virgola ha trasformato la frase “mangia germogli e foglie” in “mangia, spara e se ne va”. Per il resto nulla da eccepire, se non che mi sa che in fondo un “ingenuity” è diventato “ingenuità”.

Ultimo aggiornamento: 2008-04-18 14:59

prima dei risultati elettorali

Ci tengo a ricordare agli ascoltatori compulsivi delle proiezioni e degli exit poll che:
– i primi dati che arrivano sono dalle “regioni rosse” e quindi fortemente sbilanciati a sinistra e al centro (dove per “centro” si intende il piddì)
– ho ottime ragioni per credere che gli exit poll quest’anno saranno ritarati per evitare la figuraccia di due anni fa, e quindi saranno sbilanciati a destra per un punto o due percentuali
– io alle tre inizio una conference call, quindi me ne starò un po’ tranquillo; poi verso le 17.30-18 sarò qua per un’oretta o poco più a cazzeggiare via webradio.

Ultimo aggiornamento: 2008-04-14 13:22