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_L’inizio di tutte le cose_ (libro)

[copertina] Sono sicuro che qualcuno si lamenterà perché un teologo ha deciso di scrivere un libro dove si parla di scienza. Non credo che questi qualcuno si siano lamentati degli scienziati come Fritjof Capra che hanno scritto libri “teologici”, ma poco mi importa: preferisco per quanto possibile partire senza pre-giudizi. E in effetti questo libro di Küng (Hans Küng, L’inizio di tutte le cose [Der Anfang aller Dinge: Naturwissenschaft und Religion], Rizzoli 2006 [2005], pag. 263, € 18, ISBN 9788817012737, trad. Valentina Rossi), che racconta dell’inizio dell’universo, con una postilla sulla sua fine, merita la lettura. Innanzitutto Küng ha una prosa molto chiara e nemmeno troppo arzigogolata, anche se la sua formazione si sente chiaramente nello scrivere alcune parole con un trattino per farne risaltare l’etimologia e nel suddividere minuziosamente il libro in una gerarchia di sezioni e sottosezioni. Ma soprattutto, lavorando a Tubinga, ha avuto la possibilità di chiedere lumi ai suoi colleghi: e questa sinergia ha fatto sì che le parti in cui spiega il modello standard della fisica e la crisi dei fondamenti della matematica siano delle eccellenti introduzioni per chi non ha una formazione specialistica.
A parte le solite frecciate al Vaticano e al suo oscurantismo, citando ad esempio un documento di Pio XII che ancora nel 1941 ammoniva che il darwinismo non aveva nessuna prova a proprio favore, Küng non ha nessun problema ad accettare le teorie fisiche, né si mette a dire che la Bibbia “raffigura poeticamente il Big Bang”; anzi è contro questo modo di vedere le cose, perché ribadisce che il campo d’azione della filosofia e della teologia è separato e complementare a quello delle “scienze dure”. Trovo assolutamente corretto il suo affermare che, proprio per la natura stessa del metodo scientifico, questo non può applicarsi alla metafisica e chiedersi ad esempio “che cosa c’è prima del Big Bang”; sulla sua proposta di un percorso collaborativo tra i due campi scientifico e filosofico resto perplesso, anche perché non sono riuscito a comprenderla esattamente. In definitiva, però, un libro che ci permette di vedere le cose in maniera un po’ diversa dal solito, e ci costringe a mettere in azione il nostro cervello. Un plauso infine a Valentina Rossi e alla sua ottima traduzione, compresa di apparato di note.
Una chicca finale: da buon teologo, Küng riformula il teorema di incompletezza di Gödel dicendo che nessun sistema finito di assiomi può essere completo…

Ultimo aggiornamento: 2016-03-31 20:13

Sfide Matematiche

Sabato mattina, mentre ero a Usseglio, ho scoperto che era appena uscito Ah! Ci sono! di Martin Gardner, primo volume della collana Sfide Matematiche” di RBA Italia. Ho deciso che 5 euro per l’uscita iniziale non era poi una grande spesa, e me lo sono preso.
Per la cronaca, il libro e la prima metà di questo, ed è una ristampa anastatica dell'(introvabile) edizione Zanichelli che era uscita a suo tempo. Mi ha stupito il fatto che il libro fosse stato stampato in Spagna, poi ho scoperto che RBA è un gruppo spagnolo e il tutto ha iniziato ad avere un po’ più senso.
Potete vedere il piano dell’opera qua. Quaranta volumi a dieci euro l’uno, col trucco di dividerne alcuni in più parti ma anche alcune chicche, come le Ricreazioni Matematiche di Lucas (è roba di fine ‘800, vi avviso subito) e la Matematica Ricreativa di Perelman che non credo fosse mai stata tradotta in italiano.
Mi stupisce la logica di far pagare i libri in abbonamento esattamente come in edicola: dal mio punto di vista, a questo punto mi conviene di gran lunga prendere solamente i testi che non ho, oppure che ho in inglese. Contenti loro…
Dopo averne sparlato per un po’, devo però fare i complimenti a quelli della RBA, che finalmente daranno la possibilità a chi non si trova a suo agio con l’inglese di poter leggere alcuni testi introvabili. Iniziativa meritoria, insomma!
Aggiornamento: (16 settembre) considerando quante ricerche stanno terminando qua, mi sa che gli amici della RBA hanno dei problemi di comunicazione!

Ultimo aggiornamento: 2008-09-15 09:04

Interpretazione e creatività (libro)

[copertina] Laterza ha trovato una nuova nicchia di mercato: libriccini molto brevi, non esattamente economici (sì, dieci euro non sono una gran spesa, ma per il numero di pagine sono davvero tanti) e legati ad avvenimenti vari. Nella collana “I libri del Festival della Mente” è così uscito questo libretto (Toni Servillo e Gianfranco Capitta, Interpretazione e creatività, Laterza saggi tascabili 315 – luglio 2008, pag. 131, € 10, ISBN 978-88-420-8723-6) che è più che altro la trascrizione di una lunga chiacchierata tra l’attore e regista e il critico teatrale. Ci sono degli spunti interessanti, come quando Servillo racconta di come vede il teatro come orizzontale: non solo ci sono interazioni dirette tra regista e compagnia, ma anche il pubblico fa parte di questo gioco, e col passare delle repliche l’interpretazione può cambiare di volta in volta proprio perché – essendo il pubblico diverso – l’opera è diversa. Tutto questo ovviamente non si può fare nel cinema, dove il regista è l’unico che può assemblare i vari pezzi.
L’impressione finale del libro resta comunque quella di una certa “leggerezza”, o meglio impalpabilità: non fa male, però non lascia poi molto.

Ultimo aggiornamento: 2008-09-11 00:00

Principi di minimo – Forme ottimali in natura (libro)

[copertina] Questo libro di grande formato stampato dalla Normale di Pisa (Stefan Hildebrandt e Anthony Tromba, Principi di minimo – Forme ottimali in natura [The Parsimonious Universe], Edizioni della Normale, maggio 2006 [1996], pag. 295, € 35, ISBN 978-88-7642-178-5, trad. Cecilia Conti) intende mostrare in maniera “visiva” come la Natura tenda a semplificarsi in un certo senso la vita cercando di minimizzare superfici e volumi. La branca della matematica che studia la minimizzazione delle funzioni sotto alcuni vincoli si chiama calcolo delle variazioni, e ha una storia molto lunga, opportunamente raccontata nel testo. In fin dei conti, Newton dovette inventarsi l’analisi matematica per risolvere i problemi che si era posto!
Il libro cerca di mantenere un equilibrio tra la trattazione teorica – ma la matematica presente è elementare, si parla soprattutto di geometria – e disegni e immagini che mostrano come tali princìpi di minimo si applichino in pratica: spero che riusciate meglio di me a visualizzare le figure in tre dimensioni, che a me sono sempre risultate ostiche. In definitiva, un bel libro per avvicinare la gente alla matematica non tanto come materia ma come modo di vedere le cose.

Ultimo aggiornamento: 2008-09-10 07:00

Io vorrei… non vorrei… ma se vuoi… (canzone)

Scheda:
autori: Mogol-Battisti
anno: 1972
edizione: Numero Uno
tonalità: mi minore (strofa), mi maggiore (ritornello)
tempo: 4/4
struttura: Strofa – Ritornello – Strofa – Ritornello – Finale (strum.)
Credo che “Le discese ardite e le risalite” sia ormai una frase fatta, di quelle che si pensa esistano da una vita. Invece sono solo passati trentacinque anni da quando la coppia Mogol-Battisti scrisse questo brano, in cui il paroliere racconta nella sua maniera piuttosto criptica un modo di convincere una donna che è stata lei a farci tornare a sorridere alla vita, mentre il capellone di Poggio Bustone per una volta inserisce un numero di accordi molto più alto della sua dose usuale… almeno a prima vista.
Struttura armonica:
Strofa

      |Mim   Mim/Re |Lam7        |Lam6    Si    |Mim         |
Mim: i             iv                   V      i
    |Mim   Mim/Re |Lam7        |Lam6    Si    |Mim         |
    i             iv                   V      i
    |Sol   Do7+   |Fa7+   Si   |Mim    Mim7   |Do          |
Mim: III   VI      II     V     i              VI
Sol: I     IV      bVII   III   vi             IV
      |Mim   Mim/Re |Lam7        |Lam6    Si    |Lam6        |
Mim:   i             iv                   V      iv

La strofa è composta di sedici battute, almeno così dice lo spartito: io sarei tentato di dimezzare il tempo e quindi raddoppiarne il numero, ma mi adeguo. Queste battute divise in quattro gruppi da quattro con un formato melodico AABA’: in pratica il primo e il secondo gruppo sono identici, e il quarto quasi, mentre il terzo gruppo varia. La tonalità è solidamente incardinata in mi minore tranne che nel terzo gruppo dove si trova un tentativo di modulazione al sol maggiore, vale a dire alla tonalità relativa maggiore. Una struttura di questo tipo non è affatto rara, anche se probabilmente è più legata alle melodie degli anni ’20 e ’30, soprattutto per quato riguarda la modulazione nella terza sezione: un esempio più moderno di struttura AABA’ è dato da Good Morning Good Morning dei Beatles… ma si sa che nei Fab Four sempre si può trovare praticamente tutto!
Concentrandoci sulla parte melodica, notiamo che la sottosezione A presenta uno sviluppo assolutamente standard i-iv-V-i impreziosito da due effetti: una serie di passaggi melodico-cromatici nelle battute 1 e 3 che cambiano il colore dell’accordo, e l’asimmetria temporale ottenuta ritardando il passaggio dell’accordo di si maggiore alla seconda metà della battuta 3. L’effetto complessivo è quello di rallentare la velocità percepita del brano, che già non è veloce di suo. Addirittura le frasi cantate, ciascuna delle quali copre un gruppo di due battute, termina all’inizio della seconda, e non c’è nemmeno un gioco strumentale di riempimento armonico, proprio come se Battisti facesse fatica ad esprimere quello che sente e parlasse con frasi smozzicate.
La sezione B inizia con una serie di accordi maggiori per quinte discendenti, due per battuta, che possono appunto far pensare a una modulazione alla relativa tonalità maggiore; gli accordi sono spesso di settima maggiore, quindi leggermente dissonanti. La serie si ferma brutalmente con un tritono, il passaggio dal fa7+ al si (nemmeno una nota in comune!) che riporta il brano al mi minore, nonostante un’interrogativa cadenza sul do maggiore. Infine la sezione A’ termina la strofa con una cadenza sospesa _implicita_. Uno si aspetterebbe che il passaggio iv-V-iv (con pivot sul fa#, aggiunto all’accordo di la minore, invece che con il più usuale la aggiunto all’accordo di si) si completasse con un’altra istanza del si maggiore: e invece no. Ci si ferma lì in sospeso, mentre Battisti canta “ma se vuoi…” Una domanda che rimane in un certo senso senza risposta.
Ritornello

     |Mi     |La     |Si    |Mi     |La     |Si     |
Mi:   I       IV      V      I       IV      V
     |Mi     |La     |Si    |Mi     |La     |Si     |
      I       IV      V      I       IV      V

Il ritornello è formato da due ripetizioni identiche di una frase di sei battute, un numero non esattamente standard ma nemmeno troppo inusuale. In effetti qualcosa di strano c’è, anche se mascherato dalla struttura assolutamente rigida – un accordo ogni battuta – e dall’uso dei soli accordi di primo, quarto e quinto grado. Come già detto, il ritornello passa dal mi minore al mi maggiore, e fin qua non c’è nulla di strano. Le prime due battute, con la loro successione I-IV-V-I, formano una progressione piuttosto normale, che però viene in un certo senso contraddetta dalla successiva che porta a una cadenza evitata IV-V. Quaando nella seconda parte del ritornello Battisti canta all’ottava superiore, ci si potrebbe aspettare che il finale sia modificato per avere una cadenza autentica… e invece no, si rimane ancora una volta sospesi, pronti per tornare nella tonalità minore.
Se però guardiamo la progressione melodica invece che quella armonica, scopriamo che la situazione non è esattamente la stessa. Infatti abbiamo quattro gruppi di tre battute che si ripetono identiche, a parte naturalmente il salto di ottava. La linea melodica è formata da una discesa (ardita :-) ), una risalita e una seconda discesa; semplificando al massimo, i tre segmenti sono composti rispettivamente da fa#-mi-si (basso), mi-fa#-sol#-la, la-sol#-fa#. Questa differenza tra la struttura armonica e quella melodica assomiglia parecchio a quanto può accadere in poesia, dove il fluire delle parole e la struttura dei versi spesso vanno ciascuno per conto proprio, e credo che non sia stata lasciata per caso o per sbaglio.
Finale

     |:Mi     |La     |Si    :|
Mi:    I       IV      V      

Non c’è molto da aggiungere sul finale, che riprende le tre battute del ritornello – e in questo caso si sente che sono effettivamente tre – ripetendole dapprima sulla melodia, e poi a piacere per sfumare.
Due parole per terminare
Battisti, come del resto faceva spesso in questo periodo, ha scelto di non esagerare nella tessitura armonica e di limitarsi a pochi accordi senza voli pindarici. Il risultato però è tale che uno non si accorge nemmeno di questa povertà di accordi, e gli sembra di sentire molto di più di quello che c’è. Un indubbio segno di grandezza, come lo è la relazione perfetta tra quello che viene cantato e la melodia corrispondente; sono cose che non si notano consciamente, ma fanno il loro bell’effetto. Garantisco.
(e qui ve la potete riascoltare)

Ultimo aggiornamento: 2008-09-09 11:27

Chimica in versi (libro)

[copertina] Uno può anche capire perché Alberto Cavaliere, pur essendosi laureato in chimica, preferì evitare per quanto possibile di esercitare la professione, dandosi piuttosto alla scrittura. Le definizioni chimiche in questo libro (Alberto Cavaliere, H2O: Chimica in versi, Mursia – Interventi, 20042 [1926], pag. 247, € 14, ISBN 978-88-425-3282-8) sono tutte formalmente corrette: peccato – o per fortuna! – che siano scritte in versi. Per la chimica inorganica si hanno quartine di quinari, o se preferite distici di endecasillabi cesurati; per quella organica, dove si sa che i nomi sono più lunghi, la metrica varia. Così per l’idrogeno leggiamo che “È un gas insipido, / senza colore, / di peso minimo, / buon conduttore. // Anche, volendolo, / si liquefà, / ma con grandissima / difficoltà” e via rimando. Per la precisione questa è la ristampa della seconda edizione del 1965, quindi non è esattamente il testo che il giovane Cavaliere usò per studiare la materia e che poi dette alle stampe nel 1926, ma l’idea è comunque quella. Non so se possa servire per ricordarsi tutte le varie proprietà e formule; confesso di essermi perso nella seconda parte con la chimica organica, che del resto non ho mai studiato. Sicuramente però è una lettura divertente, anche se forse è meglio centellinarselo; la poesia dopo un po’ può diventare stucchevole.

Ultimo aggiornamento: 2008-09-09 07:00

_Galata – Museo del Mare_

Per la serie “evitiamo per quanto possibile la spiaggia”, domenica 17 agosto Anna mi ha gentilmente concesso di andare a Genova a vedere Galata, il museo marittimo. Il museo è grande. Molto grande. Ci abbiamo messo tre ore a visitarlo, per darvi un’idea. Il biglietto è adeguato, visto che costa dieci euro: nove con la Carta Più Feltrinelli, per la precisione. Non che nessuno ci abbia chiesto il biglietto, a dire il vero, né che ci siano guardie in giro: gli unici che ci è capitato di vedere sono stati alcuni alla bella mostra interna “La Merica” sull’emigrazione verso Ellis Island.
Galata è un museo di tipo didascalico, che racconta la storia delle navi e di riflesso del porto e di Genova dal 1400 al 1900. Ci sono dei reperti originali, soprattutto per quanto riguarda le armi, i libri e i dipinti di argomento navale, oltre che quelli raffiguranti il porto nei vari secoli; ma la parte più importante è sicuramente costituita dai diorama e dalle ricostruzioni, compresa quella di una galea di 40 metri studiata apposta per riempire uno dei locali dell’antica Darsena, dove il museo si trova. Ah, l’estetica è davvero bella, anche se la donna di casa che c’è in Anna mi ha fatto notare che ardesia sugli scalini e acciaio sui mancorrenti sono tanto belli, ma dovrebbero essere anche manutenuti. La multimedialità la fa da padrona, con voci che arrivano più o meno ovunque per integrare le spiegazioni dei numerosi cartelli (in italiano e inglese). Il museo di per sé dovrebbe essere pensato anche per i bambini, con un cartello all’ingresso che dice “lasciateceli qua, e tornate tra due ore”; e in effetti ci sono vari punti interattivi, come il “guida la barca verso Capo Horn”. Ma si sa che può capitare coi bambini: a un certo punto abbiamo sentito un improvviso rumore in una sala vicino a noi. Era nella “saletta dell”artista”, dove erano esposte alcune opere in terracotta di una tipa contemporanea. Diciamo che quando siamo poi passati noi di opere ce n’era una in meno, e c’erano un po’ di cocci in più. Se mi è concesso un giudizio critico, non è stata una grande perdita :-)
All’interno del museo c’è la solita caffetteria e il solito bookshop, ma anche una terrazza panoramica – senza un tetto, ma con vetri su tutti i lati – da dove è possibile vedere una parte del centro di Genova. Ultima raccomandazione: io non sono riuscito a trovare un guardaroba, e mi sono dovuto portare lo zaino per tutto il tempo. Non che fosse pesante, ma magari un turista “mordi e fuggi” potrebbe avere qualche problema!

Ultimo aggiornamento: 2016-01-13 17:37

Festival della mente

Sfruttando il fatto che Sarzana è poi a tre quarti d’ora scarsi di macchina da Chiavari – ci saremmo anche andati in treno, ma non c’era nessun treno per il ritorno dopo le 22:30 – venerdì 29 agosto siamo andati per la prima volta a vedere il Festival della Mente, arrivato quest’anno alla quinta edizione. La gita era stata pianificata con congruo anticipo: solo venerdì perché sabato saremmo tornati a Milano, biglietti per Toni Servillo e Stefano Bartezzaghi acquistati via Internet prima di partire per le vacanze. Ottima scelta, tra l’altro, visto che entrambi gli eventi erano esauriti.
Innanzitutto, due parole su Sarzana. Avevo letto dei negozianti locali che si lamentavano per la scarsezza e il costo dei parcheggi nella ridente cittadina lunigiana. Sul secondo punto posso in parte dare loro ragione: i parcheggi in centro sono da 1.20 l’ora fino a mezzanotte. Risultato pratico: sono andato a caccia di un posto gratuito, che ho trovato all’enorme distanza di trecento – no, forse erano addirittura quattrocento metri dalla zona centrale. Avrei potuto fare di meglio impegnandomi un po’ di piu, ma non credo proprio ne valesse la pena. Sarzana è molto carina come cittadina.. tenuto presente che in un’ora la si è visitata tutta in lungo e in largo, se si esclude la Fortezza Firmafede che tanto non era accedibile causa appunto il Festival. In compenso l’organizzazione mi è parsa assolutamente inadeguata. Moltisimi volontari, tutti con la loro bella maglietta, su e giù per la città; ma per riuscire a ritirare i nostri biglietti abbiamo fatto dieci minuti di coda con due (2) persone davanti a noi, e a due ore buone dai primi eventi a pagamento. La mia sensazione, ma potrei sbagliarmi, è che quest’anno hanno voluto fare le cose in grande ed esagerato con l’offerta, senza essere preparati per un simile salto. Un altro esempio di questi problemi organizzativi lo si è visto per l’ingresso nella piaza d’armi della fortezza Firmafede, per sentire Servillo: arrivati alle 21:10, ci siamo fatti un quarto d’ora di coda per riuscire ad entrare, e quelli dietro di noi direi anche di più, tanto che si è iniziato con una ventina di minuti di ritardo. D’altra parte, il luogo era sicuramente molto suggestivo, ma onestamente mi chiedo come abbiano fatto a dare il permesso di mettere mille persone in un posto con una sola, stretta, uscita; se volete, il miracolo è che il deflusso è stato ordinato e non all’italiana.
Anche la cena, in uno dei tanti ristorantini del luogo, è stata mal gestita: saremmo stati noi che non avevamo espresso chiaramente la nostra necessità di fare relativamente in fretta (avevamo un’ora, comunque), ma nessuno ci ha detto che prendere una grigliata ci avrebbe fatto aspettare molto piu tempo che una banale pizza.
E gli interventi? Molto belli. Bartezzaghi è partito da Anassagora per affermare che nel gioco di parole in fin dei conti non si aggiunge nulla, ma si mettono le cose (le lettere) in modo diverso. Da lì è partito per un giro di concetti enigmistici e no, molti dei quali non certo noti al pubblico (la battuta dove tutti dicono “fa caldo” fino a che un inglese si alza e domanda “who is Aldo?” ha lasciato la platea silente, anzi puzzled) per arrivare a Don Chisciotte che quando si mette in testa come elmo una bacinella fa l’equivalente fisico di un gioco di parole e a Marcello Marchesi che nel tradurre la frase di Obelix si accorge che “sono pazzi questi romani” ha in sé l’acronimo SPQR. Chi è stato allora a fare il gioco di parole?
Servillo è bravissimo, e questo lo si sa già, anche solo recitando poesie. Ha inoltre una capacità incredibile di tenere avvinto il pubblico: quando prima di recitare la poesia su Napoli si è tolto la giacca e arrotolato le maniche, con una semplice alzata di spalle e un sorriso ha fatto partire un applausone. Però non ho capito esattamente la scelta delle poesie. “Appunti di viaggio” sarebbe dovuta essere una specie di giro d’Italia; invece dopo Genova, Napoli e Roma ha continuato con testi belli, ma senza una connotazione forte. Misteri.
In generale però, come accennato, una bella esperienza: anche uscire alle 23 e trovare tanta gente a girare tranquillamente e amabilmente per le vie è una cosa piacevole, e soprattutto ti fa capire come sia anche possibile non avere sempre e continuamente fretta!

Ultimo aggiornamento: 2008-09-08 06:00