Archivi categoria: recensioni

_Psicobufale_ (libro)

[copertina] Dalle barzellette con psicanalista e relativo lettino ai film hollywoodiani, la professione dello psicologo è sempre stata vista con un misto di timore e rispetto quasi magico. In fin dei conti non possiamo vedere quello che c’è dentro la nostra testa, e se immaginiamo che ci sia qualcuno in grado di farlo allora come prima cosa ci mettiamo sulla difensiva, ma subito dopo vediamo se riusciamo a carpirne i trucchi. In questo libro (Silvia Bianconcini, Psicobufale, Rizzoli 2008, pag. 180, € 15, ISBN 978-88-17-02553-9) l’autrice, psicologa, spiega quali sono le cose che noi tutti “sappiamo” riguardo alla psicologia e agli psicologi ma che in realtà sono false: le psicobufale, per l’appunto. Lo stile di scrittura è leggero, e i vari argomenti sono trattati ciascuno in poche pagine – si capisce che l’autrice è abituata a scrivere sul suo blog. Diciamo che dopo un po’ si nota una certa ripetitività, anche perché il messaggio di base – che gli psico-cosi non sono degli indovini, non possono lavorare a macchinetta, e che ogni persona è un caso a sé – non è che possa essere detto in chissà quanti modi diversi. Probabilmente il modo migliore per gustare il libro è leggere un capitoletto ogni tanto: a questo punto sarà più semplice capire che la depressione tanto di moda al giorno d’oggi non è poi altro che l’esaurimento nervoso di qualche lustro orsono e che entrambi i termini non significano in realtà nulla!

Ultimo aggiornamento: 2017-05-18 14:52

A Disappearing Number (teatro)

Non è che io fossi molto convinto di uno spettacolo teatrale sulla vita di Srinivasa Ramanujan, per di più in inglese. Però Anna era interessata e così ieri siamo stati al Piccolo – che comunque era pieno: è vero che lo spettacolo è rimasto in cartellone solo tre giorni, ma non mi aspettavo tutta questa sete di cultura – a vedere A Disappearing Number, dell’inglese Simon McBurney. Beh, ho fatto bene a seguire il consiglio.
Dal mio punto di vista, naturalmente, la parte aneddotica sul matematico indiano non ha certo aggiunto nulla, anche se immagino possa essere stata interessante per chi non conosceva la storia, e comunque gli intermezzi in cui Godfrey Hardy racconta la storia sono sicuramente un bello spaccato che mostra come anche i britannici dell’inizio del secolo scorso fossero ben razzisti anche loro. Ho però trovato davvero favolosa la messa in scena, con una multimedialità non fine a sé stessa ma che riempiva la trama, e una struttura complessa, con tre filoni temporali intrecciati (la vita di Ramanujan, Hardy che a fine anni ’30 racconta le vicende del suo compagno di ricerche, e tre personaggi contemporanei) con un continuo flashback e flashforward e il ripetere ossessivo di alcune frasi, quasi a indicare lo sviluppo della matematica che riprende sempre quanto già fatto e cerca di vedere se può essere sviluppato in maniera nuova. Alcune cose però ammetto che non le ho capite, come l’orologio digitale nell’aula di matematica che andava più o meno al doppio della velocità reale.
Nota di demerito ai sopratitoli, invece. È stata una fortuna che, dopo i primi minuti dove Ruth scriveva freneticamente formule matematiche alla lavagna parlando a una velocità impossibile, il resto della rappresentazione fosse pronunciata normalmente, perché se uno avesse dovuto basarsi sui sopratitoli si sarebbe perso metà dei dialoghi e avrebbe spesso capito ben poco del resto. Ad esempio, “pi greco” veniva regolarmente indicato come “p“; quando il fisico d’origine indiana andò a tenere una conferenza al Cern lo salutò come il posto dove nacque “Internet” (ovviamente lui ha detto “il World Wide Web”); gli “hedge funds” sono banalmente diventati “borsa”; e così via. Passi per l’ultimo punto :-), ma in questo modo mi sa che per buona parte del pubblico la parte teatrale sia comunque rimasta apprezzabile e però la parte scientifica si sia persa del tutto. In compenso non ho capito quale fosse il “numero scomparso”, a meno che non fosse quello telefonico che Alex cercava di farsi riassegnare.
Trovate qua il sito della compagnia, con qualche notizia in più.

Ultimo aggiornamento: 2008-11-10 14:41

_Strani universi 2_ (libro)

[copertina] Il romanzo breve non è un genere molto apprezzato in Italia, nemmeno nella ristretta famiglia della fantascienza. Io personalmente trovo la cosa un peccato, e ho molto apprezzato questa raccolta dell’Editrice Nord (AA.VV., Strani universi 2, Editrice Nord 1999, pag. 303, ISBN 9788842911012.JPG, trad. Luca Landoni) con i cinque finalisti dei premi Hugo 1999. Le cinque opere presenti sono di stile molto diverso tra loro, il che è in fin dei conti naturale visto che la SF non è certo un blocco monolitico. Catherine Asaro in Aurora a quattro voci fa il suo compitino di SF hard, che sarebbe senza infamia e senza lode se non fosse stato massacrato dalla traduzione. Non c’è nulla di male a non sapere di matematica, ma quando la matematica è il filo che tiene su la storia tradurre pedestramente ad esempio “integral numbers” con “numeri integrali” fa perdere tutta la poesia. Greg Egan con Il culto degli oceani (il vincitore dell’Hugo in quell’anno) ci porta a vedere lo scontro tra una religione quasi speculare a quella cristiana e la scienza che arriva a far distruggere tutte le certezze della fede, inserendoci già che c’è un pizzico di fisiologia non-umana. Terry Bisson, con In chiesa per tempo, è un fantastico esempio di fantascienza scanzonata, che fa tornare in mente il Fredric Brown dei tempi migliori. Forse può sembrare la trama di una sitcom, ma la storia è assolutamente godibile, pur con certi accenni a un universo diverso dal nostro, ma non troppo; e il problema non è scoprire che a New York non ci sono più ritardi oppure vedere che c’è chi è pronto a lanciare le farfalle a tempo debito perché gli uragani capitino nel weekend quando ci sono meno notizie da dare. Di tutt’altro genere Le isole dell’estate di Ian MacLeod: abbiamo qui un’ucronia ambientata negli anni ’40, dove gli sconfitti nella prima guerra mondiale sono stati gli Alleati e il nazismo si è formato in Gran Bretagna. Infine La storia della tua vita di Ted Chang, un esempio di storia basata sulla xenolinguistica che parte piuttosto lentamente ma poi riesce ad attrarre il lettore (anche perché fortunatamente qui gli svarioni matematici non sono su punti essenziali). In definitiva una bella raccolta, non c’è che dire.

Ultimo aggiornamento: 2015-06-25 20:49

_Giochi Matematici – enigmi e rompicapi_ (libro)

[copertina] Credo che Ian Stewart sia ormai relativamente noto anche in Italia, per quanto possa essere noto un matematico che si occupi di matematica (Piergiorgio Odifreddi quindi non conta :-) ) RBA Italia recupera un suo vecchio libro (Ian Stewart, Giochi Matematici – enigmi e rompicapi [Game, Set and Math], RBA Italia – Sfide Matematiche 5 – 2008 [1989], pag. 247, € 9.99, trad. Angela Iorio) , che contiene una serie di articoli scritti nella seconda metà degli anni ’80 per Pour la Science, l’equivalente francese di Le Scienze. Ora, si dà il caso che io possegga da una quindicina d’anni l’edizione inglese Penguin, quindi abbia potuto fare un confronto diretto. Per quanto riguarda i temi trattati, sono sicuramente accattivanti, e non troppo complicati per un lettore appassionato di matematica ricreativa ma senza un Ph.D.; la classica ripartizione tra curiosità e problemi è rispettata, lasciando la giusta varietà. Bisogna però aggiungere che hanno fatto di tutto per rendere le cose difficili al lettore italiano. Le immagini hanno una qualità assolutamente degradata, tanto che non è possibile ad esempio capire come sono fatti gli anelli borromei; ma quello che è peggio è la traduzione. D’accordo: Stewart ha esagerato con i giochi di parole – e poi osa anche lamentarsi che la traduzione francese di Philippe Boulanger fosse “parecchio liberale”. Non pretendo di trovarmi una resa del gioco di parole del titolo: in fin dei conti per quindici anni, nonostante una prominente palla da tennis piena di formule matematiche in copertina, mica me n’ero accorto. Né pretendo che il dialogo tra Stewart e Pierre de Fermat sia scritto con quest’ultimo che usa termini similseicenteschi, anche se non sarebbe stato così difficile. Se però si “traduce” «to give the die a quarter of turn» con «facciamo a turno per lanciare il dado», risulta assolutamente impossibile risolvere il gioco proposto. E allora che ricreazione matematica è?
(Sulla pagina di aNobii indicata nel link in alto, come sempre, la lista degli errata corrige che ho trovato)

Ultimo aggiornamento: 2016-01-18 07:08

Firmino (libro)

[copertina] Ne parlano tutti da mesi. È finito nella top ten delle classifiche. Insomma, quando mi è capitato per le mani ho deciso di leggermi questo Firmino. (Sam Savage, Firmino. Avventure di un parassita metropolitano [Firmin. Adventures of A Metropolitan Lowlife], Einaudi Stile Libero Big 2008 [2006], pag. 183, € 14, ISBN 978-88-06-19258-7, trad. Evelina Santangelo). Risultato: bah. Non sono davvero riuscito a capire cosa ci abbiano trovato in quello che per la prima metà è praticamente un esercizio di stile letterario, che immagino abbia fatto impazzire la povera traduttrice che è dovuta andare alla caccia delle traduzioni ufficiali. Che il protagonista sia un “topo di libreria”, invece che un più banale esemplare di homo sapiens, non è che poi mi cambi molto la vita; le uniche parti davvero belle dal mio punto di vista sono quelle in cui viene descritto il vecchio quartiere di Boston e la “necessità” di raderlo al suolo, e lo scrittore Jerry che si scusa per chiedere soldi per i suoi libri, promettendo che quando verrà la rivoluzione i libri saranno gratuiti. Un po’ poco per quello che dovrebbe essere un capolavoro.

Ultimo aggiornamento: 2008-10-27 13:47

_La magia dei numeri_ (libro)

[copertina] Clifford Pickover lavora(va?) a Yorktown Heights, il mitico centro di ricerca dell’IBM. Come secondo lavoro, si è sempre dilettato di matematica ricreativa. In questo libro (Clifford Pickover, La magia dei numeri [Wonders of Numbers, Adventures in Mathematics, Mind and Meaning], RBA Italia – Sfide Matematiche 4 – 2008 [2001], pag. 350, € 9.99, trad. Angela Iorio e Rossella Pederzoli) troviamo il suo alter ego, il dottor Francis O. Googol (no, non è un gioco di parole su Google: al limite è Google che prende il nome dal googol) troviamo vari problemi e fatti matematici. Alcuni dei problemi, come la terza sezione sulle Delizie Digitali Diabolicamente Difficili, sono interessanti soprattutto per chi è interessato a programmare un computer e vedere cosa riesce a tirarci fuori… anzi per un professore di informatica che voglia far capire ai propri studenti che scrivere un algoritmo decentemente veloce non è immediato. Di per sé dovrebbe anche essere possibile scaricare codice già pronto, ma il sito http://www.oup-usa.org/sc/0195133420/ non era raggiungibile mentre scrivo queste note. La sezione sulle liste di matematici e numeri è anche interessante, soprattutto per chi non è affatto a conoscenza della materia. In definitiva, però, non è poi un libro così interessante: inoltre – ma mi chiedo se sia proprio la sfortuna di Pickover – la traduzione lascia in vari punti a desiderare e ci sono numerosi refusi, alcuni che rendono anche impossibile capire il gioco. Sulla pagina di aNobii trovate una lista di errata corrige.

Ultimo aggiornamento: 2016-12-24 20:39

Come sono diventato stupido (libro)

[copertina] Questo (Martin Page, Come sono diventato stupido [Comment je suis devenu stupide], Garzanti 2005 [2001], pag. 122, € 7,50, ISBN 978-88-11-67844-1, trad. Roberto Rossi) è un libretto molto strano (a parte la stranezza che nell’edizione originale del 2002 che ho letto il titolo nelle pagine interne è “Perché sono diventato stupido”…). La storia di per sé non è chissà cosa: il giovane Antoine, pronto a studiare qualunque cosa pur di non fare nulla di specifico, decide che la sua intelligenza lo sta rovinando e quindi cerca di vedere come obnubilarla, finendo a fare il perfetto yuppie… salvo poi venire salvato dai suoi amici improbabili come lui. Ma in effetti, un po’ come il miglior Benni, il libro vale la pena di essere letto per le divagazioni e le scenette che lo compongono, dal ristorante islandese dove gli amici si riuniscono senza capire assolutamente quali piatti vengano loro propinati ai cento milioni di franchi guadagnati in borsa quando Antoine rovescia il suo caffè (decaffeinato) sulla tastiera del PC alla scuola di suicidio. Non tutto è però uscito così bene: la tiratona sul perché essere intelligenti è una malattia per giunta non riconosciuta dal resto del mondo è lunga e stucchevole. Direi comunque che vale la pena di passare qualche ora nella lettura. La traduzione mi sembra “correttamente pesante”, e direi che è stata la giusta scelta stilistica.

Ultimo aggiornamento: 2008-10-21 12:29

Wall-E (film)

[locandina]Due film in due settimane è una cosa incredibile, per il sottoscritto. D’altra parte eravamo a Novara, non siamo riusciti a visitare la cupola di San Gaudenzio (fare visite gratuite a numero limitato senza prenotazione è una follia), e così ci siamo infilati in uno dei residui cinema novaresi a gustarci Wall-E, l’ultimo film della Pixar.
Il film, come sempre, è scritto per gli adulti, pur lasciando un contesto tale da far divertire anche i bambini; si segue insomma la sana vecchia abitudine del comprare i trenini giocattolo per far divertire il genitore. Confesso di non aver colto almeno metà delle dotte citazioni rinvenute da altri critici: le uniche indubbiamente chiare sono state per me “il blu è il nuovo rosso”, e la musica di “Also sprach Zarathustra”. Aggiungo anche che la trama è insolitamente fallace pur accettando la solita suspension of disbelief iniziale; mi viene quasi in mente che alla Pixar abbiano tentato di far dimenticare la cosa con una grafica che per la prima metà del film è più che eccezionale. La morale del film, “muovi il culo e fai qualcosa per evitare che il tuo pianeta sia sommerso dai rifiuti” è lapalissiana, anche se il tema forse per gli italiani è un po’ troppo scontato (compresi i video che non sono del presidente degli USA ma del CEO della super-iper-corporation, nonostante a prima vista sembri l’opposto… ma da noi non farebbe differenza). Detto tutto questo, a me il film è piaciuto, anche se mi ha lasciato come spesso accade un senso di tristezza. Ah, una cosa davvero meritevole sono le immagini nei titoli di coda, che raccontano inizialmente cosa succede dopo la fine del racconto e poi ripercorrono il film stesso. Consiglio di guardarli attentamente.
Noticina finale: ho detto che il film è più per adulti che per bambini. Però, quando Eve riassembla Wall-E, cambiandogli anche tra l’altro una scheda bruciata, e quest’ultimo riaccendendosi non riconosce l’altro robot, un ragazzino vicino a noi ha detto “Per forza: gli ha cambiato la scheda!”. Magari certe cose loro le capiscono meglio di noi!
(siti ufficiali: italiano e inglese)

Ultimo aggiornamento: 2008-10-20 14:39