Archivi categoria: recensioni

_Donna o tigre?_ (libro)

[copertina] Altra ristampa di uno dei tanti libri di Smullyan, anche questo (Raymond M. Smullyan, Donna o tigre? [The Lady or the Tiger? and other logic puzzles], RBA Italia 2009 [1948, 1992], pag. 184, € 9,99, trad. Stefano Evangelisti) parte con una serie di problemini da risolvere con la logica, valutando i vari indizi che sono forniti e arrivando a volte ai metaindovinelli, quelli cioè che si possono risolvere senza sapere la risposta a una domanda specifica, ma sapendo che – se la si sapesse – allora lo si potrebbe risolvere. Un po’ contorto, ma la logica a volte lo è. La seconda parte del libro tratta invece di uno dei cavalli di battaglia di Smullyan, il teorema di Gödel: come già in altri suoi libri, vengono fatti alcuni esempi che man mano portano a un teorema di tipo Gödel in un ambiente ridotto, legati alla costruzione di macchine che seguano una certa logica. In questo caso si fa notare la differenza tra teorema vero e teorema dimostrabile, e si arriva anche al problema dell’halting. Come già negli altri casi, un libro per gli amanti della logica, anche se non facilissimo da seguire. Nota: all’interno del libro il nome del traduttore (che ho ricavato dall’edizione originale Zanichelli) non è indicato, e questo non è bello. La traduzione di Stefano Evangelisti in sé è comunque buona, anche se un po’ datata; c’è uno svarione con le figure a pagina 12 e 16 invertite, ma non penso sia colpa sua.

Ultimo aggiornamento: 2023-01-04 17:44

_L’ossessione dei numeri primi_ (libro)

[copertina] Nel caso dell’ipotesi di Riemann, a differenza del Teorema di Fermat, è già complicato spiegare l’enunciato: non parliamo naturalmente della dimostrazione. John Derbyshire, matematico di formazione e giornalista di professione, ha pensato di raccogliere la sfida e ha scritto questo libro (John Derbyshire, L’ossessione dei numeri primi [Prime Obsession], Le Scienze 2009 [2003], pag. 403, € 11.80, trad. Angela Iorio) che racconta la storia dei tentativi di soluzione dell’ipotesi. (L’edizione che ho letto io è quella pubblicata per Le Scienze, che stata licenziata da Bollati Boringhieri) Derbyshire ha deciso di separare i capitoli: quelli pari raccontano in maniera più o meno romanzata la storia dell’ipotesi e dei matematici che vi si sono cimentati, mentre quelli dispari sono più tecnici, anche se l’autore promette di non usare praticamente mai l’analisi matematica (e non “senza introdurre alcun calcolo”, come è stato tradotto… L’inglese “calculus” non sono i calcoli!). Ci è riuscito? Mah. La parte matematica non è comunque così facilmente comprensibile, e lo stile è un po’ troppo pettegolezzaio per i miei gusti… però probabilmente è il modo migliore per rendere appetibile la materia a chi non è un esperto del campo.

Ultimo aggiornamento: 2017-07-09 19:34

La Morsa (libro)

[copertina] Loretta Napoleoni, pur essendo italianissima, ha la curiosa caratteristica di vedere i propri libri tradotti in italiano; vive infatti all’estero dagli anni ’80 e scrive direttamente in inglese. In questo caso, però, il libro (Loretta Napoleoni, La morsa, Chiarelettere 2009, pag. 186, € 13.60, ISBN 9788861900790) è stato scritto e pubblicato inizialmente in italiano.
Il libro parte dalle competenze dell’autrice, che è una economista specializzata nell’economia del terrorismo, e fa una lettura della crisi economica attuale come legata sì al terrorismo, ma in maniera completamente diversa da come è stata rappresentata dai media. In pratica, da un lato la finanza islamica era già nata con la crisi del sudest asiatico negli anni ’90, specialmente in Malesia; la politica di indebitamento USA verso l’estero e il Patriot Act del 2003 l’hanno rafforzata e hanno creato una nuova fonte di guadagno per gli estremisti islamici che fino al 2001 erano in difficoltà economiche; le economie dei cosiddetti “stati-guscio” nelle zone di guerra e il riciclaggio del denaro sporco ora non più fatto negli USA hanno portato centinaia di milioni di euro nelle casse di questi gruppi. Dal punto di vista occidentale, la Gran Bretagna e soprattutto Londra erano diventate il vero paradiso fiscale per i nuovi arricchiti. Le “città nel deserto” Dubai e Las Vegas erano invece i simboli dell’economia farlocca degli ultimi dieci anni: nemmeno capitalista, secondo l’autrice, proprio perché basata sulla carta e non sul confronto tra le classi sociali. Il sistema finanziario attuale è così marcio che tanto vale nazionalizzare tutto senza aver paura di sembrare socialisti, buttare via tutto quello che non serve e ricominciare da capo, tornando a privatizzare tra qualche lustro.
Le tesi del libro sono molto interessanti e sicuramente non possono essere scartate come mattane o stupidaggini; la sensazione però che ho avuto è che la “morsa” del titolo sia uscita male. Le due parti su terrorismo e finanza islamica da un lato, e politica economica USA dall’altro mi sembrano poco correlate tra loro, un po’ come se il libro fosse composto da due saggi separati ma impaginati insieme.

Ultimo aggiornamento: 2009-04-25 07:00

Zio Pesce (ristorante)

Non ho ben capito se sia parte di una catena in franchising o cos’altro, anche se sono ragionevolmente certo che ci siano altri locali con un target diverso nella stessa catena. Ad ogni modo, sabato siamo andati a cenare al ristorante Zio Pesce di via Cicco Simonetta a Milano. (È all’8 e non al 7 come afferma Google, il che significa un isolato e mezzo di distanza, tra l’altro)
I miei giudizi enogastronomici non sono mai molto validi, mi sa; devo dire però che ho apprezzto sia i miei ravioli di pesce con gamberoni e porcini – occhei, secondo me i funghi c’entravano poco o nulla – che la bistecca scottata di tonno con patè di olive taggiasche. Anche il conto – 39 euro a testa – è accettabile. In compenso, assoluto pollice verso per il vino bianco consigliato per il menu (un Catarratto o qualcosa del genere, che aveva anche un buon bouquet ma un retrogusto di un acido da fare paura); e poi c’è il solito problema di tutti i ristoranti a Milano, che hanno troppi tavoli e un’acustica pessima che costringe a urlare per farsi sentire e mi fa perdere il gusto del mangiare che già non ho in quantità enorme.

Ultimo aggiornamento: 2009-04-21 07:00

Il grande inganno del Web 2.0 (libro)

[copertina]Il Grande Inganno di cui parla questo libro (Fabio Metitieri, Il grande inganno del Web 2.0, Laterza – Saggi Tascabili 322 – 2009, pag. xiii+169, € 12, ISBN 978-88-420-8917-9) è quello secondo cui oggi la Rete permette finalmente di abolire le barriere e fa in modo che ognuno possa pubblicare autonomamente: tanto poi ci penserà l’intelligenza collettiva a far risaltare le cose più importanti e interessanti. Metitieri è stato sempre una voce fuori dal coro e anche in questo saggio non si è smentito: mena infatti fendenti a destra e a manca, non solo agli “attori 2.0” ma anche ai media tradizionali che sono passati dal negare l’importanza di internet allo sminuirla, cercando solo veri o presunti scandali al suo interno.
Però a mio parere la vis polemica ha portato l’autore a perdere un po’ di vista la sua tesi principale, e cioè che da un lato oggi risulta sempre più difficile validare e valutare la correttezza di un fatto, perché non ci sono più fonti autorevoli, e dall’altro si nota come la gente stia perdendo il proprio senso critico e si limiti a ricerchine banali senza un’analisi critica dei primi risultati che escono. Aver passato buona parte del libro a denigrare i blog, generalmente prendendo come esempio per antonomasia i saggi di Giuseppe Granieri, dà loro troppa importanza, e nasconde appunto il vero e condivisibile problema dell’affidabilità delle fonti. Nonostante ciò, il libro è davvero consigliabile, sia per i sedicenti esperti del ramo che potranno trovare una serie di fonti delle quali non si parla mai che per coloro che non hanno molta esperienza, e finalmente si troveranno spiegate in italiano corrente le varie buzzword (cioè le parole che sono sulla bocca di tutti e che sono a torto o ragione ritenute importanti) sui temi di rete.

Ultimo aggiornamento: 2009-04-20 07:00

Corriere dei Piccoli (mostra)

[locandina] Sfruttando l’apertura pasquettale, e considerando che non avevamo deciso di andare a fare un picnic, lunedì Anna e io siamo stati alla Rotonda della Besana a vedere la mostra Corriere dei Piccoli, in occasione del centenario della nascita dello storico giornalino. La mostra rimarrà allestita fino al 17 maggio, quindi avete ancora tempo per andarla a vedere.
Occhei, io inizio a chiedermi come sia possibile che non sia possibile pagare il biglietto di ingresso con un banale bancomat, ma uno sia costretto a usare il contante. Nel 2009. A Milano. Ma facciamo finta di nulla e parliamo della mostra vera e propria. Il materiale presente è indubbiamente interessante, e soprattutto intelligentemente messo nel contesto. Le coppie di cartelloni con il Corrierone sopra e il Corrierino sotto sono a mio parere un modo immediato per accorgersi di come il giornaletto per i piccoli serviva a dare loro esattamente la stessa visione del mondo che poi li avrebbe accompagnati da grandi: cosa ben nota già all’epoca, come si può evincere dalla copia del concorrente Cuore, pubblicata dall’Editoriale Avanti! e in diretta contrapposizione proletaria. La mostra dovrebbe essere stata studiata per grandi e piccoli, tanto che a ciascun cartellone didascalico ne è associato un altro ad altezza bimbo con il testo teoricamente adattato, anche se spero che non mi capiti mai di parlare così complicato a un decenne. Immagino che i laboratori creativi per i bimbi siano simpatici, così come lo è l’animazione di Cocco Bill e Trottalemme che si muovono insieme ai visitatori; lunedì la mostra era praticamente vuota, e quindi ce ne siamo accorti.
Gli anni dal ’60 alla morte per consunzione del settimanale sono fatti forse scorrere via più velocemente, anche se si accenna alle sinergie tra il giornale e la televisione; ma forse è meglio così, visto che nonostante siano quelli magari noti a me e ai coetanei sono molto meno interessanti. Mi sarebbe piaciuto un maggiore approfondimento sulla normalizzazione fascista nel Ventennio e magari un maggiore confronto con quanto accadeva negli USA e in Europa parallelamente alla crescita del Corrierino, ma forse era troppo per la Fondazione Corriere. I pupazzi di cartapesta presenti, in compenso, non mi hanno detto proprio nulla: sono proprio un tipo bidimensionale.

Ultimo aggiornamento: 2009-04-15 07:00

Harry Potter and the Deathly Hallows (libro)

[copertina] L’ultimo libro della saga del maghetto (J. K. Rowling, Harry Potter and the Deathly Hallows, Bloomsbury 2008 [2007], pag. 831, Lst. 9.99, ISBN 978-0-7475-9586-1) è fatto molto bene, non c’è che dire. Non mi sarei aspettato che la Rowling riuscisse a recuperare così tutti i fili della trama sparsi nei vari libri, comprese cose che io mi ero assolutamente dimenticato. Nelle ottocento e più pagine si parte con quella che è una classica quest, per finire con il redde rationem finale a Hogwarts tra Harry Potter e Lord Voldemort; nel corso del libro muoiono altri dei protagonisti, come del resto ci si poteva aspettare visti i libri precedenti. Se non avete ancora letto il libro, terminate qui la lettura; altrimenti potrete scoprire che il protagonista muore e poi risorge, che Snape abbia in realtà fatto il triplo gioco… per amore, e soprattutto che a vincere è l’amore, oltre che il sapere accettare il proprio destino. Personalmente non ho capito la logica di aggiungere il capitolo finale, e mi è parso che alcuni dei personaggi si siano persi per strada; ma sono delle piccolezze.

Ultimo aggiornamento: 2009-04-14 07:00

_Tutta colpa di Giuda_ (film)

[locandina] Film in un certo senso pasquale quello che siamo andati a vedere sabato sera, questo Tutta colpa di Giuda di Davide Ferrario (sito del film). Pasquale perché la regista teatrale Irena (Kasia Smutniak) è invitata nel carcere torinese delle Vallette per un progetto di una “Passione pasquale” che però prende tutta un’altra piega, come del resto ci si può immaginare in un posto dove nessuno ha certo voglia di fare Giuda.
Nonostante il mio (solito…) essere prevenuto, Ferrario ha fatto un bel lavoro, non troppo cerebrale come ci si sarebbe potuti aspettare dall’ambientazione. La Smutniak è davvero caruccia e soprattutto riesce ad essere convincente; il cinismo rassegnato del direttore del carcere (Fabio Troiano) è forse la cosa che colpisce di più, oltre ai volti dei detenuti che saranno anche in una sezione modello, ma appunto restano in carcere e non vedono perché poi fare chissà quali azioni che tanto saranno inutili. L’unica caduta di stile si ha quando Suor Bonaria (Luciana Littizzetto come special guest), per consolare il prete don Iridio (Gianluca Gobbi) che non vuole affatto una “Passione” che dire anticonvenzionale è poco, lo consola dicendogli che chissà, magari lassù farà in modo che succeda qualcosa.
Di Torino ovviamente se ne vede poca (a parte uno scorcio delle case del villaggio olimpico, con un arredamento interno piuttosto incongruo), del carcere di più, con Loris che pensava che l’aula-bunker alle Vallette sarebbe stato un CED perfetto; ho rivalutato i Marlene Kuntz come musicisti, e il brano di Francesco “Checco” Signa che dà il titolo al film è davvero trascinante.

Ultimo aggiornamento: 2017-07-03 08:49