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_The Monty Hall Problem_ (libro)

[copertina] (se vuoi una mia recensione più seria di questo libro, va’ su Galileo!)
Ricordate il paradosso di Monty Hall? Lo trovate anche su Wikipedia. Siete concorrenti di uno show, e dovete scegliere una di tre porte, sapendo che dietro una sola di esse c’è un premio: dopo che avete fatto la scelta, il presentatore apre una delle altre due porte – scegliendone una senza premio, e prendendone una a caso se può farlo. A questo punto vi chiede se volete cambiare la vostra scelta. Che fate? La maggior parte delle persone, compresi molti matematici, dicono che è indifferente cambiare o mantenere la scelta iniziale: e invece no, conviene di gran lunga cambiare scelta! La cosa è così controintuitiva, e soprattutto dipende così sottilmente dalle ipotesi fatte, che l’autore di questo libro (Jason Rosenhouse, The Monty Hall Problem, Oxford University Press 2009, pag. 194, $24.95, ISBN 978-0-19-536789-8) – scherzando ma non troppo – dice che si potrebbe fare un corso di calcolo delle probabilità solo basandosi sulle varianti del paradosso! In effetti il libro l’ha scritto, anche se fortunatamente per noi lettori il testo non è troppo pieno di formule e cerca sempre di dare una spiegazione qualitativa prima che quantitativa. Non solo il paradosso è controintuitivo, ma è anche molto sensibile alla sua formulazione: basta cambiare appena il testo, e la risposta cambia. Rosenhouse parte dalla storia del paradosso – un problema equivalente apparve nel 1959 nella rubrica tenuta da Martin Gardner sullo Scientific American; racconta la sua esplosione negli anni ’90 e mostra una serie di varianti, ciascuna delle quali ha una risposta leggermente diversa. Infine dà un’occhiata a come il paradosso viene studiato in psicologia… e persino nella meccanica quantistica!
Diciamo che se non vi viene il mal di testa a star dietro a tutte le minuzie possibili, alla fine della lettura avrete imparato due cose: a non fidarvi del vostro buon senso, e a stare molto attenti al calcolo delle probabilità!

Ultimo aggiornamento: 2016-03-30 11:02

Storia della Russia e dell’Italia (libro)

[copertina] Voi magari non lo sapete, ma io conosco un tipo, anzi non lo conosco perché non l’ho mai visto di persona ma leggo quello che scrive, che dice sempre che Paolo Nori è il miglior scrittore italiano che possiamo leggere e lui nel senso del tipo cerca sempre di scrivere come lui nel senso di Paolo Nori. Così quando ho visto questo libro (Paolo Nori e Marco Raffaini, Storia della Russia e dell’Italia, Fernandel 2003, pag. 190, € 12, ISBN 978-88-87433-38-8) mi sono detto Ecco, questa volta posso prendere il libro e vedere quanto è bravo Paolo Nori come dice sempre il mio amico che però non è proprio un amico. Però ho letto il libro dall’inizio alla fine e non è che mi sia piaciuto così tanto, forse perché il suo tipo di scrittura con frasi che vanno avanti come se uno chiacchierasse davanti alla macchinetta del caffè è carino per una pagina o due ma poi diventa pesante, oppure forse anche perché il libro non è che fosse così interessante, con questi due protagonisti che devono scrivere un romanzo storico epistolare e parlano degli affari loro che sono quasi sempre bevute e sesso più parlato che fatto. Che poi non so se ho mai letto più di qualche riga per volta del mio amico che non è mio amico, e magari se l’avessi letto di più non avrei nemmeno preso questo libro, ma non si può cambiare il passato e la recensione finisce allora così senza dire nulla di importante.

Ultimo aggiornamento: 2009-09-22 07:00

Videocracy (film)

[locandina] Domenica è stata una giornatona: a parte la mostra di Darwin, siamo anche andati al cinema a vederci Videocracy. A dirla tutta, per me è stata una delusione. Dal trailer mi aspettavo una storia di come la televisione avesse man mano rincretinito gli italiani, e invece Erik Gandini si limita a fare una fotografia a cosa capita oggi.
I personaggi principali del documentario (a parte Lui che però è solo, anche se continuativamente, sullo sfondo) sono tre. Ricky è un operaio bresciano con mamma appresso che vuole sfondare in televisione, perché se non sei in tv non sei nessuno. C’è poi la coppia Lele Mora – Fabrizio Corona; il primo ci racconta della sua fede fascista compresa di suoneria e video di “Faccetta nera” sul telefonino, il secondo, oltre all’esternazione del suo pensiero in Basic English che si è vista nel trailer, omaggia le sue millanta ammiratrici con un suo nudo frontale. Poi ci sono i provini per diventare velina tenuti a Rozzano al Fiordaliso, le scene in Costa Smeralda con la vicina di villa Certosa che “ha dovuto inventarsi un lavoro” e fotografa col teleobiettivo le Sue feste, il regista del Grande Fratello che racconta di come dall’alto gli comunichino di terminare la diretta in anticipo se il Capo è per caso da Vespa – vi ricorda qualcosa? – e così via.
La chiave di tutto, secondo me, è proprio Lele Mora. Ricky chiaramente è lì perché è un modo come un altro di diventare famoso, che non richiede nemmeno di “dar via una parte di sé”; Corona è malato di presenzialità e apparirebbe anche tra le fiamme in un video che raccontasse del fuoco eterno infernale. Ma Mora? Non è certo uno stupido, e sapeva che questo film non verrà probabilmente visto da nessuno di quelli di cui “sa tirare fuori le doti nascoste”; ma non si sa mai.
Detto tutto questo, io non ho trovato nulla che non conoscessi già; è un mondo lontanissimo da me, ma so che esiste. Chissà se in Svezia capiranno un po’ di più come siamo messi. Secondo me no, esattamente come noi non capiremmo assolutamente un documentario sulle sbronze nei weekend scandinavi: siamo troppo diversi, mi sa. L’ostracismo della Rai con relativa pubblicità darà un po’ di spettatori in più al film, ma mi sa che non farà cambiare idea a nessuno degli spettatori… che ovviamente saranno tutti antiberlusconiani.

Ultimo aggiornamento: 2009-09-19 07:00

Darwin 1809-2009 (mostra)

[locandina] Sfruttando la pausa tra una poppata e l’altra dei gemelli e il fatto che la Rotonda della Besana non è così lontana dalla Mangiagalli, domenica siamo andati a vedere la mostra su Darwin, che era già stata a Roma e dovrebbe arrivare a Bari negli ultimi mesi dell’anno. La mostra è l’edizione italiana di una analoga tenutasi negli USA, il che significa ad esempio che i molti cartelloni presenti – per altro, finalmente una mostra che si può visitare senza il pizzo dell’audioguida – erano perfettamente bilingue. Ma c’è anche il rovescio della medaglia. Sarà che Anna e io, pur non essendo certo biologi o naturalisti, abbiamo un’infarinatura ben maggiore della media; ma abbiamo trovato la mostra un po’ troppo semplicistica.
Personalmente non mi sono piaciuti soprattutto i pannelli introduttivi, dove sembrava quasi che Darwin avesse fatto tutto da solo senza che nessuno avesse mai pensato a qualcosa non dico di simile ma anche solo lontanamente diverso dalla teoria creazionista. È chiaro che il grande scienziato ha compiuto non una, ma due rotture di paradigma scientifico: la prima è quella di immaginare che specie diverse potessero avere antenati comuni, e la seconda di avere affermato che anche l’uomo e le scimmie antropomorfe avessero un antenato in comune. Ma è anche vero che l’immutabilità delle specie non era più un tabù dall’inizio del secolo, e che Darwin non aveva ai suoi tempi così tante prove fossili a favore dell’evoluzione, e dovette fare molte supposizioni azzardate, anche se spesso corrette. Da questo punto di vista, i pannelli successivi mettevano le cose più in chiaro. La vita di Darwin, a me nota attraverso The Science of Discworld, è spiegata molto in dettaglio; interessanti i quaderni autografi da cui si capisce che il tale che disse “fosse vissuto oggi, Darwin sarebbe stato un blogger compulsivo” aveva proprio ragione.
In definitiva, un buon posto per portare chi di evoluzione non sa proprio nulla oppure i propri figli; ma non fate come il padre che a un certo punto dice alle figlie di sette-dieci anni “ma non volete sapere la storia che c’è dietro?” sentendosi rispondere un netto “no”.

Ultimo aggiornamento: 2009-09-18 07:00

Sei cose impossibili prima di colazione (libro)

[copertina] Questo libro (Lewis Wolpert, Sei cose impossibili prima di colazione [Six Impossible Things Before Breakfast], Codice edizioni 2008 [2006], pag. ix-209, € 21, ISBN 978-88-7578-107-1, trad. Simonetta Frediani), dal sottotitolo “Le origini evolutive delle credenze”, parte mettendo subito in chiaro che l’autore vuole far piazza pulita di tutte le credenze, religiose e no, che non siano sostenute da prove scientifiche; la causalità la deve fare da padrona. Il leit motiv del libro è per l’apunto l’ipotesi – parlare di “teoria” è un po’ azzardato – che le credenze nascano non appena l’umanità ha iniziato a ragionare in termini di cause ed effetti; se quindi succedeva qualcosa, ci doveva essere qualcos’altro o qualcun altro che l’ha fatto succedere. Per la cronaca, Wolpert ritiene che l’uomo sia l’unico animale ad avere pensieri causali. La tesi è anche interessante, ma non è che il libro porti chissà quali prove a suo sostegno; più che altro Wolpert ripete fino allo sfinimento le stesse affermazioni, sperando che alla lunga vengano recepite dal lettore. Insomma, il titolo promette molto più di quanto mantenuto nel testo.
Due (tristi) parole ancora per quanto riguarda la traduzione di Simonetta Frediani. Come purtroppo accade troppo spesso nei libri della Codice, è assolutamente inadeguata. Passi anticipare al 1452 la bolla di Innocenzo VI sulla divisione dei territori scoperti da Colombo: uno svarione può capitare a tutti. Ma già a pagina 6 il sillogismo presentato dall’autore viene stravolto e invalidato, traducendo “alcuni cibi malsani” invece che “alcuni cibi sani”; e non è l’unico caso in cui il testo tradotto dice esattamente l’opposto dell’originale. In un saggio scientifico errori di questo tipo sono inqualificabili.

Ultimo aggiornamento: 2009-09-08 07:00

New Journalism (libro)

[copertina] Nell’era di Internet il giornalismo non può più essere quello di un tempo, almeno esteriormente. Marco Pratellesi, caporedattore di corriere.it, racconta così in questo libro (Marco Pratellesi, New Journalism, Bruno Mondadori – Campus – 2008, pag. 240, € 18, ISBN 978-88-6159-236-0) le “teorie e pratiche del giornalismo multimediale”. La tesi fondamentale di Pratellesi è che la professione del giornalista è cambiata solo esteriormente; un tempo doveva consumarsi le scarpe girando per la città a caccia di notizie, mentre adesso magari si consuma gli occhi davanti al pc; ma in fin dei conti continua ad essere un mediatore tra le notizie e i lettori, selezionando spiegando approfondendo collegando i fatti che ritiene più importanti. La prima parte che racconta le tappe miliari del giornalismo e l’ultima in cui dà un’idea di come è mutato il lavoro in redazione sono interessanti, così come la sitografia ragionata al termine del testo; poco convincenti invece i capitoli di consigli a chi vuol seguire questa carriera, comprese le norme grammaticali (!). Il punto più debole del libro è però la sua ripetitività. Mi è capitato più di una volta di fermarmi, certo di essermi sbagliato a riprendere il segnalibro e di avere già letto quella pagina; invece era una banale, ennesima ripetizione degli stessi concetti. Un taglio di un terzo del libro sarebbe stato davvero utile!

Ultimo aggiornamento: 2009-09-01 07:00

Il quadrato (libro)

[copertina] Ristampa – naturalmente dal formato quadrato – di un vecchio libretto di Munari, sono qui (Bruno Munari, Il quadrato, Corraini 2005 [1960], pag. 88, € 10, ISBN 978-88-7570-063-8) raccolte in ordine più o meno alfabetico tante piccole nozioni sul quadrato e sul cubo. Si possono trovare costruzioni geometriche, analisi di opere pittoriche e architettoniche, oggetti di design, ma anche il gioco del 15. Più che altro, insomma, una raccolta di curiosità per passare alcuni piacevoli momenti a scoprire quanto una figura che nell’immaginario collettivo si associa alla stolidità possa invece nascondere cento (un numero quadrato :) ) diverse cose!

Ultimo aggiornamento: 2009-08-21 07:00

La straordinaria invenzione di Hugo Cabret (libro)

[copertina] “Romanzo per parole e immagini”, si autodefinisce questo libro (Brian Selznick, La straordinaria invenzione di Hugo Cabret [The Invention of Hugo Cabret], Mondadori 2007 [2007], pag. 543, € 18, ISBN 978-88-04-56867-4, trad. Fabio Paracchini). In effetti di immagini ce ne sono moltissime, generalmente disegni a matita in tecnica più o meno cineasta con successivi zoom sui particolari: se si aggiunge che il testo non riempie certo le pagine, il lettore pigro si può tranquillizzare, dopo il colpo di trovarsi più di cinquecento pagine di testo. La storia è per ragazzini, forse anche da leggere insieme ai genitori. Non dovete aspettarvi molto più di una favola moderna; però è carina, e penso che chi ama il cinema degli inizi l’apprezzerà. Non griderei però al capolavoro, come ho letto in giro.

Ultimo aggiornamento: 2009-08-17 09:52