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Ha senso creare una comunità a pagamento?

Qualche giorno fa il mio amico Ugo mi ha inviato un link a Sangakoo, un sito presubilmente catalano (le lingue indicate sono per l’appunto catalano, inglese, spagnolo ed ebraico) il cui scopo è “imparare la matematica creando nuovi problemi matematici”. La comunità lavora sui problemi, li verifica, li corregge e alla fine li mette sul sito, a libera disposizione di tutti. Bello, vero?
Beh, c’è solo un piccolo ma. Come si trova scritto nelle pagine del sito, «All the theoretic contents are free. If you want to learn mathematics with Sangakoo’s method, create your account and join the Sangakoo community.», dove il “create your account” significa che paghi (5 euro il mese, se si fa un abbonamento annuale paghi solo 45 euro). Così ad occhio c’è qualcosa che non va: ricordo che è la comunità (cioè quelli che hanno pagato per avere il privilegio…) che verifica corregge emenda i problemi vari. Insomma, a me il tutto sembra una bella fregatura.
Ma in genere che ne pensate voi? Il punto di vista milanese “io pago e pretendo, ueh” può portare a un maggior coinvolgimento in un progetto se uno ci deve cacciare su un po’ di soldi? E se ci fossero dei premi per chi contribuisce di più? Continuo ad essere molto dubbioso, però mi piacerebbe sentire il vostro parere.
Aggiornamento: c’è comunque la possibilità di avere 30 giorni di prova, prima di iniziare a pagare. Insomma, prima si vede cammello.

Ultimo aggiornamento: 2012-03-02 10:49

library.fu

Non so quanti dei miei lettori sapessero dell’esistenza del sito library.nu: un posto dove si trovavano copie illegali di centinaia di migliaia di libri, e la cui esistenza era indubbiamente un segreto di Pulcinella. Da martedì il sito non esiste più: i tentativi degli ultimi mesi di chi lo gestiva di confondere le acque sono falliti, e oggi la meta-pagina ha un eloquente – e fors’anche con un doppio senso – “rip lnu”.
La cosa più interessante è che oggi la notizia è apparsa sul Corsera cartaceo – qui e qui la scansione per chi sta leggendo questa notiziola direttamente dal mio sito; oppure se preferite potete leggere dal blog letterario del Corriere. Chi invece vuole qualche notizia più seria (penserete mica davvero che il sito fosse attivo solo “da ottobre”?) può leggere l’Huffington Post. Il sito della Publisher Association al momento mi dà ironicamente un Database Error: Unable to connect to the database:Could not connect to MySQL
Io conoscevo bene il sito: dove credete che abbia scoperto libri come Nonplussed! e The Art and Craft of Problem Solving? A dire il vero non sapevo ci fossero anche libri italiani, anche perché quello che non si evince bene dall’articolo è che la stragrande maggioranza dei testi ivi presenti, non solo metà, erano tecnici e accademici. A differenza di musica e film, infatti, il mercato degli ebook pirata mi sa sia molto ristretto, non solo in Italia dove si sa che non legge nessuno ma anche all’estero. E a dire il vero mi chiedo come quelli di library.nu fossero riusciti a guadagnare otto milioni di euro: passi gli annunci, ma non ci credo che qualcuno pagava l’accesso high-speed… Un pdf di un libro, quando arriva direttamente dall’editore come capitava spesso, occupa da 3 a 5 megabyte. E a differenza di un disco e di un film ci vuole il suo tempo per leggere un libro, tempo che è la vera variabile limitante… anche se nel caso delle edizioni accademiche in effetti anche il loro costo è un limite.
(p.s.: i “file modificabili, di seconda generazione” non sono altro che gli .epub e i .mobi. Ma scritto così sembra chissà cosa, vero?)
Aggiornamento (14:30) Ne parla anche Bibò, pardon Repubblica. Il comunicato stampa ha fatto scuola.

Ultimo aggiornamento: 2012-02-16 12:45

ricongiunzione

Bisogna dire che questi ministri tecnici, salvo le solite eccezioni (ciao Michel! comunque no, io non sono uno sfigato almeno da quel punto di vista…), sono molto bravi a parlare e intortare la gente. Prendiamo la lettera che il ministro del Welfare Elsa Fornero ha scritto al Corsera in risposta alle domande fattele da Milena Gabanelli sui doppi contributi pensionistici; la lettera la trovate qua.
Fornero non spiega perché ci dovrebbe essere un «beneficio che si ottiene dal conseguimento di una pensione in un’unica gestione». Beh, un beneficio c’è, nel senso che devi avere un numero minimo di anni di contribuzione per avere la pensione: ma non ci sono dei bonus dopo aver superato tot anni di contribuzione, tipo dire “dopo trent’anni al fondo X, ti diamo un 5% in più”. Quindi la cosa non ha un grande senso.
Fornero ha ragione quando afferma che la differenza con chi ha avuto la ricongiunzione gratuita solo qualche mese fa «è però una caratteristica che si presenta ogni qual volta viene abolito un “privilegio”»: sono cose che capitano, e non si può fare molto. Beh, sì, si sarebbe per esempio potuto fare la riforma Dini mettendo il sistema pro-quota per tutti: adesso non ci sarebbe stato tutto quel problema. In compenso mi chiedo come sia riuscita a scrivere una frase come «per non produrre ingiuste differenze, la totalizzazione dei contributi, che è l’alternativa alla ricongiunzione, è gratuita, ma dà origine a pensioni calcolate interamente con il metodo contributivo» senza scoppiare a ridere. Secondo me si è dovuta fermare almeno dieci minuti per prendere fiato. Il metodo retributivo era assolutamente insostenibile, sono il primo a dirlo: però era il metodo in vigore fino al 1995 e non puoi certo convertirlo così magicamente, per almeno due motivi: la percentuale contributiva era molto più bassa di quella attuale (che per un lavoratore dipendente arriva al 33% dello stipendio tra quota lavoratore e quota azienda) e perché non credo proprio ci sia una forma di rivalutazione equivalente a quella del metodo contributivo.
Ancora: Fornero ha ragione quando afferma che «Le diverse gestioni previdenziali si sono inoltre storicamente contraddistinte per una grande eterogeneità nelle aliquote previdenziali, nei criteri di accesso alle prestazioni e nelle regole di calcolo delle pensioni». Avendo io fatto parte del Fondo Lavoratori Telefonici, posso assicurare che per esempio i primi anni avevo una percentuale di calcolo della pensione del 2.25% per anno invece che del 2% standard, e se non ricordo male la gente poteva arrivare al 90% dell’ultimo stipendio invece che all’80% dell’Inps. Quelli erano privilegi, erano legati a una banale considerazione storica (il fondo telefonici, come quello elettrici, era nato negli anni ’60; quindi nei primi decenni ad andare in pensione erano pochini, e pertanto il fondo sembrava prosperare quando invece era destinato a diventare una voragine), e capisco perfettamente che la ricongiunzione gratuita avrebbe perpetuato questo privilegio. Ma la soluzione sarebbe stata semplice: la ricongiunzione gratuita si potrebbe avere alle condizioni peggiori tra i due sistemi; quindi per esempio perdere lo 0.25% di valore ricavato in quei lontani anni, o cose simili. Insomma, il “privilegio” che si toglie è appunto la differenza rispetto al trattamento standard, cosa ben diversa da quello che si fa ora con la legge 122/2010.
Io sono disilluso. Non mi aspettavo nulla del genere da Sacconi, che magari non sapeva nemmeno di che cosa si stava parlando. Non mi aspettavo nulla del genere nemmeno da Fornero, che sa perfettamente di cosa si sta parlando. Però essere anche preso per i fondelli così mi pare francamente un po’ troppo.

Ultimo aggiornamento: 2012-02-15 15:46

#copiaeincrozza

Io sono una persona fortunata: non guardo la tivù. Così mi sono perso la “copertina di Ballarò” di Maurizio Crozza. Poi Twitter non mi piace nemmeno troppo, quindi non lo uso quasi mai e mi sono perso il trend topic #copiaeincrozza con tutti che sbertucciavano il comico genovese perché tre delle sue battute (dicono anche tra la meno divertenti) erano copiate da quel social network. Crozza (o chi gli scrive i testi) si è impuntato e ha inviato una lettera al Corriere dove ironizza sul fatto che già a scuola copiava da Twitter, e anche quel comunicato era stato copiato da lì; ma le copertine di Ballarò no, quelle le copia da Facebook.
La cosa per quanto mi riguarda sarebbe finita lì, ma l’apologia di Crozza che Anna Masera ha scritto sulla Stampa mi ha fatto decidere di perdere qualche minuto della mia pausa pranzo per rispondere. Masera dal punto di vista strettamente giornalistico è impeccabile: a parte la battuta sulla citazione della fonte del comunicato generalmente lei le fonti le cita eccome. Sul merito della sua difesa ho però forti dubbi. Anche solo per i testi – le immagini fanno storia a parte, salvo per l’essere anch’esse usate in spregio a ogni riconoscimento di proprietà intellettuale – non c’è nulla che arriva “dalla Rete”. Tutto arriva da un’entità ben precisa. Scrivo “entità” perché tanto per dire “.mau.” corrisponde sì a una persona – Maurizio Codogno, se non ve ne foste mai accorti – ma ha una sua certa qual vita propria. Inoltre il copincolla della rete in genere lascia traccia della fonte originale, mica per altro ma perché è più facile fare un “inoltra” o un retweet piuttosto che effettivamente copiare e incollare: quindi l’anonimato è sempre molto relativo, o meglio è una scusa per chi non vuole fare il proprio lavoro. Certo, nessuno richiede che in un monologo siano citate tutte le fonti; ma ci sono i titoli di coda apposta per farlo.
Trovo poi ironico che Masera scriva «bisognerebbe andare orgogliosi di cotanto “omaggio”» e nel paragrafo successivo «è davvero triste constatare che il Twitter nostrano si abbassi a chiedere la citazione per un attimo di gloria in tv»: un “omaggio anonimo” per quanto mi riguarda non è affatto un omaggio, sono cose che lascio volentieri ai cardinali in pectore. Per dire le cose in altro modo, sono ragionevolmente certo che Crozza abbia qualcuno che collabori a scrivergli i testi, e anche se lui fa tutto da solo ci sono altri comici che hanno collaboratori regolarmente citati nei rulli finali. Proviamo anche a eliminare quei nomi? Il ragionamento fila esattamente allo stesso modo.
Un’ultima cosa: leggendo il testo, credo che Masera abbia volutamente mischiato due temi che lei sa bene essere distinti. Il copyright è una cosa ben precisa: è giusto che i collaboratori che ho citato prima siano pagati per il loro lavoro, titoli di coda o no. Qui non stiamo però parlando né di soldi né di copia, ma di proprietà intellettuale: per quanto mi riguarda una fonte ha comunque il diritto di essere citata. Sono certo che quando Crozza prende una battuta poi la migliora, se non nel testo nel modo di proporla, e nessuno gli vuol negare quel suo valore aggiunto: ma il valore è appunto aggiunto, proprio come nell’IVA. Aggià, ma siamo in tanti che appena possiamo l’IVA non la paghiamo…
(p.s.: come ben sanno i miei ventun lettori, se mai Crozza o chiunque altro prendesse una mia battuta vorrebbe dire che non è alla frutta, ma ha già pagato il conto e digerito il pranzo. Il mio è un discorso generale)

Ultimo aggiornamento: 2012-02-09 12:44

elitismo ambasciatoriale

Purtroppo a quanto pare la pagina delle lettere del Corriere della Sera non viene indicizzata, o almeno non sono riuscito a trovare la risposta che ieri Sergio Romano ha dato a un lettore che chiedeva come mai oggi in Italia ci fossero contemporaneamente immigrazione e disoccupazione. Invece di limitarsi a dare la risposta più semplice (che non è “ci sono lavori che gli italiani non vogliono più fare” ma “ci sono lavori che vengono dati in nero, ed è più facile trovare un immigrato senza permesso di soggiorno che è costretto a prendere i du’ euri che gli danno”), Romano ha iniziato a lamentarsi della riforma del ’68, dicendo che «le Università e lo Stato italiano hanno alcune responsabilità» (Notare l'”alcune”: purtroppo non conosco abbastanza retorica per dare il nome alla figura del discorso simile alla litote, ma che invece che affermare con forza un concetto negando il contrario lo fa con un testo affermativo ma riduttivo).
Più precisamente, «Quando nuovi ceti sociali cominciarono a chiedere maggiore istruzione, sarebbe stato utile introdurre l’esame di ingresso nelle università e rafforzare contemporaneamente le scuole di formazione professionale», mentre invece «le università hanno spalancato le loro porte a chiunque avesse terminato la scuola media superiore». Di nuovo: l’esame di ingresso potrebbe forse scoraggiare qualcuno – ne dubito – ma sarebbe più semplice fare una vera scrematura durante gli esami, e il risultato finale sarebbe lo stesso. Io penso sempre male, ma leggere certe cose scritte da uno che è stato ambasciatore mi fa immediatamente pensare a chi non si sarebbe dovuto preoccupare dell’esame di ingresso nelle università…

Ultimo aggiornamento: 2012-02-07 12:31

giudici (ir)responsabili

L’emendamento passato ieri alla Camera (proponente il leghista Gianluca Pini, alla Lega sì che sanno fare le cose) sarebbe chiamato dalle mie parti un tipico atteggiamento mafioso. Giusto per spiegarsi: attualmente la legge Vassalli afferma che se un magistrato inquirente agisce per dolo o per colpa grave, allora chi poi è stato ingiustamente accusato ed è stato poi riconosciuto innocente può ricorrere contro lo Stato per un risarcimento. Possiamo discutere se sia lo Stato o il giudice stesso che debba pagare: però ritengo che il principio per cui se qualcuno fa un danno non in buona fede costui debba pagarne poi le conseguenze.
Peccato che l’emendamento Pini reciti (grassetto mio) «chi ha subito un danno ingiusto per effetto di un comportamento, di un atto o di un provvedimento» di un magistrato «in violazione manifesta del diritto o con dolo o colpa grave nell’esercizio delle sue funzioni o per diniego di giustizia», può rivalersi facendo causa sia allo Stato che al magistrato per ottenere un risarcimento. Che vuol dire “in violazione manifesta del diritto”? tutto e niente. Se non vuol dire niente, cioè è una ripetizione di “dolo o colpa grave”, però, non aveva alcun senso aggiungerlo; quindi mi sa che voglia dire “tutto”. Ordunque: chi glielo fa fare un magistrato a indagare non dico un poveretto come me ma chessò John Elkann, sapendo che quello lì può fargli poi un mazzo tanto? Deve forse sperare nella solidarietà di casta?

Ultimo aggiornamento: 2012-02-03 17:14

La monotonia del posto fisso

Il PresConsMin ci ha tenuto a informare, con la sua voce monocorde, che «il posto fisso è una monotonia».
Vediamo: io ho il posto fisso da un quarto di secolo abbondante (e Telecom non mi ha neppure invitato al Seniores Day, una vergogna). Dal 1986 al 1991 ho fatto riconoscimento del parlato. Dal 1991 al 1994 software engineering (uno dei periodi peggiori della mia vita). Dal 1994 al 2001 mi sono messo a fare internet in tutte le salse. Dal 2001 al 2008 sono passato a supporto di backoffice per i sistemi SMSC, e adesso cerco di convincere i miei colleghi a scrivere una qualsivoglia documentazione dei prodotti del nostro gruppo e rendere il tutto quasi decente. Non mi sembra poi tutta quella monotonia…

Ultimo aggiornamento: 2012-02-02 16:34

adulti a sette anni

Una delle proposte di tagli alla spesa pubblica all’esame del governo Monti è togliere ai pediatri l’assistenza dei bambini sopra i sei anni. Beh, forse il motivo non è proprio quello, visto che si legge che «l’assistenza della Pediatria di libera scelta non è garantita in modo uniforme su tutto il territorio nazionale» e posso garantire di prima persona che è così: trovare un pediatra almeno a Milano non è una cosa facile. Però, visto che il documento dove è apparsa questa proposta si intitola «bozza di Riordino delle Cure Primarie» con tutte le maiuscole al posto giusto, mi sa che sotto sotto la ragione sia appunto quella.
Peccato che io non riesca a capire quale differenza di costi ci sia se una persona va a farsi visitare da un pediatra oppure da un medico ASL; senza contare che i medici di base sono abituati a pazienti ben diversi dai bambini, e quindi ci saranno dei costi di formazione che dovranno pur essere sostenuti. A questo punto, non sarebbe più semplice vedere come formare nuovi pediatri tra i medici di base?

Ultimo aggiornamento: 2012-01-31 16:57