Archivi categoria: pipponi

QUI NON SI PARLA ITALIANO

Voi potete pensarla diversamente, ma per me la decisione del Senato accademico del Politecnico di Milano, che ha stabilito che dall’anno accademico 2014-15 tutta l'”offerta formativa” per il biennio magistrale (il “più due” del 3+2) verrà erogata in lingua inglese, è un’idiozia.
Un paio di premesse: (a) trovo assolutamente corretto che il dottorato sia tenuto in inglese, essendo più internazionale in scopo; e (b) la situazione attuale, con corsi in italiano e in inglese, non mi sembrava così brutta. Però, anche immaginando di avere torme di studenti pronti a venire a studiare sotto la Madunina ora che possono sentire le lezioni in inglese, mi resta un dubbio di base: non è che qualcuno stia confondendo la necessità di conoscere l’inglese con quella di usarlo? O si sta subliminalmente spiegando ai futuri ingegneri che chiunque sia così pazzo da laurearsi in Italia e voglia trovare un posto di lavoro se ne deve andare via, e quindi tanto vale prepararsi prima?

Ultimo aggiornamento: 2012-04-12 14:55

Facciamoci conoscere

Se Silvio Berlusconi avesse le tette farebbe anche l’annunciatrice, diceva il buonanima di Enzo Biagi. Però anche Lui non può certo essere ubiquo, e comunque ha sempre detto che con Mediaset non c’entra più nulla. Ma si sa che delegare può sempre essere problematico: è così successo che qualcuno si è dimenticato di pagare i dieci euro per mantenere il dominio mediaset.com (tanto si usa sempre il .it…), la disponibilità è scaduta l’anno scorso, e il dominio è stato messo all’asta. Il 19 marzo 2011 (sì, 2011, non 2012) se l’è cuccato tale Didier Madiba, statunitense del Delaware.
Dopo un po’ di tempo, a Cologno Monzese si sono accorti della cosa: l’8 novembre 2011 è stata aperta una procedura di riassegnazione presso il WIPO. Tra l’altro, non era nemmeno la prima: già nel 2008 Mediaset aveva ottenuto la riassegnazione del dominio, che era stato squattato ancora nel 2002. Vabbè, il mese scorso il WIPO ha sentenziato che il signor Madiba ha pieno diritto a usare il nome a dominio, che tra l’altro si era prenotato ancora nel 2006. Ah: i signori Mediaset non hanno nemmeno mai pensato a spostare il gestore del dominio a un’azienda italiana.
Sembrerebbe insomma che il dominio non fosse poi ritenuto così interessante: e invece no. Gli avvocati Mediaset sono andati a pietire aiuto a Roma Ladrona, e… colpo di scena! La nona sezione del Tribunale Civile di Roma ha accolto il suo ricorso e imposto alla società Fenicius Llc di cessare l’uso del dominio, imponendo anche una multa di 1000 euro per ogni giorno di mancata ottemperanza. Avete capito bene: un tribunale italiano emette una sentenza su un fatto (l’acquisto di un dominio) avvenuto fuori dal territorio italiano da parte di una persona che non è un cittadino italiano. Secondo voi, quale può essere la probabilità di ottenere qualcosa che non sia una pernacchia?
Poi diciamocelo: il “sito Media Set” del signor Madiba a oggi è questo. Nessuno sano di mente può credere che il dominio sia stato effettivamente acquistato per costruirci su un servizio, e non per farsi sganciare un po’ di soldini dai malcapitati ex-proprietari. Ma non è certo con quella sentenza che ci riusciranno: tutt’al più i provider italiani saranno caldamente invitati a far risolvere in altro modo quell’indirizzo… spero non a mediaset.it, perché altrimenti partirà un vespaio incredibile.

Ultimo aggiornamento: 2012-04-11 17:17

piccoli e grandi fan

Passate alcune settimane dall’affaire Private Outlet, credo di poter fare alcune constatazioni che almeno dal mio punto di vista sono interessanti.
Innanzitutto è relativamente normale che dall’azienda si siano presi la briga di farsi pubblicità tra i commenti del mio sito (la definisco pubblicità perché non è stata data nessuna risposta né alle proteste mie né a quelle degli altri commentatori). È vero che il mio post è solo il quindicesimo con una googlata sul nome dell’azienda, e quindi nel buco nero della pagina due: ma in caso di emergenza tutto fa brodo. Quello che ho trovato meno normale è la quantità di persone che si è lamentata dell’oscuramento del sito, e l’ha fatto in un posto – queste notiziole – che non ha nulla a che fare con esso. Prima di approvare i commenti arrivatimi, ho sempre verificato che non ci fosse qualche baro: almeno a un controllo rapido, sono tutti genuini.
Perché uno deve perdere del tempo a scrivere che si è trovato benissimo con quell’azienda? Cos’è che fa scrivere a qualcuno «e in alcuni casi è vero che la merce(scarpe)risultava di una misura errata ma con i prezzi praticati valeva comunque la pena,le scarpe le regalavo e comunque ci avevo guadagnato con il resto dell’ordine arrivato correttamente» senza che a questo qualcuno venga in mente l’illogicità della cosa? Se hai comprato un paio di scarpe l’hai fatto perché ti servivano, o perché costavano poco e non si sa mai?
Ecco: in questi casi ho sempre la sgradevole sensazione di essere io quello fuori posto.

Ultimo aggiornamento: 2012-04-03 14:36

Faligi editore

È lunedì mattina, quindi posso sperare che i miei ventun lettori siano un po’ più interessati che durante il weekend a sentire una storiella edificante, liberamente tratta da qui. Anche se non avete mai tradotto nulla più che “the cat is on the table”, vi consiglio di leggerla.
C’era una volta una casa editrice aostana, Faligi Editore, che pubblicava solamente ebook. Come loro stessi spiegavano, «con abilità hanno diffuso un nuovo modo di fare editoria, dando un nuovo orientamento culturale all’editoria Europea con la pubblicazione di scrittori esordienti la cui opera è tradotta in 5 lingue»; d’altra parte «La casa editrice è la prima in Europa in grado di accomunare scrittori e traduttori letterari dalle personalità eclettiche e dal pensiero moderno.» (dicevano sempre loro: io non oserei toccare una virgola, e mi avvalgo del diritto di citazione). Ma naturalmente questi traduttori letterari dalle personalità eclettiche e dal pensiero moderno bisogna trovarli, e soprattutto bisogna scremare certi wannabe: così alla Faligi pensarono di selezionarli accuratamente. L’aspirante traduttore pagava 160 euro e aveva il diritto di partecipare a un “Creative Meeting” di selezione traduttori: tre ore passate nella ridente cittadina di Chivasso, seguite da «una prova di traduzione (da svolgere a casa nel mese successivo al corso)». Se era stato sufficientemente bravo, generalmente (dicevano loro) «al traduttore sarà inviato un contratto di edizione per un libr0 (sic) da tradurre in un anno solare»; il tutto con un contratto che – secondo le malelingue che sempre ci sono – è a royalty, quindi a una percentuale sul numero di copie vendute: questo significa che per l’editore il rischio era minimale, dato che i costi per produrre un ebook sono irrisori, e che il Bravo Traduttore si sarebbe visto pagare noccioline per il suo lavoro.
La mia amica Isa Zani, dopo aver letto quanto scritto da quelle malelingue, ha pensato che in fin dei conti lei è una traduttrice e che si sarebbe potuta esercitare utilmente nella traduzione in italiano, tanto per mantenersi in forma. Passò un mese, due, tre: un uccellino portò la notizia in giro per le valli, e un giorno un avvocato scrisse una lettera di cease-orand-desist, accusando Isa di diffamazione e di concorrenza sleale poiché lei svolgerebbe “corsi per traduttori”. Attenzione: la lettera non è stata inviata al sito, ma solo alla traduttrice. Potete scegliere voi se il motivo è stato perché alla Faligi non avevano a disposizione un traduttore per leggere l’originale, se perché tanto si sa che in Italia gli unici a capire l’inglese sono i traduttori, o per un’altra ragione sicuramente molto più intelligente di quelle che ho trovato io.
Isa è un donnino determinato, e ha risposto per le rime: mi dispiace solo che lei abbia creato un file pdf di 8 megabyte per una singola pagina di testo, ma sono certo che si ingegnerà per ridurne la dimensione. L’altro mio amico Daniele Gewurz ha iniziato a diffondere la notizia; pure Giovanni Angelo Jonvalli (che non conosco, non è che tutti siano miei amici) ha ritradotto il post sperando di entrare nell’esclusivo club dei minacciati citati dalla Faligi. Io, come i miei ventun lettori sanno, ho anche fatto il traduttore, pur non avendo mai seguito un “Creative Meeting”. Presumo che non ci siano gli estremi di una truffa esattamente come non ci sono estremi di truffa nelle case editrici che si fanno pagare per pubblicare il tuo capolavoro; in fin dei conti è tutto spiegato chiaramente. Ciò detto, “offerte” come queste sono semplicemente una fregatura per il poveretto che ci capita sotto. Ma tanto voi non siete traduttori, vero?

Ultimo aggiornamento: 2012-03-26 07:00

Agenzia Pubblicitaria Twitter

Non so se avete seguito la querelle di ieri sul presidente della provincia di Milano Guido Podestà. Se la ricostruzione di Repubblica è corretta (e lo screenshot parrebbe almeno in parte confermarla), su Twitter qualcuno – tale “Il Sarcastico” – ha postato la frase Milano. All'asta i volantini delle BR. @giulianopisapia vende la collezione privata? e @guido_podesta l’ha subito ritwittata. (Per chi non è un esperto di twitter, ha postato la stessa frase aggiungendo da chi l’aveva presa). Qualcuno (in un tempo non quantificabile dallo screenshot di Repubblica, ma compreso tra un minuto e tre ore) si è accorto che forse non era una grande idea che un uomo politico desse l’imprimatur su quella frase, che è stata così cancellata e sostituita dal testo “Retweet precedente sbagliato”; Podestà si è poi scusato con Pisapia, dando la colpa al suo staff.
Si sa che dare la colpa agli altri è sempre comodo: ma quello che noto è che non c’è più alcuna remora a istituzionalizzare quello che tanto si è sempre saputo, e cioè che in massima parte i vip “che sono su Twitter” (ma anche Facebook) in realtà pagano qualcuno per mantenere l’illusione della loro presenza. A essere buoni, resta loro il contenuto originale (i post, le twittate… che le scrivano alla tastiera loro oppure le dettino a qualcuno è indifferente), ma per tutto il resto lasciano mano libera allo stagista di turno, che magari non sa nemmeno dove sia via Giandomenico Puppa nel quartiere di Sucate. Sì, il mondo probabilmente va così e non ci si può fare molto: ma allora perché non istituzionalizzare la cosa? Forse perché si ha paura che molti dei seguaci se ne andrebbero perché non possono più definirsi fan di Podestà (o Pisapia, o Ligabue, o Vasco, o chi per loro)?

Ultimo aggiornamento: 2012-03-21 10:20

Private Outlet

Leggo da Marco d’Itri che l’AGCM (il Garante per la Concorrenza) nel suo bollettino 8/2012 ha ordinato agli Internet Service Provider l’oscuramento del sito privateoutlet.com e siti collegati. Mentre sui siti di scommesse e simili non ho mai avuto molto da dire se non considerazioni generiche, questa volta ho un’esperienza (quasi) diretta.
Private Outlet è uno dei millanta siti di offerte scontatissime accessibili solo agli iscritti, e uno dei tanti che mia moglie ha usato. L’anno scorso Anna comprò un paio di scarpe (o di stivali, non ricordo): la carta di credito fu subito addebitata, ma la roba arrivò vari mesi e non so quanti solleciti. Anna voleva togliersi dalla loro mailing list: peccato che non ci fossero istruzioni a proposito. Scrisse loro chiedendo ai sensi della legge italiana sulla privacy di togliere il suo nome dalla lista: nessuna risposta (e mail di offerte che continuavano ad arrivare). Io purtroppo sono pigrerrimo, perché altrimenti (1) avrei cambiato il suo indirizzo email in anna@example.com e (2) avrei fatto una segnalazione al Garante. Fortunatamente l’hanno fatta in tanti altri, sono solo contento di questo blocco, che può essere facilmente eluso – basta cambiare risolutore DNS… – ma almeno è un primo passo.
P.S.: Quintarelli si chiede: «se e’ uno che truffa, non e’ meglio disporre agli intermediari di pagamento di NON processare i pagamenti ?». Indubbiamente. Ma l’AGCM può fare una cosa del genere? Secondo me no, tanto che nel provvedimento c’è scritto «c) ai sensi dell’art. 27, comma 2, del Codice del Consumo e dell’art. 3, comma 1, del DecretoLegislativo 19 marzo 2001, n. 68, che l’Autorità per l’identificazione dei soggetti sopra individuati si potrà avvalere della collaborazione del Nucleo Speciale Tutela Mercati della Guardia di Finanza, affinché provveda ad ogni attività a ciò necessaria». È vero che si parla di “identificazione”, ma è la base di partenza per una denuncia non “contro ignoti”, no?

Ultimo aggiornamento: 2012-03-15 10:16

l’ultimo miglio

I farmacisti non si toccano, le banche nemmeno, non parliamo dei tassisti: però c’è sempre Telecom. Nella conversione in legge del decreto semplificazioni si sta aggiungendo un comma – già passato alla Camera – per obbligare alla disaggregazione dei servizi di accesso alla rete di Telecom Italia. Detto così non si capisce nulla: provo a spiegarmi meglio. Adesso un utente telefonico può chiedere di non avere proprio per nulla Telecom come operatore telefonico: per esempio la mia linea ADSL di casa è portata da un internet provider che si appoggia su Tiscali. Tiscali paga però a Telecom 9 euro e rotti al mese di affitto e manutenzione linea, soldi che poi vengono ribaltati sul mio canone. Bene: l’emendamento dice più o meno “i nove euro sono sette di affitto e due di manutenzione: Telecom deve permettere agli altri operatori di farsi manutenzione per conto proprio”.
C’è voluto qualche giorno, ma se ne stanno accorgendo tutti, come potete leggere da questo articolo del Corriere delle Comunicazioni, o se preferite gli interventi di qualcuno storicamente contro Telecom questa e questa bloggata di Quintarelli. Sono buono e vi risparmio i comunicati sindacali tutti univocamente di segno opposto: io ho ricevuto quelli di SLC-CGIL, FISTEL-CISL e UGL(!), ma immagino che anche UIL ne abbia fatto uno, come vi risparmio il comunicato dell’associazione piccoli azionisti Telecom. Però vi cuccate la mia interpretazione.
Immagino che i conti di Quintarelli siano giusti e quindi si parli di ben pochi soldi : comunque già quando è partito il nostro contratto di solidarietà a guardare i numeri non ce n’era necessità. Non so se ci sarebbero davvero le migliaia di esuberi paventate dai sindacati; sicuramente i conti fatti da Quintarelli sono fallaci per l’ottima ragione che è vero che i margini annui di Telecom sulla parte affitto potrebbero essere dell’ordine di 10 milioni di euro l’anno, ma è anche vero che le persone che adesso si occupano di quelle operazioni rimarrebbero un peso morto per l’azienda. E non venitemi a dire “sì, ma gli operatori che si prenderebbero la manutenzione dei doppini se le assumerebbero loro”: siete davvero così ingenui?
Quello che io so è però che ho paura a pensare a N aziende diverse che lavorano sui doppini (che come penso immaginiate viaggiano tutti belli insieme per il 99% del percorso, e danno già una serie enorme di problemi con un unico gestore). Quando qualcuno parla di scorporo dell’ultimo miglio, insomma della divisione ope legis di Telecom conferendo a un’azienda separata la gestione dell’ultimo miglio, capisco perfettamente la cosa da un punto di vista non aziendalista: poi mi chiedo chi è che avrebbe le azioni di questa nuova azienda, ma questa è un’altra storia. Però la manutenzione multipla non riesco proprio a capirla.

Ultimo aggiornamento: 2012-03-15 07:00

La vie française agli ebook

Grazie a Paolo Marino, ho scovato (su Google+, per quelli di voi che credono che lì non ci sia vita) questo articolo di Engadget, che racconta di come il governo francese intenda digitalizzare i libri fuori commercio prodotti nel secolo scorso – avrebbe già stanziato 30 milioni di euro per il primo fondo – ed eventualmente venderli, il tutto sotto l’egida della Bibliothèque nationale.
Stavo scrivendo un pippone contro quello che dal mio punto di vista è comunque un furto nei confronti degli autori dei libri, quando ho pensato di andare a vedere la fonte della notizia, fonte del resto citata esplicitamente in fondo all’articolo. Paidcontent mostra che le cose sono un po’ diverse: la presunta nuova società avrebbe una partecipazione statale al più del 40%, e soprattutto garantirebbe che almeno il 50% delle royalties andrebbero a editori e autori. Per sicurezza ho fatto ancora un livello di indirezione e ho letto l’articolo di LeTemps: per quello che io capisco di francese, mi sembra che la traduzione di Paidcontent sia corretta. In entrambi gli articoli tra l’altro viene spiegato che quasi mille tra autori e altri personaggi hanno firmato una petizione contro la legge, in quanto «remet en cause la propriété intellectuelle de l’ouvrage, qui devient une propriété nationale dont on confie l’usage commercial à l’éditeur». Per essere più precisi, uno di questi firmatari afferma che in quanto autori non sono stati consultati, e che in questo modo non possono esercitare il loro inalienabile diritto d’autore e quindi rifiutarsi di far ripubblicare la propria opera… proprio come ai tempi di Virgilio.
A questo punto ho due considerazioni da fare. La prima è che trono molto strana questa resistenza da parte degli autori. Stiamo parlando di libri già pubblicati in passato, non più pubblicati oggi (e quindi non è un problema di soldi persi, nel senso che non arrivano nemmeno adesso); sì, in linea teorica posso immaginare che una persona possa aver cambiato idea, ma la cosa mi pare sufficientemente garantita dai sei mesi di opt-out previsti dalla legge. La seconda considerazione è che è facile trovare un articolo che affermi cose semplicemente false, come è capitato a me: ma il fatto stesso di avere a disposizione i puntatori alle fonti permette di verificare se la notizia è stata riportata correttamente oppure no. Ma questo succede quando i puntatori ci sono… cosa che nell’italica stampa non capita ancora :-(
[mi fanno notare che “la vie” in francese è “la vita”, non “la via”. Vabbè, tanto mi sembra poetico parlare della (nuova) “vita francese” per i libri…

Ultimo aggiornamento: 2015-02-12 20:14