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Parole matematiche: trascendente

(la lista delle parole matematiche si trova qua!)
La parola “trascendente” fa indubbiamente venire a mente la teologia, più che la matematica: la trascendenza, qualunque cosa significhe, è certo uno degli attributi di una divinità degna di questo nome. Al massimo si può pensare a qualcuno che trascende, nel senso che passa il limite; in effetti l’etimologia del termine è proprio quella, visto che deriva dal latino transcendere, letteramente “salire” (da scandere) “oltre” (trans-). Già Brunetto Latini usa il termine con quel significato, prima del 1300… e sessant’anni dopo la parola viene usata anche nel senso di “non contenersi”: senso che ancora oggi può avere, magari nella forma “è trasceso”.
Ai matematici la parola deve essere piaciuta davvero tanto, considerando che la usano in due ambiti diversi, anche se non troppo. Abbiamo infatti innanzitutto i numeri trascendenti: sono quelli “davvero” irrazionali, non come la radice quadrata di 2 che basta moltiplicarla per sé stessa e otteniamo un numero intero. La definizione precisa di numero trascendente è “in negativo”: i numeri trascendenti sono quelli che non sono algebrici. Questi ultimi sono ottenibili come soluzione di un’equazione polinomiale a coefficienti interi, quelle che si studiano nelle superiori. La nostra radice quadrata di due, ad esempio, è una delle soluzioni di x2=2. Con pi greco oppure e, invece, non c’è nulla da fare: sfuggono a tutti i nostri tentativi di trovare un’equazione specifica che li inchiodi al muro. Che poi, come capita spesso con questi insiemi infiniti, il divertente è che i numeri trascendenti sono infinitamente di più di quelli algebrici: ma d’altra parte anche Dio, in quanto trascendente, è infinitamente di più di un essere finito, no?
Il secondo modo matematico per usare la parola riguarda le funzioni trascendenti, che sono quelle che non usano solo le solite quattro operazioni, l’elevamento a potenza oppure l’estrazione di radice n-sima. Nulla di trascendente :-), a dire il vero; già funzioni che trovate sulla vostra calcolatrice come seno, coseno e logaritmo sono trascendenti. Il motivo per cui sono state chiamate così, almeno ad occhio, è che in genere se si applicano quelle funzioni a un numero intero si ottiene un numero trascendente, il che non è effettivamente una bella cosa quando già le frazioni sembrano essere un po’ esoteriche… ma suvvia, un po’ di trascendenza fa sempre bene!

Ultimo aggiornamento: 2008-06-07 08:58

meno dieci

Essendoché oggi è il 4, tra dieci giorni sarà il 14 (giugno), e quindi ci sarà la seconda edizione del Carnevale della Matematica, dopo il grande successo iniziale.
Chi in questo mese avesse scritto nel proprio blog post ad argomento matematico (di tutti i tipi, non siamo razzisti) e volesse una segnalazione, mi può mandare privatamente i link agli articoli. Chi non avesse ancora scritto e volesse farlo, ha tempo diciamo fino a giovedì 12, che poi devo assemblare tutto. Chi non avesse un blog ma volesse scrivere qualcosa, può chiedermi l’accesso al blog di appoggio. Direi che è tutto.

Ultimo aggiornamento: 2008-06-04 11:06

È iniziato il Carnevale!

In perfetto orario, Proooof ha postato la prima edizione del Carnevale della Matematica. Per chi non avesse ancora capito di cosa si tratta, è un appuntamento mensile dove un volontario raccoglie i post di argomento matematico del mese che gli sono stati segnalati, presentandoli brevemente. L’idea è che in questo modo si possono conoscere nuovi blog e soprattutto nuova matematica (nel senso di “cose che non si sapevano, oppure modi nuovi di vedere le cose che si sapevano”).
Se andate a vedere i vari contributi, vi accorgerete che c’è proprio di tutto: ma non voglio rovinarvi la sorpresa. Vi annuncio invece che la seconda edizione ci sarà esattamente tra un mese, e sarà ospitata dal sottoscritto: ma ve lo ricorderò ancora in seguito, non preoccupatevi. Si cercano volontari per le prossime edizioni (tranne agosto: noi siamo italiani e il 14 agosto saremo tutti belli tranquilli a fare altro :-P )

Ultimo aggiornamento: 2008-05-14 11:44

Il teorema di Pick

[Figura 1]Quando andavo alle medie, tra le ore di lezione c’erano quelle di “applicazioni tecniche”. Non so se e cosa ci sia ora; alcuni anni dopo la materia era stata rinominata “educazione tecnica” e se non sbaglio maschi e femmine la facevano insieme. Ai miei tempi, invece, c’era ancora una divisione sessista, forse perché si pensava che una donna dovesse fare i “lavori da donna”, ed è già tanto che non fosse ancora chiamata “educazione domestica” come una volta. In queste ore di lezione, tra le varie cose che ci facevano fare mi è rimasto impresso nel mio cervello – anche se fortunatamente non nelle mie dita – il mettersi a piantare chiodi su una tavoletta di compensato in un reticolo rettangolare, tendendo poi opportunamente alcuni elastici intorno ad essi per costruire delle figure. Sono cose forse divertenti: credo però che se il professore mi avesse raccontato del teorema di Pick io sarei stato molto più interessato e mi sarei subito lanciato a cercare di dimostrarlo, perché è davvero qualcosa a prima vista incredibile. Non ci sarei magari riuscito, ma volete mettere la soddisfazione di provarci?
Immaginiamo di avere un piano cartesiano e di evidenziare al suo interno il reticolo di punti a coordinate intere: o più banalmente prendiamo un foglio a quadretti. Il teorema di Pick afferma allora che l’area di un qualunque poligono semplice i cui vertici sono punti del reticolo è data dalla formula
[1]      I + (P/2) – 1
dove I[Figura 2] è il numero di punti del reticolo interni al poligono (quelli indicati in blu nella Figura 1 qui a fianco) e P il numero di punti sul suo perimetro: i vertici, indicati in rosso, ma anche i punti indicati in verde che si trovano all’interno dei lati. In questo caso, abbiamo 32 punti blu e 18 tra rossi e verdi, quindi l’area del poligono è di 40 quadretti. Come si vede, il poligono non deve necessariamente essere convesso perché valga il teorema di Pick; più precisamente, la definizione di “poligono semplice” significa infatti che esso non deve avere buchi al suo interno, lati ripetuti o incrociati come negli esempi della Figura 2 per cui il teorema per l’appunto non vale. Anche con queste restrizioni il teorema ha a prima vista qualcosa di magico, pensando a tutti i possibili lati storti; d’altra parte Georg Alexander Pick, il matematico austriaco che dimostrò il teorema nel 1899, oggi non sarà molto famoso però è stato lui a presentare Gregorio Ricci Curbastro a un certo giovincello (Albert Einstein) che aveva bisogno di un esperto matematico per i conti della teoria della relatività. Insomma, Pick non era proprio l’ultimo arrivato.
Ma bando alle ciance, e vediamo una possibile dimostrazione del teorema: non garantisco sia la più semplice, soprattutto perché me la sono trovata io e le mie contorsioni mentali sono peculiari, ma dovrebbe essere sufficientemente chiara da poterla seguire senza sbattere la testa contro il muro. Iniziamo con una classe di poligoni molto semplice: i rettangoli [Figura 3]i cui lati sono paralleli al reticolo, come quello della Figura 3. In questo caso i conti sono alla portata di tutti: basta stare attenti a non sbagliare a contare i puntini, ricordando che se i punti sono a distanza 1, un segmento di lunghezza 10 ne conterra undici! Se i lati del rettangolo sono a e b, la sua area è ab. Il perimetro conterrà 2(a+b) punti e l’interno ne contiene (a-1)(b-1), vale a dire ab-(a+b)+1; quindi la formula in questo caso è corretta.
Passiamo adesso al punto fondamentale della dimostrazione: mi occorre un teorema ausiliario che afferma che se abbiamo due poligoni per cui vale la formula [1] e che hanno in comune parte di un lato (almeno due punti), allora anche per il poligono risultante vale la [1]. Attenzione: non sto affatto dicendo che la formula sia vera! Per fare un esempio pratico, pensiamo di avere delle confezioni di caramelle con indicato il loro peso, e che ci venga detto che la formula per il costo delle caramelle è data dal prodotto di un euro per il numero di etti del loro peso; è chiaro che prendendo due confezioni [Figura 4]basta sommare il loro peso in etti e moltiplicarlo per un euro. Ma la stessa cosa varrebbe se il costo fosse di due euro l’etto, o cinquanta centesimi: quindi non possiamo sapere il costo. Peggio ancora, magari ci sono caramelle confezionate in una bella scatola di latta, il cui prezzo è un euro l’etto più un euro per la scatola; se prendiamo una confezione normale e una inscatolata, fare la somma non serve a un tubo. Quest’ultimo esempio, riportato ai nostri poligoni, ci ricorda che per il momento sappiamo solo misurare rettangoli, e già un triangolo ci darebbe problemi. Ma facciamo un passo per volta.
Nella Figura 4, siano A e B i due poligoni e C quello ottenuto unendoli; il segmento comune sia s. Per A, abbiamo Ia punti interni e Pa punti sul perimetro; similmente per B ci saranno Ib punti interni e Pb punti sul perimetro. [Figura 5]I punti interni di C saranno quelli interni di A, quelli interni di B e quelli interni di s (nella figura ce n’è uno, indicato con un cerchietto blu); quelli perimetrali saranno la somma dei perimetrali di A e di B, togliendo due volte i punti interni di s (nei poligoni separati contavano doppio, in quello unito non ci sono) e una volta i due punti estremi di s (indicati in figura con un cerchietto verde: nei poligoni separati contavano doppio, in quello unito sono singoli). Ma guardando la formula [1], il peso dei punti interni di s tolti dal perimetro è esattamente uguale al peso dei punti aggiunti all’interno di C. Abbiamo quindi tolto solo i due punti estremi di C, che contano per una unità: proprio quella che dovremmo togliere in più, visto che nella somma di A e B ci sono due addendi che valgono -1 mentre in C ce n’è uno solo.
Prima di continuare, faccio notare che il teorema ausiliario funziona anche alla rovescia, “in sottrazione”. Se noi siamo certi che per il poligono B [Figura 6]valga la nostra formula, allora possiamo affermare con sicurezza che “se la formula vale per A, allora varrà anche per C; viceversa, se vale per C allora varrà anche per A”. Questo sarà il grimaldello per terminare la dimostrazione.
Passiamo ora a dimostrare che il teorema di Pick vale per i triangoli rettangoli con i cateti paralleli al reticolo. Il trucco, come si vede nella Figura 5, è di metterne insieme due per ottenere un rettangolo. I due triangoli sono assolutamente identici, quindi con le notazioni precedenti possiamo dire che Ia=Ib e Pa=Pb; è questo fatto che ci permette di ricavare la formula, suddividendo come nel caso precedente i punti interni al rettangolo ma che stanno sulla diagonale, e quindi devono essere tolti dal totale degli interni e associati ai perimetri dei due triangoli. Fortunatamente i punti perimetrali valgono solo un mezzo, e quindi la suddivisione è perfetta… se non fosse per i due estremi della diagonale del rettangolo, che danno giusto un’unità in più. Nel nostro esempio pratico, abbiamo un triangolo rettangolo di cateti 4 e 12; il rettangolo ha 33 punti interni (di cui 3 sulla diagonale) e 32 punti perimetrali; i due triangoli hanno ciascuno (32/2)+1=17 punti sui cateti, 3 all’interno della diagonale e (33-3)/2=15 punti interni. Come potete vedere, i conti tornano perfettamente.
Siamo ormai verso la fine. Con il nostro teorema ausiliario applicato al più tre volte ai triangoli rettangoli esterni nella Figura 6, possiamo affermare che il teorema di Pick è valido per un qualsiasi triangolo, come quello all’interno della figura stessa. A questo punto possiamo finalmente tornare alla nostra figura iniziale. Potrei tranquillamente dire “visto che ogni poligono semplice è triangolabile, basta suddividerlo in un insieme di triangoli, e siamo a posto”. Peccato che io non sia mica così certo che sia banale dimostrare che ogni poligono semplice è triangolabile: visto che tanto abbiamo già fatto un lavorone, tanto vale andare fino in fondo. Il trucco è rendere convesso il poligono: si cercano due lati consecutivi che formano un angolo più grande che piatto e per cui il segmento che unisce gli altri due vertici è tutto all’esterno del poligono, e si sostituisce il nuovo segmento ai due originali. In pratica si è sommato un triangolo (per cui il teorema vale), e si è ottenuta una figura con un numero di vertici inferiore di uno. Prima o poi continuare sarà impossibile, e si giungerà a un poligono convesso: a questo punto si può fare lo stesso giochetto della Figura 6 e rettangolare il poligono, riuscendo finalmente ad applicare il teorema in un caso noto: a questo punto, basta tornare indietro passo passo e sappiamo che la cosa vale anche per il poligono iniziale.
Il tutto visto scritto così sembra una faticaccia immane, lo ammetto. Ma credo che la cosa più difficile sia mettere in forma scritta i vari passaggi, nessuno dei quali è particolarmente complicato. Inoltre il ragionamento segue esattamente quello che ho fatto io per riuscire a dimostrare il teorema, e quindi può dare un’idea di come ci si possa muovere quando si vuole fare una dimostrazione matematica. Mica come le dimostrazioni dei libri, che sono fatte a posteriori!

Ultimo aggiornamento: 2008-05-08 08:19

Il gotha dei divulgatori di matematica

Ho spesso parlato nelle mie notiziole di Rudi Mathematici, la Prestigiosa Rivista Matematica fondata nello scorso millennio e che ad aprile aveva una distribuzione di 1730 copie: mica albicocche artiche!
Orbene: da questo mese di maggio, la rivista Le Scienze aggiunge una nuova rubrica, “Rudi Matematici” (senza h), curata dal trio Alice Riddle, Rudy d’Alembert e Piotr Rezierovich Silverbrahms. L’unica somiglianza tra il trio e le persone disegnate nello spazio della rubrica sta nei boccali di birra, ma non sottilizziamo.
Il mio primo pensiero quando ho saputo la notizia è riassumibile così: INVIDIA. Grassetto no, ma almeno maiuscolo sì. Il mio secondo pensiero è stato “Che bello!” Perché mettersi a fare il bambino, quando stiamo parlando del ritorno dei giochi matematici, e per di più scritti e pensati in italiano, nella più famosa rivista di divulgazione scientifica che possiamo trovare in edicola? Evvai!!!!

Ultimo aggiornamento: 2008-05-01 15:32

Parole matematiche: attrattore

(la lista delle parole matematiche si trova qua!)
La parola attrattore non dovrebbe fare parte della lista delle parole matematiche, a rigor di termini: ho controllato sul De Mauro e sul Garzanti, e il lemma non è registrato. Persino il Merriam-Webster on line indica attractor come sottolemma del verbo to attract. In un certo senso, però, il termine ha una sua storia rimbalzante tra il “mondo comune” e la matematica, quindi ci spendo due parole.
Il verbo attrarre, dal latino ad + trahere, entra in italiano a metà del XIV secolo con il significato letterale di “tirare a sé con forza” e con quello traslato di “lusingare, allettare”. Mentre quest’ultimo porta al significato di attrazione come “fascino” o “spettacolo di grande interesse” solo alla fine del XIX secolo, l’uso del sostantivo nel significato di “forza con cui un corpo ne attrae a sé un altro” è quasi coevo a quello del verbo, e porta a tempo debito anche a indicare l’attrazione provata dalla limatura di ferro nelle vicinanza di una calamita. La situazione era abbastanza stabile fino a che non sono arrivati quei guastafeste di matematici, che hanno deciso di dare il nome a quello che si ottiene facendo evolvere nel tempo certi tipi di sistemi dinamici. Per fare un esempio terra terra, se mettiamo in moto un pendolo prima o poi questo si fermerà sulla verticale del punto dove è sospeso: si può dire che il sistema composto dal pendolo ha come attrattore il punto dove il pendolo stesso sta in equilibrio. Il buffo è che si è deciso di inventare il nome quando nella teoria del caos si sono trovati degli attrattori senza una forma ben definita: gli attrattori strani di cui forse avrete sentito parlare.
Il buffo è che una volta che il neologismo è stato sdoganato – e la teoria del caos, con quel bel nome che si ritrova, è un ottimo sdoganatore – la parola è subito sfuggita alle sgrinfie dei matematici per approdare nei siti web: fate una ricerca con stringhe “attrattore culturale” oppure “attrattore sociale” e capirete cosa intendo. L’attrattore è una qualunque cosa che attrae, insomma: quella che magari qualche decennio fa veniva chiamata attrattiva. Un altro grande successo della matematica!

Ultimo aggiornamento: 2008-04-29 16:32

la calcolatrice fallata

Premessa: tutta la storia che racconto qui sotto è rigorosamente vera: non ho inventato nulla.
Noi andiamo relativamente spesso in una pizzeria in viale Marche. I pizzaioli ci conoscono, e quello che sta in cassa ormai mi chiede direttamente “Oggi quanto avete speso?” (ci sono molti tipi di pizza di prezzi diversi, quindi ogni volta il totale è un po’ diverso). Ieri sera vado a Linate a prendere Anna, arriviamo in pizzeria e il pizzaiolo mi fa “Tu che sei matematico, è possibile che una calcolatrice sbagli a fare le percentuali?” Rispondo che mi pare strano, e gli chiedo di farmela vedere. Era una normale calcolatrice Casio, di quelle da negozio con i tasti enormi. Lui calcola il 20% in più di 200; digita 200+20%, ed esce fuori… 250. Rimango un po’ interdetto, mi faccio dare la calcolatrice, ridigito i numeri per conto mio: di nuovo 250. Provo allora un altro conto facile: 100+10%. Risultato: 111.11111. Gli dico che non ho proprio idea, che probabilmente hanno effettivamente sbagliato il circuito per la percentuale, e intanto ordiniamo le pizze. Mentre aspettiamo, faccio un po’ di conti: quando torna il pizzaiolo gli dico “Puoi controllare se 100+30% dà questo risultato?” Lui va, prova e torna dicendo “Sì, è proprio quello. Ma è una magia!” Per la cronaca, poi abbiamo mangiato e pagato – senza sconti. Domanda: che numero ho scritto sul foglietto?
Non so se il problemino sia risolubile da uno studente sveglio delle medie, ma sicuramente al biennio delle superiori sì. Non richiede matematica avanzata, ma solo un po’ di intuizione e qualche calcolo davvero elementare: insomma è alla portata di tutti. Volete provarci anche voi?
Restano poi alcuni punti interessanti e non direttamente matematici: ad esempio, come mai la Casio abbia messo sul mercato una calcolatrice evidentemente malfunzionante nella logica, e soprattutto perché la matematica viene vista come una magia peggio di quelle di Harry Potter. Un conto è la massima di Clarke secondo cui ogni tecnologia sufficientemente avanzata è indistinguibile dalla magia, però qua di tecnologia (nei conti, non nella calcolatrice) non ce n’è per nulla. Misteri.

Ultimo aggiornamento: 2008-04-19 14:22

non mi sono dimenticato del Carnevale della matematica!

In questi giorni di silenzio matematico, ho meditato e ho sentenziato:
– la data del 14 del mese (come prime due cifre dopo la virgola dello sviluppo decimale di \pi) mi pare un’ottima idea, anche perché è intorno a metà mese.
– per chi non ha voglia di avere un blog tutto per lui, ho creato questo. Fatevi un account su iobloggo, ditemi il nome utente (non il nickname), e io vi do accesso in scrittura. Nota: non è che dovete parlare solo di matematica, se vi viene da scrivere qualcos’altro fate pure. Quel blog è semplicemente un contenitore che si spera abbia poi materiale matematico.
– chi vuole fare il collettore per il primo Carnevale? Deve semplicemente ricordare qualche giorno prima della data prevista di scrivere un post ricordando a tutti di inviare i link ai propri contributi, e scrivere un post il 14 che racconti il tutto.

Ultimo aggiornamento: 2008-04-16 10:11