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post di argomento matematico del 2025

Il rapporto superaureo – 3

Dopo il primo e il secondo post sul rapporto superaureo, termino con una costruzione che ricorda quella dei conigli di Fibonacci, ma lavora più in grande (altrimenti il rapporto non sarebbe mica superaureo, no?)

Un secolo e mezzo dopo Fibonacci, il matematico indiano Narayana Pandit nel suo testo Ganita Kaumudi propose questo problema.

Una mucca dà alla luce un vitello (femmina) ogni anno. A partire dal suo quarto anno di vita, ogni vitello ormai divenuta una mucca adulta dà anch’essa alla luce un vitello l’anno. Quante mucche e vitelli ci saranno in tutto dopo vent’anni?

Occhei, il testo dovrebbe ricordarvi per l’appunto qualcosa…
Matematicamente, abbiamo l’equazione alle ricorrenze $N_k = N_{k-1} + N_{k-3}$, con la condizione iniziale $N_0 = N_1 = N_2 = 1$. La N è naturalmente maiuscola in onore di Narayana, come nel caso della F per i numeri di Fibonacci. I primi termini della successione sono 1, 1, 1, 2, 3, 4, 6, 9, 13, 19, 28, 41, 60, 88… e il loro rapporto tende al numero superaureo $\psi$. È interessante notare come i numeri di Narayana siano collegati ai coefficienti binomiali, per mezzo della formula

$N_{n} = \sum_{k=0}^{\lfloor n / 3 \rfloor}{n-2k \choose k}$;

ma d’altra parte è noto che guardando attentamente il triangolo di Tartaglia possiamo trovare al suo interno la successione di Fibonacci, quindi non vedo nulla di strano.

frattale di Rauzy

Vi risparmio un po’ di formule in stile Binet per ricavare il rapporto superaureo, e termino con una figura: un frattale di Rauzy, dove la tessera grande è formata da tre tessere più piccole e i rapporti relativi sono $\psi^4 : \psi^2 : \psi : 1$. Come ci si arriva? Iterativamente, come sempre con i frattali. Partiamo dalla matrice

$Q = \begin{pmatrix} 1 & 0 & 1 \\ 1 & 0 & 0 \\ 0 & 1 & 0 \end{pmatrix}$

che ha come autovalore $\psi$. Se la eleviamo alla n-sima potenza, otteniamo
$Q^{n} = \begin{pmatrix} N_{n} & N_{n-2} & N_{n-1} \\ N_{n-1} & N_{n-3} & N_{n-2} \\ N_{n-2} & N_{n-4} & N_{n-3} \end{pmatrix}$

che come vedete ha come elementi numeri consecutivi di Narayana. Ma possiamo vedere queste matrici anche come generate da una struttura ricorrente:
$\begin{cases}
a \;\mapsto \;ab \\
b \;\mapsto \;c \\
c \;\mapsto \;a \end{cases}$

partendo da un elemento $w_0 = b$. Applicando quelle regole di trasformazione, a ogni passo avremo che la quantità di $c, b, a$ sono numeri di Narayana consecutivi, e la lunghezza complessiva della stringa al passo $n$ è sempre un numero di Narayana. Ecco i primi passi della trasformazione:

$w_1 = b$
$w_2 = c$
$w_3 = a$
$w_4 = ab$
$w_5 = abc$
$w_6 = abca$
$w_7 = abcaab$
$w_8 = abcaababc$
$w_9 = abcaababcabca$

Il frattale di Rauzy considera le tre lettere come direzioni spaziali, genera un insieme infinito di punti dello spazio che poi vengono mappati su un piano per ottenere la figura mostrata sopra. (A dire il vero, questa figura corrisponde alla trasformazione (a ↦ cab) (b ↦ a) (c ↦ ab), ma quella che ho usato io porta a una figura simile). Non è carino?

Immagine di Zilverspreeuw da Wikimedia Commons, CC=BY=SA 4.0

Ultimo aggiornamento: 2025-03-07 21:04

Quasi e

Nella sua mailing list Beyond Euclid, Ali Kaya ha presentato un’approssimazione di e costruita da Richard Sabey, che usa tutte le cifre da 1 a 9 e che vedete qui sotto. Il valore è corretto a 18.457.734.525.360.901.453.873.570 cifre decimali. Come è possibile?
un'approssimazione di e
Immagino che vi siate accorti tutti del trucco (in senso buono, naturalmente: l’approssimazione è proprio quella, non ha barato) di Sabey. Una delle definizioni di e è il limite per n tendente a infinito di (1 + 1/n)n. Quindi se prendiamo n abbastanza grande ci avviciniamo molto a e. Ora, il meno nell’esponente tra parentesi serve per fare l’inverso. Poi abbiamo 4(7×6) = 442 = 284; ma questo è l’esponente di 9 che è 32, quindi tutto il numerone tra parentesi è 32^85, esattamente come il numerone a cui si eleva il valore tra parentesi.
L’idea di Sabey è stata dunque quella di trovare un modo per scrivere in due modi diversi il numero più grande possibile usando una sola volta le cifre da 2 a 9: complicato ma non così tanto come il compito poteva sembrare a prima vista. (Poi ha anche dovuto calcolare quanto fosse corretta l’approssimazione, e lì ammetto di non sapere come si fa.)

Spero di non avervi rovinato la poesia dell’espressione algebrica!

Il rapporto superaureo – 2

La scorsa settimana avevo parlato del rapporto superaureo, dato dall’unica radice reale dell’equazione $x^3 = x^2 + 1$. Esso si indica con la lettera greca ψ e vale circa 1,46557. Si ha inoltre l’uguaglianza $\psi^{2} \left( \psi – 1 \right) = 1$. Vediamo ora qualche altra proprietà del rapporto superaureo.

Innanzitutto possiamo vedere quali sono le altre due radici (complesse coniugate) dell’equazione che definisce ψ. Dividendo il trinomio $x^{3} -x^{2} -1$ per $x – \psi$, ricaviamo $x^{2} + (x /\psi^{2}) + (1 /\psi)$ da cui troviamo che le altre due radici sono $x_{1,2} = \left( -1 \pm i \sqrt{4 \psi^2 + 3} \right) /2 \psi^{2}$. Tali radici hanno l’interessante proprietà che $x_1 +x_2 = 1 -\psi$ e $x_1x_2 =1 /\psi$; pertanto sia la somma che il prodotto delle tre radici è 1, come del resto si poteva vedere dall’equazione di partenza (usando una generalizzazione del fatto che nelle equazioni di secondo grado della forma $x^2 + sx + p = 0$ la somma delle radici è $-s$ e il loro prodotto $p$; in generale in un’equazione polinomiale monica di grado $n$ il termine noto è il prodotto delle radici, mentre il coefficiente del termine di grado $n-1$ è $(-1)^{n-1}$ volte la loro somma.)

La proprietà corrispondente a quella del numero aureo, cioè $ \phi^{n} =\phi^{n-1} +\phi^{n-2} $, per il numero superaureo diventa $ \psi^{n} =\psi^{n-1} +\psi^{n-3} $, che possiamo far diventare con un po’ di manipolazioni $\psi^{n-2} +2\psi^{n-4} +\psi^{n-6}$. Più interessante notare che ψ è un numero di Pisot (il quarto più piccolo in valore; Vijayaraghavan mi perdoni se non uso anche il suo nome), perché è maggiore di 1 e le due altre radici dell’equazione che lo definisce hanno valore assoluto minore di 1. Questo significa che le sue potenze (di esponente sufficientemente alto) sono ottime approssimazioni di numeri interi. Perché, vi chiederete? Sempre per la storia della somma delle radici: si può dimostrare che la somma delle n-sime potenze delle radici è un numero intero, e visto che il valore assoluto di tutte le altre radici è minore di 1, al crescere della potenza contano sempre di meno. Uno degli esempi più noti di numeri di Pisot è tra l’altro il rapporto aureo, come vediamo facilmente dalla serie di Fibonacci o se preferite dalla formula di Binet. Qui bisogna aspettare un po’ di più per avere un quasi-intero: per esempio, $\psi^{11} = 67.000222765…$. A proposito di somiglianze, ce n’è una che manca. Mentre φ è il numero “peggio approssimabile” con frazioni, perché il suo sviluppo in frazione continua è [1;1,1,1,1,…] e come sapete più piccoli sono i termini meno si riesce ad approssimare un numero troncando lo sviluppo, quello di ψ è [1;2,6,1,3,5,4,22,1,…] e quel 22 ci fa capire che fermandosi subito prima avremo una buona approssimazione: 1873/1278, per la cronaca.

un rettangolo superaureo
spirale superaurea

Esistono gli equivalenti del rettangolo e della spirale aurei? Certo, e con grande fantasia si chiamano rettangolo e spirale superaurei. Sulla spirale non c’è molto da dire, se non è che logaritmica, passa per i vertici dei rettangoli superaurei sempre più piccoli che compongono quello di partenza e però spunta un po’ fuori da essi. Per il rettangolo superaureo, invece, non solo abbiamo tanti rettangoli simili all’interno – e, come abbiamo visto la volta scorsa, rettangoli che non sono superaurei ma hanno la stessa area di quello opposto rispetto alla diagonale; ma possiamo anche fare una partizione del rettangolo in quattro triangoli rettangoli, dove il vertice interno di due di essi è proprio il punto da cui si fa la divisione in sottorettangoli. Questa proprietà, come tante altre e il concetto stesso di rettangolo superaureo, era sfuggita ai greci perché non è possibile disegnarlo con riga e compasso… in questo caso l’algebra ci avvantaggia molto.

Se qualcuno infine si chiedesse se c’è un equivalente della successione di Fibonacci che sfrutta il rapporto superaureo, la risposta è positiva: ma ne parlerò la settimana prossima :-)

Le immagini del rettangolo superaureo e della spirale superaurea sono di Zilverspreeuw, e si trovano su Wikimedia Commons

Il rapporto superaureo

Un paio di mesi fa avevo parlato del rapporto argenteo, che evidentemente vale un po’ meno di quello aureo, nel senso che è meno piacevole all’occhio. Ma ci sono altri numeri simili? Certo che sì! Oggi per esempio vi parlerò del rapporto superaureo (supergolden ratio in inglese). Come il rapporto aureo è la radice (positiva) dell’equazione $x^2 = x + 1$, il rapporto superaureo è la radice (unica reale) dell’equazione $x^3 = x^2 + 1$, ed è indicata con la lettera greca ψ (psi). Equivalentemente, ψ è il rapporto $\frac{a+b}{a}$ tale per cui $\left( \frac{a+b}{a} \right)^{2} = \frac{a}{b}$. Le prime cifre decimali di ψ sono 1,465571231876768…, e vale l’uguaglianza $\psi^{2} \left( \psi – 1 \right) = 1$.
rettangoli superaurei
Il rettangolo qui in figura ha area ψ; e i tre rettangoli blu, rosso e giallo hanno area rispettivamente $\frac{1}{\psi}, \frac{1}{\psi}^3, \frac{1}{\psi}^5$ (quello verde ha la stessa area di quello rosso, per la cronaca). Come vedete, a differenza del rapporto aureo si salta di due potenze per volta.
Anche il rapporto superaureo ha molte caratteristiche interessanti, che però vi racconterò la prossima settimana :-).

Immagine di OmegaFallon, da Wikimedia Commons.

Cantor vs Kronecker

stringhe Il mese scorso, nella mailing list “Problem of the Week” di Stan Wagon, è apparso un problema che non sono riuscito a risolvere (shame on me). La vergogna è che quando ho visto la soluzione mi sono detto che avrei dovuto arrivarci, perché usava la stessa logica che avevo trovato in un altro problema. Visto che qui non si butta via nulla, vi propongo il problema, direttamente con la soluzione perché non è giusto far penare anche voi. Ecco il problema:

Alice ha un insieme di $n+1$ stringhe binarie di lunghezza $n \; ( \ge 2 )$. Bob sa che Alice ha queste stringhe, ma non sa nulla su come sono fatte. Il suo scopo è indicare una stringa, sempre di lunghezza $n$, che Alice non possiede, e per farlo può fare delle domande del tipo “qual è il bit $j$ della stringa $k$?”. Qual è il numero minimo di domande che Bob deve fare per essere certo di trovare la sua stringa?

Per i curiosi, il problema è stato proposto da Noga Alon, Oliver Boisquet, Kasper Green Larsen, Shay Moran, e Shlomo Moran nel numero di dicembre 2024 dell’American Mathematical Monthly. Se volete provare a risolvere il problema, non proseguite la lettura.

Il titolo del post dovrebbe farvi subito pensare al procedimento diagonale di Cantor: se Alice avesse solo $n$ stringhe non ci sarebbero infatti difficoltà. Bob farebbe le $n$ domande “qual è il bit $i$ della stringa $i$?”, e costruirebbe la sua stringa prendendo il bit opposto a quello che ha avuto come risposta. In questo modo sarebbe sicuro che il primo bit della sua stringa è diverso da quello della stringa 1 di Alice, il secondo bit è diverso da quello della stinga 2, e così via. Peccato che Alice abbia una stringa in più, e se Bob è sfortunato quella stringa è proprio quella che lui ha costruito. Anche testare tutti i bit di quella stringa serve a poco: se sono tutti uguali bisogna ricominciare da capo. Insomma la strada che sembrava promettente si è rivelata una specie di circolo vizioso. Come procedere, dunque? Ecco un secondo aiuto, quello che se mi fosse venuto in mente mi avrebbe permesso di arrivare alla soluzione: considerate un piccolo sottoinsieme delle stringhe di Alice e trovate un modo per sceglierne una specifica da cui partire per la diagonalizzazione. Avete capito come?

Il trucco per riuscire a trovare una stringa “nuova” con $n+2$ domande consiste nello scegliere opportunamente il suo primo bit. Le prime tre domande di Bob saranno dunque “qual è il primo bit della stringa 1, quello della stringa 2 e quello della stringa 3”. Di questi tre bit, almeno due devono essere uguali tra loro: senza perdita di generalità possiamo supporre che ci siano almeno due bit 0. (Se ci fossero due bit 1, il ragionamento è ovviamente simmetrico). Bob allora costruirà la sua stringa partendo con 1. La sua quarta domanda sarà “qual è il secondo bit della stringa $k$?”, scegliendo quella eventuale il cui primo bit è 1 (se tutte e tre le stringhe cominciavano con 0 salterà la domanda), e metterà l’altro valore binario come secondo bit. Da qui continua con il metodo diagonale, chiedendo il bit $k$ della stringa $k+1$ e scrivendo l’altro valore. In tutto farà quindi $n+2$ domande. Come dimostrare che non si può fare di meglio? Beh, innanzitutto avendo Alice $n+1$ stringhe Bob dovrà fare almeno $n+1$ domande. Ma per il principio dei cassetti dovrà chiedere almeno due volte il bit nella stessa posizione di due stringhe distinte. Se Alice dice che questi bit sono distinti allora Bob non può sapere che bit mettere in quella posizione, perché rischia di trovare la stringa di Alice con quel bit lì.

Essendo i matematici gente che ama le generalizzazioni, un problema correlato è quello “chiedere tutto subito” in cui Bob deve fare tutte le domande in anticipo, e quindi non può sfruttare le risposte di Alice per scegliere quale domanda successiva fare (la quarta domanda nella soluzione che ho riportato qui sopra). In questo caso non ci sarei arrivato nemmeno con l’aiuto di cui sopra: però in effetti la soluzione è molto simile, e permette di trovare una stringa “nuova” con al più $n+4$ domande. Eppure la strategia è molto simile. Riuscite a trovarla?

In questo caso Bob comincia a chiedere i primi due bit delle stringhe 1, 2, 3: in tutto sei domande, poi continua come prima chiedendo il bit 3 della stringa 4, il bit 4 della stringa 5 e così via. Una volta avute tutte le risposte da Alice, Bob comincia a fare i suoi conti: ci sono quattro possibilità per la coppia di bit (00, 01, 10, 11), Alice può averne usate al massimo tre e Bob sceglie pertanto la quarta, usando per gli altri bit l’opposto di quanto indicato da Alice. È anche possibile dimostare che $n+4$ domande è il valore minimo, ma non ho abbastanza spazio in questo post :-) e quindi vi rimando a questo sito con la dimostrazione completa.

Morale di tutto qusto post? Il principio dei cassetti ha giocato un ruolo fondamentale nel trovare una soluzione, sia nel caso semplice che in quello con le domande fatte a priori: la cosa è almeno per me un po’ inaspettata.

Numeri duali e numeri complessi iperbolici

Come sapete, i numeri complessi possono essere visti in vari modi: coppie ordinate di numeri reali a cui viene applicata una struttura specifica, oppure punti di un piano cartesiano sempre con una struttura specifica. D’accordo, probabilmente potremmo dire che questi due modi sono la stessa cosa. Ma facciamo un passo indietro e torniamo a quella che è stata storicamente la definizione iniziale di un numero immaginario (poi per arrivare ai complessi basterà sommargli un numero reale). Cosa ha fatto Tartaglia? Ha immaginato :-) di aggiungere ai numeri reali un elemento speciale i con la proprietà che i² = −1. Ovviamente Tartaglia non pensava in questo modo: per lui i numeri erano numeri, e l’elemento speciale era un semplice trucco usato perché alla fine spariva e lasciava il risultato corretto. Ma noi abbiamo mezzo millennio di matematica in più e possiamo permetterci questa visione astratta.

Cosa succede se proviamo ad aggiungere un elemento che ha una proprietà diversa da quella di i? Per prima cosa non avremo più un campo, visto che l’unica estensione dei numeri reali che resta un campo sono i numeri complessi. Ma questo in fin dei conti è solo un piccolo fastidio: tanto per dire, i quaternioni (dove aggiungiamo ai reali tre elementi che al quadrato danno −1) non sono un campo, ma non per questo non vengono usati. Più o meno nello stesso periodo in cui Hamilton formalizzò i quaternioni, furono proposte altre due estensioni dei numeri reali: i numeri duali e i numeri complessi iperbolici.

I numeri duali si ottengono aggiungendo ai reali un numero ε ≠ 0 tale che ε² = 0 (e immagino che avrete capito perché l'”unità duale” aggiunta si chiama epsilon…) Come per i numeri complessi, possiamo scrivere un numero duale come $z = a + bε$. Somma e prodotto di due numeri duali $z_1 = a_1 + b_1 \varepsilon$ e $z_2 = a_2 + b_2 \varepsilon$ sono rispettivamente

$ z_1 + z_2 = \left( a_1 + a_2 \right) + \left( b_1 + b_2 \right) \varepsilon $

$z_1 z_2 = \left( a_1 a_2 \right) + \left( a_1 b_2 + a_2 b_1 \right) \varepsilon$

(ovviamente ci siamo persi il quarto prodotto dei coefficienti, svanito insieme a ε²…) Per la divisione le cose sono un po’ più complicate. Tralasciando i passaggi formali, abbiamo infatti che

$\displaystyle\frac{a + b \varepsilon} {c + d \varepsilon} = \frac{a} {c} + \frac{cb – ad}{c^2} \varepsilon$

Notate che la divisione è definita per $c \neq 0$, quindi i numeri duali “puri” (privi cioè di parte reale) non sono invertibili. La cosa dovrebbe tornarvi, se pensate a ε come un infinitesimo e quindi a 1/ε come un numero infinito; e in effetti l’unità duale ha proprietà analoghe agli infinitesimi dell’analisi non standard. Per esempio, se abbiamo un polinomio $P(z)$ sui numeri duali, possiamo calcolare il suo sviluppo di Taylor in un punto $a + bε$: otteniamo

$\displaystyle P(a + b \varepsilon) = \sum_{k=0}^{\infty} P^{(k)}(a) \frac{(b \varepsilon)^k}{k!} = P(a) + P\prime(a) b \varepsilon$

Il bello è che lo sviluppo di Taylor non è infinito ma finito, perché tutte le potenze di ε dal quadrato in su si annullano! Come corollario, se conosciamo il valore del polinomio in un determinato numero duale, possiamo calcolare direttamente la derivata del polinomio nella sua parte reale.

I numeri complessi iperbolici aggiungono invece un elemento h (Wikipedia usa ancora ε, mentre John Cook preferisce j immagino per fare arrabbiare gli ingegneri… però a me piace più h), con $h \neq ±1$ ma $h^2 = 1$. Non venitemi a dire che l’equazione $x^2 = 1$ non può avere più di due soluzioni: ho già detto che non abbiamo più un campo. In questo caso, a parte i segni, le formule di addizione, sottrazione e dell’inverso sono simili a quelle per i numeri complessi:

$z_1 + z_2 = (a_1 + a_2) + (b_1 + b_2) h $

$z_1 z_2 = (a_1 a_2 + b_1 b_2) + (a_1 b_2 + a_2 b_1) h$

$\displaystyle \left( a + b h \right)^{-1} = \frac{a – b h}{a^2- b^2}$

Avere però nell’inverso un segno meno anziché più a denominatore significa che non solo non è possibile la divisione per zero, ma anche per tutti i numeri iperbolici dove $a = ±b$. Anche in questo caso non abbiamo dunque un campo.

Termino con gli equivalenti della formula di Eulero $\exp(i\theta) = \cos \theta + i \sin \theta$, mostrati da John Cook nel suo succitato post. Per i numeri duali abbiamo

$ \exp(\varepsilon x) = 1 + \varepsilon x $

che è la stessa cosa che dire che per x numero reale molto piccolo abbiamo $\exp{x} \approx 1 + x $. Per i numeri iperbolici abbiamo invece

$\exp(hx) = \cosh x + h \sinh x$

e quindi spuntano seno e coseno iperbolico! Capite perché ho usato h per indicare l’unità iperbolica? Numeri duali e iperbolici possono insomma essere usati per formalizzare ragionamenti intuitivi matematici. Diciamo che quando un matematico si impegna può formalizzare la qualunque…

Aggiornamento: (09:15) Nei commenti mi è stato fatto notare che anche i numeri surreali formano un campo (almeno accettata l’esistenza di un cardinale inaccessibile). E in effetti anche i numeri p-adici formano un campo (anche se quella è un’estensione dei razionali e non dei reali). Probabilmente la cosa più corretta sarebbe stato dire che se vogliamo un campo dove tutte le equazioni abbiamo soluzione l’unica possibilità di ampliare gli interi è avere i complessi.

Aggiornamento: (09:30) Se qualcuno si chiedesse perché non ha mai sentito parlare di questi numeri, nonostante siano stati definiti da matematici come Clifford e Cayley, la risposta è semplice, e la si può leggere tra le righe se consultate l’edizione inglese di Wikipedia di quelle voci. Più o meno parallelamente a questi sviluppi si è cominciato a definire il calcolo matriciale, che è sì molto più astratto ma permette di unificare la descrizione. Abbiamo così per le varie unità le matrici 2×2

$ 1 = \begin{pmatrix}1 & 0 \\ 0 & 1 \end{pmatrix}$

$ i = \begin{pmatrix}0 & -1 \\ 1 & 0 \end{pmatrix} $

$\varepsilon = \begin{pmatrix}0 & 1 \\ 0 & 0 \end{pmatrix}$

$h = \begin{pmatrix}0 & 1 \\ 1 & 0 \end{pmatrix}$

e possiamo verificare che in effetti valgono le proprietà che conosciamo per i numeri complessi, duali e iperbolici.

Ultimo aggiornamento: 2025-02-05 10:42

Arrotondamenti comodi

@matematica

Nel volumetto della collana Matematica sui sistemi di numerazione ho parlato di basi di numerazione piuttosto esotiche, anche se a volte con una certa utilità. Oggi aggiunto qualche informazione in più che ho da poco scoperto leggendo il blog di John D. Cook.

Come probabilmente sapete, gli arrotondamenti non sono mai una cosa semplice, soprattutto se dovete fare una serie di operazioni consecutive. Generalmente si arrotonda per difetto se la cifra successiva a quella che arrotondiamo è 0, 1, 2, 3, 4 e si arrotonda per eccesso se è 6, 7, 8, 9 oppure 5 seguito da qualcos’altro. E se siamo proprio a metà, quindi dobbiamo arrotondare il “semintero” 42,5? Wikipedia (e i libri di testo dei miei figli concordano) afferma che se la cifra precedente il 5 è pari arrotondiamo per difetto e quindi abbiamo 42, altrimenti arrotondiamo per eccesso e da 43,5 otteniamo 44. Il tutto sperando che i numeri che arrotondiamo siano distribuiti casualmente e quindi non abbiamo un bias di arrotondamento

Sarebbe bello avere una regola più semplice, almeno se dobbiamo arrotondare a un numero intero, vero? Nel caso dei numeri seminteri non possiamo farci molto, ma in generale entra in gioco la base ternaria bilanciata, quella dove le cifre possibili sono 1, 0 e −1 (che per comodità scriviamo T, spostando il segno meno in alto…) e quindi per esempio 42 si scrive 1TTT03bil, cioè 81 − 27 − 9 − 3. È facile dimostrare che la più grande parte frazionaria positiva è 0,11111…3bil mentre la più piccola parte frazionaria negativa è 0,TTTTT…3bil. Se fate i conti, scoprirete che il limite della somma vale rispettivamente 1/2 e −1/2. Quindi arrotondare in questo caso equivale semplicemente a troncare.

Cook aggiunge anche che in generale, se usassimo una base di numerazione dispari anziché la nostra base 10, non avremo il problema del doppio arrotondamento. Supponiamo di avere 9876,5432i e di doverlo arrotondare alla prima cifra decimale. Avremmo così 9876,5 perché la parte seguente del numero comincia con 4. Se però ora arriva un contrordine e ci viene detto di arrotondare a un numero intero, allora dobbiamo arrotondare per difetto (la cifra precedente al 5 è pari) e troviamo 9876. Peccato che se avessimo subito arrotondato a un numero intero avremmo trovato 9877. Non è bello, vero? Beh, in una base dispari questo non può capitare, perché n + 1/2 non è esprimibile come numero dallo sviluppo finito e quindi siamo certi che gli arrotondamenti sono tutti nella stessa direzione. D’accordo, non sarà una buona ragione per cambiare base di numerazione, ma è comunque carino, no?

Ultimo aggiornamento: 2025-01-29 10:05

Linee dei numeri farlocche

Viviamo in un mondo di fake news. Non vi è mai venuto in mente che anche in matematica possiamo avere qualcosa di fake? (Ho usato farlocco nel titolo per non scriverlo in inglese). James Propp in questo post ha definito “fake number lines” le linee dei numeri che sembrano essere giuste, ma in realtà non funzionano.

Ma facciamo un passo indietro: già il concetto di “linea dei numeri” non è mica così semplice come sembra. È vero che qualcuno potrebbe pensare che i greci ce l’avessero in mente, visto che associavano a ogni numero un segmento proporzionale a uno specifico segmento dato, ma questa è una nostra razionalizzazione a posteriori, ma non è esattamente così. Tutto il loro armamentario serviva semplicemente per confrontare due numeri, ma a nessuno di loro è venuto in mente di prendere “tutti i numeri” e costruire una linea che li contenesse. (Notate le virgolette…) Questo perché la cosa avrebbe cozzato contro il loro mantra per cui non è possibile considerare in un colpo solo tutti i numeri, o anche solo tutte le frazioni tra 0 e 1: esse sono un numero infinito, e l’infinito attuale era verboten. Tutto quello che si poteva fare è dire che si poteva avere una moltitudine maggiore di una qualunque moltitudine data. Ciò dovrebbe farvi intuire che il fatto che noi diamo per scontato il concetto di linea dei numeri è un risultato davvero incredibile, una delle grandi conquiste della matematica.

Ma guardiamo la linea dei numeri in un modo diverso. Cosa succede se cominciamo a tagliarla a pezzetti? Se i suoi punti sono discreti, degli “atomi”, a un certo punto arriviamo ad avere un atomo, che per definizione è indivisibile, e abbiamo un problema. Se i punti sono continui, il problema è cosa succede sul punto esattamente sotto la lama di taglio, che immaginiamo essere puntiforme. Non per nulla Aristotele non voleva l’infinito assoluto: in questo modo poteva dire che tagliava la retta, lasciava il punto di taglio da una parte e non si preoccupava di cosa succedeva dall’altra parte. Peccato però che ci siano tante linee farlocche. La più nota è quella dei razionali, ma potremo per esempio usare i numeri diadici, quelli che si ottengono continuando a dividere a metà l’unità, o più prosaicamente i numeri che in formato decimale hanno un numero finito di cifre. In entrambi questi esempi non riusciamo a trovare il punto corrispondente a 1/3, anche se possiamo avvicinarci a piacere a esso (sempre l’infinito potenziale!)

Nel suo post, Propp spiega che l’assioma di completezza creato da Richard Dedekind, e che sostanzialmente afferma

“Se tutti i punti di una retta si dividono in due classi disgiunte, in modo tale che ogni punto della prima classe è a sinistra di ogni punto della seconda classe, esiste uno e un solo punto che produce questa divisione, tagliando la retta in due porzioni”

(l’unicità non è un problema, se ce ne fossero due potremo trovare un terzo punto in mezzo che non può stare da nessuna delle due parti) è una fregatura che ci costringe a buttare via tutte queste linee farlocche. Guardate il disegno qui sotto:

dove sta il punto p?

Dove può stare il punto p? O nella parte sinistra o nella parte destra, non ci sono dubbi. Ma questo significa che dobbiamo averlo anche nel caso in cui nei nostri esempi sopra cerchiamo 1/3, oppure nel caso dei numeri razionali cerchiamo la radice cubica di 2 (per la radice quadrata varrebbe lo stesso, ma quella almeno riusciamo a disegnarla). Nella versione che vediamo solitamente del taglio di Dedekind il punto è al di fuori del taglio: per esempio possiamo avere tutti i numeri che elevati al cubo sono minori di 2 e quelli che elevati al cubo sono maggiori di 2. Ma la cosa non cambia: l’assioma di completezza ci costringe a dire che quel punto esiste. Insomma, se vogliamo una linea dei numeri ben fatta siamo costretti ad avere i numeri reali. Carino, no?

Ultimo aggiornamento: 2025-01-22 10:03