Mercoledì sera Anna e io siamo andati a vedere la prima al Piccolo di Riccardo III, coproduzione del Teatro Stabile dell’Umbria e del LAC di Lugano, nell’allestimento di Antonio Latella. Commento: già alla fine del primo tempo ci siamo guardati e abbiamo detto “Mah”.
Diciamo che capire la trama se non la si conosce già non sarebbe facile: ma ammettiamo che in fin dei conti Shakespeare ci sia sufficientemente noto. Che Vinicio Marchioni sia un Riccardo bello e non deforme, vestito di bianco in una scenografia che dovrebbe ricordare il giardino dell’Eden, ci sta anche. Ma già che siano vestiti tutti come nel Settecento non ha nessun senso, a questo punto falli diventare gangster anni 1920 e amen. La recitazione era declamata ma faceva perdere comunque dei passaggi: a volte mi sembrava quasi che ciascuno facesse un discorso per conto suo, persino nei dialoghi. Non parliamo di quando a Clarence e Hastings, appena morti, viene messa in testa una parrucca (sempre settecentesca) per far fare loro un altro personaggio: non mi è chiara la logica di questa innovazione rispetto al classico “mando fuori scena e faccio rientrare subito dopo con una parte di vestito diverso”. Infine non mi è per nulla chiaro perché la macchina per il fumo scende e si appalesa come deus ex machina nella scena finale. Insomma, non mi sono per nulla divertito.
Ah: Marchioni nel monologo finale si è lasciato scappare un “avrebbe” anziché “avesse”. Le basi dell’italiano…