Tra le storie pubblicate in morte di Giorgio Armani c’è quella sul dominio armani.it, che era stato inizialmente preso dal titolare di un timbrificio il cui nome era Luca Armani e poi è stato assegnato a quell’altra Armani, cioè la Giorgio Armani SpA.
A parte l’ovvio svarione sulle date – la causa legale è cominciata nel 1998, non nel 2008 – io ricordo qualcosa di diverso. Innanzitutto la storia nasce nel 1997, quando Luca Armani registra il dominio armani.it per il suo timbrificio e crea un sito web. Nel 1997 Internet cominciava a essere nota in Italia anche nel campo aziendale: la prima pubblicità cartellonistica che mi ricordi con indicato il nome del sito è quella di Invicta che era appunto del 1996 o 1997. In quegli anni i nomi a dominio .it erano assegnati con il contagocce: con l’eccezione dei provider internet che potevano averne fino a sette per i vari servizi di rete, gli aventi diritto potevano averne uno solo, e solo se erano aziende: ai privati cittadini non era ammesso registrarne uno. Questo lo so per certo, perché ero un membro della Naming Authority italiana che faceva quelle regole. La regola per l’assegnazione era “chi prima arriva e ha un diritto, si piglia il nome”. Evidentemente la Giorgio Armani SpA non aveva pensato che Internet servisse, come si vide anche per il sito armani.com – dove perse la causa contro il signor A. R. Mani, ma negli USA le regole sono diverse.
Quando la Giorgio Armani SpA citò a giudizio Luca Armani, quest’ultimo si affidò probabilmente a un avvocato che ne sapeva ancora meno del giudice. Per prima cosa, Luca Armani non aveva comprato il dominio ma l’aveva visto assegnato dalla Registration Authority (quella che oggi è il Registro .it). Ancora adesso non si può “vendere” un dominio, ma solo trasferirne la proprietà, dietro la foglia di fico di un pagamento per le spese sostenute nel gestirlo in passato. La prima cosa da fare sarebbe insomma stata chiedere che il procedimento venisse chiuso perché era da aversi contro la RA. Posso però immaginare che una strada del genere gli avrebbe immediatamente fatto perdere la titolarità… Ma c’è un secondo punto. L’avvocato (mal) consigliò Luca Armani di togliere dal sito Web tutto quello relativo al timbrificio e usarlo solo come sito personale. L’idea probabilmente era quella di evitare una sentenza legata al marchio notorio e all'”indebito vantaggio” di chiamarsi in quel modo, pur non essendoci un caso di concorrenza sleale. Non solo un avvocato appena esperto di cose di rete (e ne avevamo, nella NA) poteva smontare la cosa, come scrisse per esempio Alberto Monari – ricordate, siamo nel 1997, non anche solo nel 2005 – ma soprattutto in questo modo Luca Armani si mise da solo al di fuori delle regole per l’assegnazione del dominio, e quindi finì automaticamente dalla parte del torto. Insomma, l’analisi di Punto Informatico non sta in piedi.
Poi magari Luca Armani aveva chiesto qualche decina di milioni a Giorgio Armani per cedergli volontariamente il dominio: ma non penso sia andata così, anche perché gli avvocati della controparte avrebbero immediatamente colto l’occasione. Diciamo che è stata comunque una delle tante tristi pagine nella storia di Internet in Italia.