Le recensioni di questo breve saggio (Chiara Valerio, La matematica è politica , Einaudi 2020, pag. 112, € 4,99 (cartaceo € 12), ISBN 9789788858434512) che ho letto in giro si sono concentrate soprattutto sulla politica, e su come l’autrice è riuscita a dimostrare che la politica può essere in fin dei conti letta con le categorie della matematica. Credo però che non sia questa la migliore chiave di lettura. Valerio, come le capita spesso, parte dal suo vissuto personale, e quindi dalla matematica. Tanto per dire, lo studio della prospettiva le è servito per capire che non c’è un solo punto di vista possibile, e quindi arrivare nel tempo ad accettare il relativismo: il che non significa che tutti i punti di vista siano uguali o peggio ancora veri, ma che dobbiamo ricordarci che il nostro punto di vista non è l’unico. Chiaramente questo si riverbera (ma Valerio non lo dice lì…) sull’approccio che dovremmo avere nella politica. Ma è ancora più importante ricordarsi che in matematica non funziona il principio di autorità, e che soprattutto “un matematico non risponde mai al chi ma sempre al cosa“; anzi nemmeno alle cose ma alle relazioni tra le cose. Ma la matematica è anche un processo sempre in corso, che evolve e si interpreta; proprio come dovrebbe essere la democrazia e come sicuramente non è la dittatura, che può cambiare colore ma funziona sempre allo stesso modo. Il libro è stato completato durante il primo lockdown, dove abbiamo avuto forti limitazioni della nostra libertà personale: ma abbiamo accettato (e non subìto) le limitazioni solo perché ne abbiamo capito il senso. (In effetti, aggiungo io, la controprova è con il secondo lockdown). Insomma, non so se la matematica sia davvero politica, ma concordo con Valerio; anche se a prima vista non lo si crederebbe, ci dà gli strumenti per fare davvero politica. Non con le categorie della matematica, ma con la forma mentis che essa crea in noi.
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