Molti brani evangelici sono ben noti anche a chi visita le chiese solo per vedere le opere d’arte al loro interno: come si suol dire, sono entrati nell’immaginario collettivo. Eppure è ancora possibile rileggerli in modo diverso, come Paolo Scquizzato fa in questo libro (Paolo Scquizzato, Padre nostro che sei all’inferno , Effatà 2013, pag. 144, € 12, ISBN 9788874028269). Le diciotto meditazioni, su brani che vanno da una riga a un capitolo intero, vertono tutte su un assunto di partenza: l’unica cosa che Dio ci offre è il suo amore inesauribile, il che significa che la lettura che si fa di solito di un computo pene / premi è completamente errata. Gesù non aspetta che ci pentiamo per perdonarci; Lui ci perdona per primo, e se noi accettiamo questo suo perdono allora il pentimento ci verrà naturale. Scquizzato mostra anche le minuzie che spesso si perdono nella lettura, come nel discorso della montagna con la dicotomia “Venite, benedetti dal Padre mio / Via, maledetti” (il Padre non può maledire nessuno)… Diciamo che non sono parole che si sentano spesso nelle prediche.
Boh, la cosa non mi sembra esattamente nuova: che il concetto di pena / premio sia quantomeno inadatto lo sento dire da un po’ di tempo. Ma forse dovrei proprio leggere il libro per capire cosa intende dire l’autore.
Per la cronaca, il passo citato non viene dal discorso della montagna (che dovrebbe essere Matteo 5-7), ma dalla parabola sull’ultimo giorno (Matteo 25).