Con il mio solito ritardo sto leggendo il secondo volume della raccolta Urania dei racconti di Arthur Clarke. Nell’introduzione (che è stata messa nel secondo volume, non nel primo… misteri editoriali) Franco Forte scrive che potremo “gustare le nuove traduzioni i diverse opere che abbiamo già avuto il piacere di leggere in passato, seppure con una trasposizione in italiano quanto meno approssimativa”. Occhei, le traduzioni italiane di una volta, di fantascienza e non solo, spesso erano per così dire peculiari. Non che quelle attuali siano specchiate, come ho raccontato; ma limitiamoci alle traduzioni del passato. In “Silenzio, prego” (Silence, please) trovo scritto che un personaggio “non era capace nemmeno di integrare e con x”. Un qualunque studente liceale può immaginare che avrebbe dovuto scrivere e alla x (la battuta fa ridere solo matematici, fisici e ingegneri: l’integrale di ex è ex stesso, a meno di una costante); e in effetti l’originale dice “I don’t suppose he can even integrate e to the x”, e bastava tradurre parola per parola. Qualche riga dopo, “Let’s say x e to the x” diventa un ancor più incomprensibile “Diciamo x con x”. La pagina seguente, “The compression pulse of one sound wave would be on top of the rarefaction of another” viene tradotto con “il battito di compressione di un’onda sonora si sommerebbe alla rarefazione di un’altra” che non ha alcun senso se non sai già il significato. Lasciamo perdere la citazione su Sir Alan Herbert, che è stata tradotta con qualcosa di completamente diverso ma forse non aveva senso lasciare così in italiano.
Sono andato a vedere chi era il traduttore, e ho letto che era tale “Ginetta Pignolo”. Una rapida guglata non mi ha detto molto: ho così chiesto alla mia amica Isa se per caso quello fosse uno pseudonimo usato dai redattori editoriali nel caso di traduzioni fatte alla buona. La risposta, oltre al cazziatone per non essere andato sull’OPAC SBN, è stata «risulta attiva dalla fine degli anni ’40, in specie come traduttrice dal tedesco, per poi tradurre una sventagliata di titoli di ogni genere dall’inglese (si sa che se sai bene il tedesco, l’inglese lo assimili per osmosi, no?)» e soprattutto «il ventaglio degli editori che hanno pubblicato sue traduzioni è molto ampio (Einaudi, Mondadori, Frassinelli, Bolaffi, Rizzoli, Borla… e si parla degli anni ’50 e ’60, quando erano ancora tutti indipendenti»; quindi probabilmente era una persona realmente esistente. E in effetti ho poi notato che nel colophon c’è la tipica frase “L’editore ha ricercato con ogni mezzo Pietro Ferrari, Ginetta Pignolo e Bianca Russo, titolari dei diritti di traduzione…” che si mette per pararsi le spalle.
Ora è chiaro che la signora Pignolo non faceva fede al proprio nome; ma in fin dei conti nel 1950 le conoscenze scientifiche dei traduttori erano scarse e anche la coppia Fruttero-Lucentini si è presa delle belle licenze. Ma questa raccolta è uscita nel 2019, e hai esplicitamente detto che molte traduzioni sono state rifatte. Possibile che nessuno con un minimo background scientifico abbia riletto le traduzioni di un autore che è stato uno dei primi esponenti della Hard SF? Cosa sarebbe loro costato?
Ultimo aggiornamento: 2020-02-05 11:30
Di traduttori a membro di chihuahua ce ne sono in giro. Basti pensare che praticamente l’opera omnia di Jack Vance è stata tradotta da un cane rognoso che non sa nemmeno l’italiano: nelle sue traduzioni si sprecano i “mezzora” senza apostrofo, “gli interfaccia” (orrore: LE INTERFACCE, santiddìo) e una lunga serie di altri svarioni che rendono oltremodo pesante la lettura dei romanzi di Vance in traduzione italiana. Preferisco, guarda, leggermeli in lingua originale.
È vero, di traduttori non preparatissimi e non attentissimi ce ne sono eccome. Rileverei però che “mezzora” è una forma che De Mauro e Zingarelli per esempio attestano senza problemi, mentre Treccani la considera meno elegante ma non scorretta rispetto a “mezz’ora”, per cui è una pura questione di gusti personali e redazionali; quanto a “interfaccia”, Zingarelli lo attesta come s.f. dal plurale “interfacce” nei significati 1 e 2, ma come s.m. invariabile nel significato 3 [(fig.) chi (o ciò che) costituisce un collegamento, un punto di contatto fra due diverse entità]. Ergo, di nuovo, una questione di contesto. Si vede molto ma molto di peggio, purtroppo; se poi uno può leggere in originale tanto meglio, per carità. Lo faccio anch’io. Ma non è che fuori stiano messi tanto meglio di noi: ho perso il conto degli autori di lingua inglese, pubblicati da CE di prestigio, che scrivono “palate” e intendono “palette”, o “council” e intendono “counsel”…
Sulla “mezzora”: so solo che tutti gli insegnanti d’italiano che ho avuto in tutti gli ordini di scuola che ho frequentato – cioè, fino in quinta superiore – cassavano “mezzora” senza se e senza ma, come scrivere “daccordo” senza apostrofo, “menomale” senza spazio e “se stesso” senza accento; bel segno rosso, e se era ripetuto (cioè, non uno svarione dovuto alla fretta) votaccio assicurato.
Quanto a “interfaccia”: no nella maniera più assoluta. In campo tecnologico è molto utilizzato (e, credo, soltanto lì), ma “le interfacce” e NON “gli interfaccia”: se usi questa forma in campo tecnologico ti ridono in faccia.
.mau., se avessi saputo che mi avresti ripubblicata pari pari mi sarei espressa un po’ meglio :) A ogni modo, continuo a pensare che si trattasse di una persona e non di uno pseudonimo redazionale (cioè non di una situazione come questa: https://rivistatradurre.it/2016/11/il-piu-longevo-prolifico-e-poliedrico-traduttore-delleinaudi/) dato che il suo nome si riscontra, per esempio, anche in una sorta di repertorio di traduttori dal tedesco. Più che di un problema di scarse conoscenze scientifiche da parte dei traduttori d’antan, però, credo si tratti di un problema di facilità di comunicazione: le mie, per dire, non sono molto più approfondite, ma come i miei colleghi non molto più anziani di me (e non parliamo dei più giovani) ho goduto da una parte del vantaggio competitivo di avere a portata di tastiera una mole di informazioni inimmaginabile per chi ci ha preceduti, e dall’altra della possibilità di comunicare facilmente tra noi, e di altrettanto facilmente andare a scomodare esperti di qualsiasi materia, anche fuori della nostra cerchia di conoscenze immediate, che era del tutto preclusa all’epoca delle macchine da scrivere e della carta carbone. Quanto alle riletture da parte delle redazioni, invece, è inutile aspettarsi granché: in genere basta che l’italiano “scorra”, anche al lordo di castronerie scientifiche o meno. E ormai che ci sono, permettimi di segnalarti queste virgolette girate dalla parte sbagliata: …nemmeno di integrare e con x“, …even integrate e to the x“, …x con x“, e un “traduzionni” con una doppia inopinata ;)
hai dimenticato “evidentemnte” :-) Per le virgolette rovesce non posso farci molto, è WordPress che le mette così – io uso le virgolette da macchina per scrivere, e anche provando a inserire quelle reali lui continua a modificarle. Uno spazio a lunghezza zero a volte funziona e a volte no.
Sulla parte più letteraria, continuo a pensare che se traduci qualcosa con un gergo scientifico, internet o non internet, un minimo di lavoro lo devi fare. Per gli esempi che ho fatto io, bastava un amico che aveva fatto il liceo…
Io invece, questo tipo di errori, li cancello spesso dalla mente. Sarei un pessimo revisore. Mi concentro sul senso generale del discorso.
La rilettura e la cura editoriale sono cose che costano e non siamo in tempi di vacche grasse nel mercato editoriale.
Ricordo di aver sbattuto il volume di “2010: odissea due” dall’altra parte di una stanza molto grande dopo aver letto “premi il tasto nove volte, calcola la radice quadrata e tieni l’integrale piu` vicino”.
…per non parlare del nitrogeno, che negli Urania saltava fuori a ogni pie’ sospinto…
nitrogeno e silicone erano presenze comuni… e che implicano che il traduttore non aveva nemmeno provato ad aprire il dizionario.
Di traduzioni fetenti sui vecchi racconti di FS me ne ricordo parecchie, mica solo della signora in questione…i motivi sono diversi: il traduttore medio all’epoca era preparato su testi più narrativi e meno tecnici, da qui i vari svarioni matematici. I lettori inoltre erano ancora meno preparati.
Quanto al fatto che non le abbiano ritradotte immagino derivi da varie minchiafritte legali e di soldi relativi a sbrigarle: hai un certo budget, superato quello ciaone. Cmq il 99% dei lettori attuali ci passa sopra comunque: non posso dire che il non far nulla non abbia un senso (ma nel racconto aveva un senso od era “gratuito”?)
la frase sul “compression pulse” era quella su cui si basava il racconto :-)