Tiziano Bonini su cheFare lancia un gioco: come rispondereste voi alle sei nuove domande che Bonini avrebbe fatto a Luciano Floridi dopo le sue risposte alle domande originali? Provo anch’io a rispondere, forte della mia esperienza di outsider datato.
1. Che differenza c’è tra le logiche editoriali dei vecchi intermediari e le logiche algoritmico-editoriali dei nuovi intermediari?
Io vedo due differenze fondamentali. La prima è che i vecchi intermediari avevano in genere una visione (bella o brutta, accettabile o inaccettabile che fosse), e quindi muovevano le cose in modo da portare il pubblico verso quella visione. Attenzione: non era necessario mentire, bastava anche solo scegliere quali notizie da dare con maggiore enfasi e presentarle usando “le parole giuste”. I nuovi intermediari hanno come logica di base quella di fare soldi, il che tipicamente significa tarare gli algoritmi per favorire testi di qualità più bassa che sono i più apprezzati. Ma questo capita anche con i vecchi intermediari: si pensi al Daily Mail oppure alla colonna infame di Cor&Rep. La vera fregatura è che gli algoritmi macinano enormi quantità di dati, il che porta all’arrivo di comportamenti emergenti, nel senso che non sono prevedibili a priori a partire dai dati. In questo senso c’è il pericolo di non avere nessuna logica umanamente comprensibile.
2. Cosa pensate voi delle filter bubbles, qual è il vostro immaginario sul funzionamento degli algoritmi di facebook o altri social media?
In parte ho risposto sopra. Il mio immaginario è che gli algoritmi vadano più o meno per conto loro, anche se ci sono alcuni punti fissi: come Paolo Artuso e io abbiamo scritto in Scimmie digitali, a parte i post sponsorizzati Facebook tratta come più importanti i post di persone con cui noi interagiamo di più e quelli che hanno raccolto molte interazioni in breve tempo. Il concetto di filter bubble esiste, ma è leggermente sopravvalutato, nel senso che nella bolla ti tieni quello che ti trova d’accordo, ma anche quello con cui non sei per nulla d’accordo ma guardi per riderci su e non per pensarci su. Tecnicamente è sempre una bolla come risultato finale, ma il suo contenuto è diverso da quanto veniva previsto teoricamente.
3. Cosa avete imparato dal vostro uso quotidiano delle piattaforme sui regimi di visibilità e invisibilità imposti dagli algoritmi? Cosa fate nella vita quotidiana per rendere la vostra timeline più diversa o per rendere i vostri contenuti più visibili?
Non faccio nulla :-) In realtà non uso praticamente Twitter, e il mio Facebook contiene le cazzate con i miei amici e alcune liste dove so che si litiga ma portando argomenti e non slogan. Rendere visibili i miei commenti? Siamo matti? Non è un caso che io continui a scrivere sul blog. Sono convinto che i commenti nei luoghi generalisti servano a poco o a nulla, quindi li salto a pie’ pari; allo stesso modo non credo che commentare in quei luoghi serva a qualcosa. In pratica, insomma, i miei commenti sono visibili solo da parte di chi è interessato ad essi (non necessariamente d’accordo)
4. se tra voi ci sono degli antropologi di formazione, andate nei gruppi WhatsApp con lo spirito dei primi antropologi e raccontateci cosa avete visto con quella profondità di sguardo e analisi che Clifford Geertz chiamava “thick description”. Cosa vi arriva nelle chat di whatsApp? Da chi vi arriva?
Non sono un antropologo, quindi non posso rispondere :-)
5. Mi fate degli esempi di piattaforme cooperative dei media, forme diverse di gestione dei dati, utopie future che immaginate possibili?
Premessa: non credo che una piattaforma cooperativa sia scalabile. Wikipedia funziona decentemente perché chi si occupa davvero di essa è un numero relativamente minuscolo di persone (meno di un centinaio per it.wiki) Onestamente non capisco questo interesse per “la gestione dei dati”. Guardo con interesse a progetti tipo Solid, ma di nuovo non penso che possano avere una diffusione generalizzata, perché il problema non è affatto percepito. Insomma, da questo punto di vista sono piuttosto pessimista. La massima utopia che riesco a immaginare è tante piccole reti sottotraccia che si nascondono all’interno di un sistema “totalitario” e che sono tollerate perché estirparle non darebbe alcun risultato pratico.
6. Che uso politico fate delle piattaforme? Cosa (quali app) e quanto usate queste piattaforme per prendere decisioni collettive o per auto-organizzarvi?
Nessun uso politico :-) Il massimo di decisioni collettive che posso prendere avviene via Telegram e/o scrittura di documenti condivisi (su Google Docs oppure Pad), ma stiamo parlando di casi davvero così poco globali che non vale la pena approfondire.
Una domanda però l’aggiungo io. Quanta parte di un dibattito del genere tocca (direttamente o indirettamente) la stragrande maggioranza di chi usa la rete? Mi sa ben poca. In pratica sono meri esercizi intellettuali onanisti (“seghe mentali”, se preferite un termine più concreto). Nulla in contrario, tanto che anch’io ho indulto. Basta non pensare di riuscire a cambiare il mondo: le rivoluzioni non partono mai a tavolino.