Riuscire a pensare prima di esprimere un’opinione sta diventando sempre più difficile: non tanto perché stiamo diventando più stupidi (quantunque…) ma soprattutto perché siamo esposti a troppe informazioni e non abbiamo il tempo di distillarle e ottenere della conoscenza. Mai come oggi occorrono insomma tecniche per riuscire a pensare “bene”: non grandi pensieri ma pensieri che abbiano un minimo di base. Cinque anni fa il filosofo americano Daniel Dennett esplicitò i suoi sette strumenti per esercitare il pensiero critico in campo filosofico. L’articolo originale del Guardian sembra sparito nelle secche di Internet, ma per fortuna è facile trovare una parafrasi dei suoi consigli. Eccoli qua.
1. Sfrutta i tuoi errori
Tutti noi sbagliamo. Quando ce ne accorgiamo o siamo costretti ad accettare la cosa, il nostro primo impulso è di trovare delle scuse; al massimo accettiamo la cosa e cerchiamo di nascondere anche a noi stessi l’errore. (Avrete già capito che, come del resto fa Dennett, mi sto rivolgendo a persone intellettualmente oneste. Se siete tra quelli convinti di avere sempre e comunque ragione, perché state leggendomi?) Ciò che invece dovremmo fare è fermarci, fare un bel respiro, stringere i denti e analizzare l’errore col maggiore dettaglio e nel modo più asettico possibile. Certo, farà male. Ma ci dà la possibilità di imparare davvero dagli errori, e non limitarci a evitare di rifare le stesse cose.
2. Rispetta il tuo interlocutore
Non è una banale massima di bontà, ma un trucco retorico e logico allo stesso tempo. Molto prosaicamente, se vogliamo persuadere gli altri dobbiamo fare in modo che ci ascoltino davvero, e non si limitino a rispondere automaticamente alle nostre affermazioni. Per avere qualche chance di riuscirci, dobbiamo evitare di essere pedanti, aggrapparci alle minuzie, insultanti, o banalmente non equi. Dennett dice che dobbiamo prima dimostrare di aver capito le loro posizioni tanto quanto loro stessi, e di essere onesti.
3. Attenti al clacson “certamente”
Mentre il punto precedente si applica quando ci troviamo in una discussione, questo viene usato quando stiamo leggendo un saggio, o almeno qualcosa in più di una battuta. A che serve un clacson, oltre che a far casino quando la nostra squadra del cuore ha vinto il campionato? Serve a segnalare una situazione di pericolo. Bene. Quando qualcuno scrive “certamente”, o parole simili come “ovviamente” è come se stesse suonando un clacson. Se una cosa è davvero ovvia o certa, perché sottolinearlo? Quello che spesso capita nella realtà è che l’autore non sia poi così sicuro che la cosa sia così certa e speri che il lettore la accetti senza pensarci troppo su.
4. Rispondi alle domande retoriche
Una domanda retorica non è poi troppo diversa dall’uso di parole come “certamente”: viene fatta per fare sì che l’interlocutore pensi (come sempre, stiamo parlando di persone in grado di pensare) che rispondere sia imbarazzante. Dennett fa l’esempio di una striscia dei Peanuts, dove Charlie Brown domanda retoricamente “Chi può stabilire cosa è giusto e cosa sbagliato?” al che Lucy replica immediatamente “Io.”, destabilizzando ancora una volta il povero Charlie Brown: se fosse un filosofo sarebbe costretto a riesaminare il proprio pensiero, non foss’altro che perché ha scoperto che in effetti c’è chi si arrogherebbe questo diritto.
5. Usa il rasoio di Occam
No, non è stato Occam a inventare il principio che porta il suo nome, e che al suo tempo – il XIV secolo – era noto come lex parsimoniae. Non è il nome che conta: l’importante e applicare l’idea, vale a dire non concepire una teoria complicata e stravagante se ce n’è una più semplice (con meno ipotesi necessarie e meno enti in gioco) che funziona allo stesso modo.
6. Non sprecare tempo con le idiozie
La legge di Sturgeon afferma “Il 90% di qualunque cosa è spazzatura.” Forse la percentuale è un po’ esagerata, ma il punto è che è inutile perdere tempo su temi che sono semplicemente sbagliati o falsi, il tutto per amore delle discussioni ideologiche. Chiudete subito: ci guadagnerete in tempo a disposizione e minore acidità di stomaco.
7. Fa’ attenzione ai profondismi
Dennett lascia questo punto per ultimo perché fa parte della sua pluridecennale lotta conto metafisici, mistici, teologi, filosofi postmoderni e poeti più o meno ermetici. Il termine “profondismo” (in inglese “deepity”) è stato coniato dall’informatico Joseph Weizenbaum ma è stato adottato da Dennett; un profondismo è “una frase che sembra essere un’importante e profonda verità, ma solo perché è intrinsecamente ambigua”.
Tutto questo ci servirà nelle discussioni in rete? Secondo me, non molto. Come chiosavo all’inizio, i punti elencati da Dennett servono per esercitare il pensiero critico, non per infilarsi tra le schiere dei beoti e uscirne – se non proprio vincitore – almeno vivo. Però applicare questi punti può servire (stavo scrivendo “certamente”…) a smascherare quanto ci viene propinato dai vari social guru in proprio oppure affittati da Chi Si Ritiene Importante. Come sempre ci vuole tempo, ma con un po’ di esercizio almeno i campanelli di allarme dovrebbero suonare subito. Vi sembra poco?
Ultimo aggiornamento: 2018-08-27 11:00
Hai dato un nome a ciò che cercavo di definire da tempo: i profondismi. Grazie.
Molto interessante; grazie per la segnalazione, non conoscevo Dennett, e i suoi consigli mi sembrano davvero non banali (soprattutto di questi tempi cupi).
Il termine “profondismo” è certo piú utile di “supercazzola”, che non amo molto ma a volte si è tentati di usare per descrivere certi pennaioli.
Anch’io cerco di sorvegliarmi molto nel dialogo pubblico. Un mio difetto credo sia l’abbondante uso del “comunque”, per indicare un’alternativa. Anche “certamente” e “ovviamente” spesso fanno capolino, ma mi pare soprattutto quando introduco un punto di vista in qualche modo *avverso* al mio, per ammettere la discutibilità di ciò che dico. Insomma, un po’ come in inglese si premette un’affermazione con “granted”. Sono perdonato? ;-)