La tesi di base di Scimmie digitali, il libro che io e Paolo Artuso abbiamo pubblicato all’inizio di quest’anno, è che la cosiddetta rivoluzione digitale di questi ultimi anni non ha in realtà cambiato il modo in cui noi esseri umani comunichiamo. Certo, sono cambiati i mezzi con cui comunichiamo: ma per quanto plastico il nostro cervello sia esso non può essere così diverso da quello di vent’anni fa. In fin dei conti, anche senza rifarci alle grandi scimmie antropomorfe come abbiamo raccontao nel libro, vediamo tutti come i temi alla base delle tragedie greche sono ancora oggi riciclati per film e serie televisive.
Il mio pensiero è sempre stato che le chiacchiere da Facebook non hanno nulla di diverso, né nei temi trattati né nel loro contenuto medio, dalle chiacchiere da bar di una volta, e da quelle in piazza ancora prima: tutt’al più abbiamo un numero maggiore di potenziali intelocutori, anche se la legge di Dunbar ci dovrebbe ricordare che non riusciamo fisicamente ad avere interazioni serie con più di un centinaio o due di altre persone: un’altra prova che non siamo poi cambiati più di tanto. Eppure sembra proprio che questo sia falso: oggi pare che i leoni da tastiera siano sempre di più, e che si stia precipitando sempre più verso un baratro che nemmeno la legge di Cipolla aveva previsto così profondo: per lui in fin dei conti la quantità totale di intelligenza nel mondo rimane costante, non in diminuzione. Come spiegare questa discrepanza tra la teoria e la pratica, oltre che ammettere che la teoria è sbagliata, cosa su cui però non cediamo per nulla?
Un punto importante è sicuramente il copia-e-incolla, che non nasce con Internet ma con essa ha certo avuto un impulso notevolissimo. Il mantra “CONDIVIDI SE SEI INDIGNATO!!!!11!!” presenta l’enorme vantaggio competitivo di non richiedere uso del cervello o capacità di lettura del resto del testo – lasciamo perdere la comprensione, sarebbe davvero pretendere troppo – ma solo un clic. Magari non ci ricordiamo nemmeno del motivo per cui avevamo cominciato a seguire quella pagina: chissà, all’inizio forse scriveva cose che ci interessavano, e non ci siamo accorti della lenta deriva dei temi da essa trattati, perché non possiamo seguire proprio tutto quello che ci arriva come ci ricorda il numero di Dunbar. O peggio ancora abbiamo scelto di fidarci acriticamente di loro, sempre per la stessa ragione dell’impossibilità di seguire tutto, e abdicato all’uso dei nostri neuroni.
Tutto questo però non è sufficiente. Certo, arrivare ai grandi numeri è più facile di un tempo. Certo, la natura sociale umana fa sì – da millenni… – che più persone si radunino maggiore è la quantità di idiozie che possono produrre, e l’aumento è molto più che lineare perché tutti fanno a gara per spararle più grosse. Ma anche così non si spiega questo boom, non foss’altro che perché i copincollatori seriali per definizione non sono di solito in grado di esprimere un pensiero compiuto più lungo di dieci parole. Di chi è dunque la colpa di questa deriva? Semplice. La colpa è di tutti i politici che fanno campagna elettorale permanente a colpi di tweet, scegliendo quello che pare il punto di vista più condiviso (che in realtà almeno inizialmente è il più urlato). La colpa è di tutti i giornalisti che invece che fare il loro lavoro si limitano a fare cassa di risonanza non solo dei tweet dei politici ma di tutte le peggiori beceraggini trovate, per aumentare l’audience e non dover faticare. Soprattutto la colpa è di tutti noi. Sì, la colpa è nostra. È assolutamente inutile rispondere nel merito a qualcuno che tanto non leggerà mai quello che scriviamo, e probabimente non lo capirebbe comunque; spiegare le cose in modo comprensibile è una cosa complicata, io cerco di farlo da anni in un campo di per sé poco controverso come la matematica e non ci riesco mica sempre. È stupido pensare di replicare ai loro slogan con altri slogan di segno opposto: l’incisività è un’arte ancora piû complicata della divulgazione, e non possiamo competere con i professionisti pagati per creare gli slogan per politici e affini. Infine è deleterio condividere anche solo per ridere i post più imbecilli che troviamo in giro. Il post sarà anche imbecille per noi, ma non lo è evidentemente per tanta altra gente, e condividendolo stiamo facendo gli untori permettendogli di raggiungere altri lettori “non vaccinati”. Bel risultato, vero?
Attenzione. Non dico di rassegnarci e tacere; una soluzione simile è forse ancora peggiore di quanto capita oggi. Invece che condividere oppure commentare su post in cui tanto nessuno ci darà retta, è forse più utile scrivere una risposta ex novo (meglio se pubblica) e taggare i postatori originari. In questo modo avremo il vantaggio di giocare in casa, di potere cancellare i commenti pavloviani senza nessun contenuto e soprattutto di non contribuire a propagare quanto scritto da altri. Chiaramente quanto scriviamo deve essere a prova delle truppe cammellate di segnalatori seriali – ma tanto non vogliamo mica scendere al livello dialettico di certa gente, no? – il che dovrebbe essere più semplice se ricominciamo da zero e non rispondiamo. Evitiamo di entrare nelle discussioni; come si sa, non conviene mai farlo con un minus habens, perché prima lui ti porta al suo livello e poi grazie alla sua esperienza vince facile. E infine cominciamo a condividere i post con cui siamo d’accordo. Non potremo mai arrivare ai numeri dei bercianti, per l’ottima ragione che prima di condividere dovremmo essere certi che il testo altrui è interessante e questo richiede necessariamente tempo; ma almeno sapremo di non essere soli e che la nostra fatica non è inutile. Non raddrizzeremo le zampe ai cani, ma daremo un bastone agli zoppicanti.
Secondo me manca un dettaglio importante: l’educazione dei nostri figli “nativi digitali”.
Educazione all’uso dei socialcosi, sia in termini di quello che si chiamerebbe netiquette, sia (più importante) di un utilizzo sicuro (nel senso di non cadere in posti pericolosi) e di una diffusione di contenuti limitati: la scemenza da ragzzini sarà archiviata in eterno. E’ tutta in mano nostra.
Ehi, si dice INDINNIATO! Niorante!
:D
(Ma è una risata sardonica, la mia…)
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