Anche stavolta non sono d’accordo con Massimo Mantellini e la sua analisi della “caccia a Elena Ferrante”.
Intendiamoci. Su una cosa io e Massimo siamo sulla stessa linea: non ho mai letto un libro di Ferrante. (Devo aver letto una sua lettera, mi pare a proposito di una sua candidatura allo Strega, quindi non posso dire di non avere letto nulla di lei). Questo non per snobismo, ma semplicemente perché “ars longa, vita brevis” e ci sono troppi libri che mi interessa leggere: la narrativa non è tra le mie passioni. Devo però dire che tra i miei contatti un tiepido interesse sull’identità segreta della scrittrice c’è stato: è vero che parliamo di una bolla filtrante, ma è anche vero che chi legge libri e giornali ormai è una minoranza così sparuta che probabilmente ha una buona correlazione con le persone che conosco.
Anche il secondo punto portato da Mantellini, quello dei rapporti fra privacy e creatività, mi pare un po’ debole. Proprio perché Ferrante ha venduto tanto, in Italia e all’estero, senza che si sapesse chi sia non capisco cosa ci si guadagnerebbe o perderebbe dal vedere svelata la sua identità. Per un singolo libro l’anonimato potrebbe aiutare le vendite, ma già dal secondo prevale l’interesse per il testo (o il battage pubblicitario per le tante vendite del primo). Mettiamola così: per quanto mi riguarda, al più definirei il lavoro di Claudio Gatti “giornalismo inutile”, ma non mi preoccuperei più di tanto. E voi che ne pensate?
Ultimo aggiornamento: 2016-12-11 09:20
cosa ci si guadagnerebbe o perderebbe dal vedere svelata la sua identità.
Il rispetto della propria volontà, per esempio.
Qual era il primo punto?
sarebbe l'”approccio generalista molto focalizzato sui presunti interessi dei lettori”, al quale controbatto che in realtà questi interessi – almeno dal mio punto di osservazione – non sembrano così presunti. Però hai ragione: sono stato così ellittico che non lo si poteva capire.
Nei licei, nelle ore di letteratura, gli autori si affrontano ancora a partire non dalle pagine scritte, ma dalla biografia? Se la risposta è “sì” (e anche se la risposta è “sì, anche se una cosa stupida)”, direi che non è stata una indagine inutile
Direi che è cosa buona e giusta continuare a inquadrare contesto storico e familiare di un autore, prima di affrontarne l’opera…
Certo che *era* giusto! Ma è un metodo del passato.
Oggi si usa lo stile “francese”: temi bambineschi, frasette spezzettate analizzate come se fossero solo puri costrutti grammaticali privi di senso, mai avventurarsi nel terreno storico e mai dare una visione coerente e unitaria dell’autore che, come tutti, è/era un animale storico. La prospettiva storica è stata soppressa anni fa, e ora se ne vedono già gli effetti nella società.
Magari una volta il povero autore “scolastico” di una volta era uno che nacque, visse e morì, ma oggi neppure visse!
Capisco l’approccio letterario, che la storia dell’autore è importante eccetera. Ma se l’autore se ne vuole stare per i fatti suoi, penso che ne abbia tutto il diritto. Gli studenti avranno qualche pagina in meno da studiare e si concentreranno di più sull’opera. Non muore nessuno. Teniamo anche conto che la signora Anita potrebbe non essere E.F. e sinceramente che un giornalista mi venisse a fare i conti in tasca darebbe molto fastidio, specie se, appunto, non fossi E.F. (Che le prove di Gatti sono indiziarie, la signora Anitra potrebbe aver ereditato o vinto una lotteria o essere una ghost writer.) Quindi penso che Gatti abbia fatto gossip e non giornalismo.