Leggo che il ministro dei Beni Culturali Franceschini avrebbe detto «Due piccole fiere in un mercato del libro già fragile? Così rischiamo una colossale figuraccia internazionale. Il solo modo per uscirne è creare un unico grande Salone, da tenersi contemporaneamente a Milano e Torino. E chi dirà di no, senza avanzare proposte alternative, se ne assumerà la responsabilità».
Ora, lasciamo stare la carota del «Se si optasse per questa soluzione, i due ministeri potrebbero parteciparvi anche con un impegno finanziario più forte», e veniamo al nocciolo del contendere. Una cosa simile alla proposta da Franceschini è capitata con Settembre Musica: iniziativa torinese che Milano ha cercato di scippare per arrivare alla fine all’attuale MITO Settembre Musica che presenta concerti nelle due città. Ma dovrebbe essere chiaro a tutti che le affinità finiscono qui. I concerti possono essere tranquillamente distribuiti, gli stand non possono essere duplicati per banali ragioni di costi vivi. D’altra parte non si può nemmeno pensare a un’ipotesi “grande editoria a Milano, piccola e media a Torino”, per la banale ragione che buona parte del pubblico, tranne naturalmente me e i miei ventun lettori, al Salone ci è sempre andato per vedere l’offerta dei piccoli, visto che per i grandi basta andare in una qualsiasi grande libreria: quindi il pubblico pagante andrà a pagare a Milano e non ci saranno soldi per Torino. Non una bella idea. Ma magari mi sbaglio e Franceschini istituirà il teletrasporto per spostare da una città all’altra i visitatori?
Ultimo aggiornamento: 2016-09-13 16:29
Seguendo il Suo ragionamento il pubblico dovrebbe andare a pagare a Torino lasciando deserta Milano, dato che la roba di Milano la si vede a gratis in qualsiasi libreria.
avv., Lei parte dall’ipotesi che gli esseri umani siano giocatori razionali. Converrà con me che tale ipotesi sia quanto meno ottimistica, anche se Lei non fosse mai andato al Salone torinese e quindi non avesse visto la calca presso gli stand dei grandi editori.
Le dirò: non solo non sono mai andato ad alcun salone del libro, ma confesso di non riuscire proprio a capire perché mai uno dovrebbe andarci, atteso che non credo qualcuno possa leggersi in pace un libro (sarebbe l’equivalente di andare a una mostra enologica potendo guardare solo le etichette dell bottiglie esposte).
In effetti è più facile leggersi in pace un libro presso una libreria Feltrinelli che al salone del libro. Però, stante il numero ridotto di visitatori che si fermano agli stand degli editori minori, mi è sempre stato possibile scorrere le pagine dei libri che di primo acchito mi parevano interessanti. Per proseguire la Sua analogia, è come se in una mostra enologica fosse possibile assaggiare, ancorché in minime dosi, i vini.
Un libro intero certamente no, ma nulla osta acché Lei possa soffermarsi una mezzora o anche più con un libro in mano accanto allo stand: cosa che faccio regolarmente nella Fiera Nazionale della Piccola e Media Editoria che si tiene annualmente a Roma in quel del Palazzo dei Congressi dell’Eur.
A proposito della FNPME dell’Eur: @.mau. che scrive:
“D’altra parte non si può nemmeno pensare a un’ipotesi “grande editoria a Milano, piccola e media a Torino””
Perché no? A meno che tu non pensassi a Roma e al danno che ne conseguirebbe per quella fiera… Sapevi, vero, della fiera romana?
La fiera è questa: http://www.piulibripiuliberi.it/
Personalmente l’ho scoperta anni fa grazie ad una zia che lavora in una delle biblioteche comunali romane, e non essendo stato mai né a Torino né a Milano per le rispettive fiere non so dire quanto sia più piccola, ma a giudicare dal numero di stand, dalla dimensione del Palazzo dei Congressi, e dai visitatori medii che vi partecipano, direi che è tutt’altro che marginale nel panorama italiano.
La conosco, anche se per ragioni logistiche (tra l’altro inizio dicembre è un periodaccio per viaggiare) non ci sono mai andato.
L’assunto da cui parte Franceschini mi sembra comunque debole
“Due piccole fiere in un mercato del libro già fragile? Così rischiamo una colossale figuraccia internazionale.”
Perché devono essere due piccole fiere contemporanee e non due grandi fiere con target e obiettivi diversi in due città distanti e distinte?
Perché bisogna legare Milano e Torino come se fossero una cosa sola quando intercettano un’area che è più grande di qualsiasi altra città occidentale con al suo centro il nulla delle risaie tra Novara e Vercelli?
Però ci sono altri Stati in cui convivono due grandi fiere del libro: il caso che conosco meglio è la Germania, con Francoforte e Lipsia. Certo, sta agli organizzatori trovare un modo per distanziarsi dalla concorrenza, e forse la distanza geografica aiuta anche un po’, ma il compito non è impossibile. Nel caso tedesco, per inciso, mi sembra che la differenza stia nel fatto che Francoforte è piú per addetti ai lavori (per esempio, ci sono tutte le case editrici accademiche), mentre quella di Lipsia è piú orientata al pubblico.