Giovedì, quando ha fatto la spesa, Anna ha comprato all’Esselunga del latte fresco e del latte microfiltrato, che notoriamente ha una scadenza più lunga. Domenica mattina, mentre facevamo colazione, c’era sul tavolo l’ultima bottiglia di latte fresco e una di microfiltrato. Visto che io sono davvero uno che se non ha nient’altro da leggere si mette a guardare le etichette dei cibi, mi sono dedicato a quelle delle bottiglie di latte e ho scoperto una cosa curiosa.
Chiaramente Esselunga non produce il latte ma se lo fa confezionare da altre aziende. Nella bottiglia di latte fresco c’è così scritto “Prodotto per Esselunga SpA (Limito di Pioltello) da Soresina, negli stabilimenti di XXX” (sono indicati due stabilimenti, con una lettera che identifica da quale dei due arriva effettivamente la bottiglia). In quella di latte microfiltrato c’è invece scritto “Prodotto per Esselunga SpA (Limito di Pioltello) negli stabilimenti di Albano S.Alessandro” (un paese nel bergamasco, ma questo è abbastanza irrilevante per la nostra storia). Notata la differenza ? Nel primo caso c’è scritto chi produce il latte, nel secondo no. Tra l’altro ho dei dubbi su quell’etichetta, ma non sono certo un esperto del ramo.
Ma d’altra parte trovare il produttore è semplice: per legge c’è un indicatore dello stabilimento di produzione – è all’interno di un ovale – e una rapida googlata a “IT 03 7 CE” mi ha tirato fuori la pagina dello Zymil. Nulla di così strano, a posteriori: è stata Parmalat a tirare fuori il latte microfiltrato, con Tanzi che ha fatto il possibile e l’impossibile per farlo chiamare “fresco”. Resta il dubbio di come mai non sia indicato che quel latte sia Parmalat, mentre quello Soresina riporta il nome senza alcun problema. Non si vuole fare pubblicità a un concorrente?
Salvo che mi pare di ricordare che la normativa stia cambiando e sarà obbligatorio indicare chi materialmente fa il prodotto, probabilmente quell’indicazione ad oggi è banalmente uno degli articoli del contratto di fornitura. Messo o non messo in base a “semplici” calcoli di convenienza commerciale.
A me risulta l’esatto contrario, ossia che da gennaio non sarà piú obbligatorio indicare in alcun modo il luogo di produzione di un prodotto, ma solo la sua provenienza UE/non-UE. Ho prestato una miniconsulenza (long story) ad un’azienda tedesca che produce pasta e che era molto lieta del cambio di normativa, perché in questo modo speravano di poter vendere pasta tedesca in Italia senza che la gente si mettesse a ridere.
Ok, io provabilmente avevo letto questa notizia che in effetti non obbliga la presenza del nome del produttore ma solo lo stabilimento. E solo per i prodotti italiani per il mercato italiano.
Il pastificio tedesco è salvo.
http://www.repubblica.it/economia/2015/09/10/news/stabilimento_in_etichetta_sara_di_nuovo_obbligatorio_per_legge_in_italia-122614473/
Mica tanto. A questo punto, per il consumatore sarà facile intuire che se la mozzarella ‘funiculì funiculà’ non riporta lo stabilimento, presumibilmente non sarà italiana ma straniera.
E sinceramente, mi sembra che questo nuovo regolaento italiano sia un’enorme arrampicata sugli specchi. Non so se sono d’accordo con la legge comunitaria, ma se ogni Paese fosse regolarmente autorizzato a bypassare le leggi centrali tutta l’UE andrebbe velocemente in vacca.
beh, il grosso problema che vedo è che non puoi creare per legge un disciplinare, e quindi se uno ti scrive “pasta con grano solo italiano” non puoi essere certo che lo sia.
Ma nel caso della pasta il problema non è tanto quello del grano (io no so neanche da dove venga il grano della pasta, chessò, Barilla), ma se l’azienda produttrice è “tradizionale” o no. Pensa alla bresaola, che è comunque fatta con carni argentine: ma chi comprerebbe una bresaola fatta in Finlandia?
e dove sarebbe il problema nello scrivere sull’etichetta “bresaola preparata nei nostri favolosi stabilimenti valtellinesi”? Non penso proprio che la direttiva europea possa VIETARE quest’indicazione, no?
Temo che stiamo parlando senza capirci. La legge *europea* non vieta quest’indicazione, ma vieta l’*obbligo* di riportarla. La legge *italiana* obbliga le aziende italiane a riportare queste indicazioni, e secondo me in questo modo costringe di fatto anche le aziende straniere a tacere o a mentire (anche se, come dici tu, forse in assenza di un disciplinare – ma non è il caso della bresaola – uno potrebbe dire un po’ quello che gli piace).
ah, ok. Un’azienda estera potrebbe forse appellarsi contro la legge italiana, anche se l’argomento è molto scivoloso (non è vietata la libera circolazione, e l’azienda estera se vuole può mettere i dati: paradossalmente seguendo la lettera della legge sono gli italiani a doversi lamentare per avere degli obblighi in più)
Soresina è un piccolo produttore e non si fa problemi particolari: tutto fatturato in più. Sono convinto che sia Parmalat a non voler far sapere al consumatore di Latte Esseluinga che in realtà lo produce lei per due motivi: 1) è buono tanto quanto il loro 2) costa meno (e non far sapere ai propri consumatori che son dei cornuti e mazziati).
Fai tu…
@mestesso: quello che però capita di solito è che viene creata una società fittizia (l’ho visto per esempio coi biscotti prodotti nello stabilimento Balocco) e si indica quel nome sull’etichetta. Questo è per l’appunto un caso diverso.
I veicoli che puoi usare sono diversi, ma il fine è identico. Parmalat ha tutto da perdere e niente da guadagnarci se i consumatori si fanno le domande e trovano le risposte ;-).