Gianluigi ha segnalato questo post di qualche giorno fa di @devicerandom. Lasciate perdere i commenti, a meno che non vi divertiate con il lancio di stracci, e leggete il post, dove l’autore riesce quasi a farci benvolere le zanzare – occhei, non esageriamo – e dà una visione della storia naturale migliore di quella che mi ha fatto imbufalire l’anno scorso.
La tesi di @devicerandom è che «la scienza o viene scambiata tra gli specialisti, o è di-vulgata perchè raggiunga il massimo numero di persone possibili […]. In entrambi i tipi di comunicazione si perde – o comunque si diluisce – il lato estetico, umano, lirico […] la scienza non si confronta. Non viene comunicata come una parte integrante di tutto il resto del mondo del pensiero.» Ora, posso in parte condividere l’inizio della sua conclusione, che «Ila scienza continua a non essere considerata cultura, perchè non è comunicata come tale» (corsivo e accento grave su “perché” sono suoi). Ma resto piuttosto scettico sulla seconda conclusione, che cioè «Il secondo impoverimento è la pratica della scienza che si priva del suo aspetto profondo di conoscenza del mondo: cessa di essere sapienza, cessa di essere filosofia naturale o storia naturale -ed è facile preda per essere mangiata, a questo punto, dall’irrazionalismo filosofico, dell’heideggeriano “la scienza non pensa”.» Occhei, può darsi che la mia visione sia viziata dal fatto che la matematica non è conoscenza del mondo (il mondo lo devi conoscere in altro modo, la matematica poi ti permette di fare previsioni su casi simili ma non uguali); ma provo ad argomentare meglio.
Innanzitutto, la scienza “scambiata tra gli specialisti” (quindi quella dei paperi) è appositamente ridotta all’osso per permettere ai tuoi pari di afferrare subito il punto in questione. Certo, il rischio della troppa parcellizzazione è praticamente una certezza, ma la quantità di scienza che si è potuta fare in questi decenni è anche frutto di questo stile. Ma non riesco a vedere nulla di male nella “divulgazione 2.0”, come la chiama @devicerandom. O meglio, non riesco a capire perché le sue pillole simpatiche e pop vadano poi così male. Certo, Carlo Rovelli con le sue Sette brevi lezioni di fisica ha sfiorato le 200.000 copie vendute con un testo che è indubbiamente catalogabile come storia naturale, se non filosofia naturale. Ma siete davvero convinti che chi l’ha letto ha non dico imparato qualcosa di scientifico – e passi – ma almeno abbia pensato che sì, in effetti la scienza può essere considerata cultura? Io dico di no. Tutta la saga di Harry Potter, lasciando perdere la parte di romanzo di formazione, non è certo “conoscenza del mondo”: eppure è stata letta da decine di milioni di persone. Calvino e Levi hanno scritto libri che possono essere considerati di storia naturale, e che sono sicuramente stati apprezzati da molti: peccato che quasi nessuno pensi alla scienza che sta loro dietro. Il problema della scienza è che in genere viene vista come “cosa di altri”: per combattere questa idea possono essere utili tante cose, ma non credo proprio che la storia naturale sia la soluzione vincente.
E voi, che ne pensate?
“la scienza continua a non essere considerata cultura, perchè non è comunicata come tale”
Più che una opinione io la considererei una constatazione, un dato di fatto. Tra scienziati è uno strumento di lavoro, quindi limitato nello scopo e nella forma nel trasmettere a propri pari in modo formale una relazione causale.
La Cultura (scientifica) utlizza e rielabora i singoli nessi in un tessuto più ampio (magari inserendo nel contesto anche elementi diversi che @devicerandom definirebbe “lirici”).
Un effetto della specializzazione è proprio il fatto che gli Scienziati fanno solo Scienza (per altri scienziati): è diventato così complesso (e competitivo) che difficilmente hai tempo per fare diversamente. La Cultura quindi la fanno necessariamente altri. La scienza è cosa di altri per logica conseguenza.
Sarò pessimista ma ho l’impressione che andare contro questa tendenza sia come insegnare ai salmoni a non nuotare più controcorrente: un lavoro assai difficile. Se la Storia Naturale sia o meno vincente per me è del tutto secondario.
Cmq mi sta venendo voglia di (ri)leggere Ludovico Geymonat.
“Un effetto della specializzazione è proprio il fatto che gli Scienziati fanno solo Scienza (per altri scienziati)”
Intanto leverei le maiuscole :). Gli scienziati, non molti ma tanti, sono ben lieti di divulgare: sono società e scuola che ci rinchiudono in un gabbiotto. Ad esempio sarei molto favorevole a far studiare la matematica in modo più culturale/storico – possibile che l’italiano colto medio non sappia cos’è un’azione di gruppo, o uno spazio vettoriale? Non dico nei dettagli, ma con quella “nodding acquaintance” che offriamo a concetti ugualmente importanti come il DNA o i neutrini.
Infine, non so come te la cavi con l’inglese, ma se non ti crea troppi problemi ti suggerisco di lasciar chiuso Geymonat e di aprire invece questo, un libro di divulgazione matematica scritto (benissimo e con l’approccio culturale) da chi la matematica la fa :).
Mi viene in mente la battuta di Jessica Rabbit “Non sono cattiva mi disegnano così” :). In parte confermi quello che ho detto (vorrei ma non posso).Conosco molto bene gli spazi vettoriali ma non le azioni di gruppo ed intuisco che mi sarebbe utile conoscere le categorie. Il fatto che l’uomo medio non conosca ne l’uno ne l’altra è in parte colpa anche vostra. Fare cultura è un provesso diverso che fare scoenza e ormai di è raggiunto un livello indistriale per quest’ultima per gli interessi economici che ci sono dietro. La cultura ne smuove molti meno. La cosa più pericolosa e di cui molti scienziati non si rendono conto è che l’impoverimento culturale colpisce anche loro stessi e la qualità del loro lavoro. Cultura è anche porsi dei limiti e (mi riferisco alla biologia non alla matematica) qui io vedo solo ignavia se non crassa ignoranza
“colpa vostra”: i programmi scolastici non li faccio io, purtroppo, e gli ottimi libri che alcuni insigni matematici hanno scritto per le scuole non vengono adottati. E’ difficile rimediare in un post o in un articolo di giornale a un oceano di ignoranza: come spiegare il bosone di Higgs a gente che non ha mai neanche sentito la parola atomo, o l’amniocentesi a chi non ha mai sentito parlare di geni.
Lo stato, che mi paga per fare ricerca, non riconosce finora affatto il lavoro divulgativo: come risultato, fare divulgazione ben fatta diventa una specie di suicidio dal punto di vista della carriera di ricerca (anche la didattica ben fatta non viene premiata). Ci sono persone molto dotate E organizzate che riescono a fare tutto e bene (l’Eugenia Cheng di cui sopra fa pure la musicista) ma la maggior parte di noi non ci arriva.
Quanto agli interessi economici e il livello industriale nel fare scienza, non posso fare a meno di sorridere un po’. Non che la geometria moderna non abbia applicazioni (cough National Security Agency backdoor cough) ma la maggior parte di noi lavora per l’onore dello spirito umano.
PS .mau. ma c’è speranza di avere una preview per i commenti?
PPS Ad esempio leverei l’apostrofo fra un e oceano.
può darsi che ci sia qualche estensione wordpress per permettere di avere una preview per i commenti, ma sono troppo pigro per cercarla :-) Faccio meno fatica a correggere a mano io.
La mia non-moglie ė ricercatrice di matematica applicata…conosco il caso :). Il voi ė riferito al fatto che sono dei professori universitari che stilano le linee guida dei programmi (no non tu ma qualche tuo collega). Sul fatto che sia un suicidio fare divulgazione ti direi che ė certamente rischioso. Ma non un suicidio.Sugli interessi industriali io ti dico solo una cosa: lascia passare un poco di tempo ed ai matematici puri non daranno più un soldo per andare ad una conferenza e lasceranno pietosamente i soldi per carta e matite. Io non sono d’accordo ma il mondo va così. Di converso ti posso garantire che a chi fa ricerca genica i soldi quantomeno non diminuiranno.
Ciao, sono l’autore del post in questione, è un onore essere letto da Codogno. Innanzitutto: sì, sbaglio sempre l’accento su “perché”, è fondamentalmente una conseguenza del mio essere in qualche modo sordo alle differenze tra accento grave e acuto. :)
Non riesco bene a capire però cosa intendi con “Ma non riesco a vedere nulla di male nella “divulgazione 2.0”, come la chiama @devicerandom. O meglio, non riesco a capire perché le sue pillole simpatiche e pop vadano poi così male.” – Non vanno certamente male a livello di numeri, anzi, vanno benissimo. Nè vanno male di per sè, anzi, credo di ribadire nel post che ci sia bisogno anche di questo. È ridurre la scienza solo a fenomeno pop da un lato e puramente tecnico dall’altro, o perlomeno prevalentemente, che mi preoccupa. Mi preoccupa, in parole povere, quando gli viene tolta la poesia.
Nemmeno io sento la differenza tra le è aperte e le é chiuse, e infatti mi sono imparato a memoria l’elenco delle parole in é :-)
Più seriamente: non so quanto bene vada a livello di numeri la “divulgazione 2.0”. Per quello che posso vedere io dal mio punto di vista privilegiato di divulgatore pop, mica poi tanto. D’altra parte basta vedere quanti sono i libri di saggistica scientifica che vanno in classifica. Ma la mia sensazione è che la storia naturale venderebbe ancora di meno: possiamo chiederci se non si vende perché non si scrivono di quei libri o viceversa, ma il punto rimane.
Certo. ci sono le eccezioni come appunto Rovelli: ma secondo me è semplicemente questione di culo, per usare un termine tecnico. (Buon per Rovelli, intendiamoci). Tra i libri che ho letto e che si possono rubricare sotto “storia naturale” ci sono “No!” di Imre Toth e “L’universo e la tazza di tè” di K.C.Cole, entrambi tradotti in italiano ed entrambi fuori catalogo :-)
Ma la poesia non la trovo nemmeno nei saggi storici che leggo, se è per questo: il che mostra che l’estremizzazione pop-tecnico non è certo appannaggio della scienza in sé. Occhei, è notorio che io non amo la poesia e quindi sono prevenuto: ma continuo a non vedere un mercato (e fin qui amen) ma soprattutto un miglioramento della comprensione della bellezza della scienza per mezzo della storia naturale.
Ma la mia sensazione è che la storia naturale venderebbe ancora di meno:
Oh cielo, ovviamente venderebbe di meno. Mica mi aspetto che venda pari o di più. Mi aspetto che venda molto poco, ma mi aspetto che venda a una nicchia molto più importante. Ovvero quella che è e fa cultura in un paese. Anche le poesie di Sanguineti vendono probabilmente assai poco, ma voglio rivolgermi a chi compra i suoi libri piuttosto che quelli di Fabio Volo. Non per elitismo fine a sè stesso, nè perchè dispregi il pubblico non intellettuale. Ma perchè se vogliamo che la scienza sia considerata cultura, se vogliamo che si esca dal crocianesimo e dalla scienza-che-non-pensa, la scienza deve parlare al resto del mondo culturale: senza snaturarsi, ma creando un discorso “alto” che la renda nuovamente rispettabile. Se restringiamo la scelta a ii paper tecnici da un lato e le varie declinazioni di “scienza sulla spiaggia” dall’altro, se leviamo ogni estetica e ogni profondità intellettuale al racconto della scienza, chi si occupa di cultura per quale motivo dovrebbe occuparsi di scienza? La relegherebbe giustamente al ruolo di un balocco per ingegneri e per nerd. E drammaticamente lo è diventata, basta vedere anche certi commenti sull’arte di noti divulgatori recentemente.
Quanto agli esempi, non restringiamo troppo il discorso di cosa sia “storia naturale”. In realtà è un problema che coinvolge principalmente la scrittura scientifica via Internet o il panorama editoriale italiano. Per esempio, un libro come “Wonderful Life” di Gould, o i libri di Oliver Sacks sono testi che considererei come tali. Gli anglosassoni hanno ancora una tradizione elevata di scrittura scientifica.
posso dire che sei un’ottimista? Perché mai la “nicchia […] che è e fa cultura in un paese” dovrebbe comprare quei libri?
Quello che vedo io è che chi “fa cultura” è chiuso in un’onfaloscopia ancora maggiore di chi “fa scienza”…
Per lo stesso motivo per cui Oliver Sacks scrive sul New Yorker, diciamo :)
@Massimo: domanda seria. In genere da che parte metteresti i libri della collana del Corriere «La scienza come un romanzo»? Disclaimer: non ne ho comprato nessuno, forse ne ho un paio a casa in altre edizioni, e posso immaginare che siano a livelli diversi.
Ne ho letti alcuni, mi sembrano una collezione molto eterogenea, al di là del titolo della collana.
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