Il buon preside della buona scuola

Non ho seguito più di tanto le iniziative contro il disegno di legge della Buona Scuola, e questo è indubbiamente colpa mia. Stamattina però, ascoltando Radio Popolare – quindi non certo un megafono del regime – mi è parso di capire che il punto più dolente della proposta sia che i presidi potranno scegliere gli insegnanti.
Vorrei ora capire esattamente cosa significa tutto questo, e dunque lo chiedo a chi ne sa. Per quanto ne so io, al momento la teoria dovrebbe essere questa: ci sono ogni tanto dei concorsi per C cattedre: vincono il concorso C insegnanti e ne vengono abilitati altri P. I primi C insegnanti, in ordine decrescente di punteggio, scelgono la scuola dove prendere servizio. Man mano che si liberano posti, e fino al concorso successivo si chiamano quelli dalla posizione C+1 alla C+P. Non so se i precari siano questi ultimi o persone che hanno iniziato a fare scuola senza l’abilitazione e si sono per così dire fatti le ossa sul campo.
Se il ddl diventasse legge senza modifiche, quale sarebbe il risultato pratico? Da quello che ho capito io il preside potrebbe prendere chi vuole tra i C vincitori, senza guardare ai punteggi. Oppure potrebbe anche “licenziare” (nel senso statale, quindi dirgli semplicemente “tu te ne vai in un’altra scuola”) insegnanti già presenti, sempre prendendo quelli nuovi tra i primi C? Oppure potrebbe anche scegliere tra i semplici abilitati? Sono tre opzioni profondamente diverse, e prima di decidere cosa io ne penso vorrei sapere qual è quella giusta…

Ultimo aggiornamento: 2015-05-18 09:07

18 pensieri su “Il buon preside della buona scuola

    1. .mau. Autore articolo

      io odio i video, è notorio che preferisco leggere e non ascoltare.

      Immagino che il ddl verrà modificato, ma le contestazioni sono su questo testo, no? E soprattutto per capire se e come le modifiche sono peggiorative devo capire prima da cosa si parte.

      1. mestesso

        La PA ha in generale paura delle innovazioni, ma mai come in questo caso c’è una simmetria perfetta tra provvedimenti che possono essere positivi o negativi a seconda del contesto.

        La paura #1 oggi è proprio il criterio di puro arbitrio. Oggi tutto è rigidissimamente normato in modo complicatissimo nel (vano) tentativo di evitare abusi e malagestione, con procedimenti lentissimi per le cose più banali. Ma il tentativo di deregolamentare può avere effetti pesantemente opposti: libero arbitrio=metto mio cuggino quì, la mia amichetta là (riferito al preside). Che già avviene, ma in misura limitata, ora sarebbe nero su bianco.

  1. Barbara

    Ci provo. Allora, i docenti che adesso hanno la cattedra presso una scuola possono mantenerla, finché non chiedono trasferimenti o vengono cacciati perché la scuola non ha abbastanza studenti. Gli altri (inclusi i neoassunti) finiscono in un calderone a base provinciale (o, secondo alcune versioni, regionale) in cui tutti hanno uno stipendio, ma la sede di lavoro viene decisa, di tre anni in tre anni, dai presidi. Non è chiaro come si dirima la questione se più presidi vogliono l* stess* insegnante, immagino decida l*i.
    Per chi ritenga che spostarsi “pur di lavorare” all’interno della stessa provincia non sia una richiesta troppo onerosa, invito a valutare quella di Udine.
    Un altro problema, ben noto credo a chi ha esperienza di scuola, è la presenza di presidi di qualità media, scarsa, e perfino patetica. Ovviamente si potrebbe obbiettare “ebbene sì, ci saranno scuole migliori e peggiori, e i genitori sceglieranno”. Peccato che non tutti i genitori abbiano gli stessi mezzi (culturali, sociali ed economici) per scegliere, e che comunque punire i figli per avere genitori poco attenti a me sembra un caso palese di “agli zoppi grucciate”.

    1. .mau. Autore articolo

      @barbara: quindi se ho ben capito i problemi al momento sono due: che non esisterà più il concetto di posto fisso anche nel caso di tempo indeterminato (salvo per chi può non schiodarsi da dov’è) e che non si capisce come sia la graduatoria dei trasferimenti. (Basta già la provincia di Torino per divertirsi – si fa per dire – a spostarsi, intendiamoci)

  2. Giuppe

    A quanto ho capito leggendo il disegno di legge, dovrebbe essere così:
    ad ogni concorso o corso abilitante con esame di stato vengono abiitati un certo numero di insegnanti, i quali scelgono successivamente una provincia. Nella fase transitoria (i primi tre anni), i presidi scelgono, da questi P insegnanti, un certo numero PS che saranno a disposizione per le supplenze e per le altre attività extra della loro scuola (e questi PS dovrebbero essere pagati un minimo comunque, che ci siano supplenze da fare o meno).
    Fino a qui nessun problema, anzi, al momento per le attività extra i presidi hanno più libertà (non hanno l’obbligo di prendere qualcuno con l’abilitazione, per dire).

    Il problema è che, a regime, tutti gli insegnanti in una data provincia – e non solo i neo assunti – ogni tre anni verrebbero rimessi tutti nelle liste provinciali e i presidi dovrebbero rifare l’intero corpo docente della propria scuola attingendo dalla lista provinciale, liberamente (il disegno di legge parla di confronti di curriculum). Se un insegnante non viene scelto da nessun preside per almeno tre anni viene rimosso dalla lista; a quel punto può cambiare provincia o cambiare lavoro.
    In pratica, quindi, è come se ogni tre anni tutti gli insegnanti venissero messi in cassa integrazione, per poi sperare di essere riassunti a breve; e se non si è riassunti a breve si viene licenziati definitivamente.
    Non sono un insegnante ma, per quanto ho avuto a che fare con le scuole, vedo questi problemi:
    1) il preside, da solo, non può svolgere questo compito: ha magari la responsabilità di una decina di plessi posti a km di distanza, è difficile che si ricordi anche quali insegnanti abbia, figuriamoci sapere approfonditamente se sono bravi o no; mi raccontano di collegi docenti svolti in teatri, perché c’erano circa 200 docenti e un solo preside…
    2) quindi il preside si dovrà basare su collaboratori scelti da lui. Si riuniranno ogni tre anni e decideranno chi dovrà entrare nel loro istituto. Collaboratori che quindi, non solo avrebbero il posto garantito e nessun incentivo a scegliere bene, ma che sono già oggi scelti non per la loro bravura ad insegnare ma per il loro tempo libero e la loro mancanza di voglia di insegnare. Non riesco a contare il numero di scuole in cui il vicepreside (o il coordinatore del plesso) è insegnante di educazione fisica;
    3) questi insegnanti di ed. fisica a questo punto valutano i curriculum. Com’è il curriculum “tipo” di un insegnante? Per quelli che conosco io, pieno di roba che gli dava punteggio nella scuola. Il punteggio, in questo momento, viene assegnato per cose che secondo il Ministero migliorano la qualità della scuola: una scala oggettiva. Cambiare, dicendo che si valuta “il curriculum” significa dire che la scala diventa personale; cioè se ho tre insegnanti, dove il primo ha fatto un corso di due anni all’università su come trattare i bisogni educativi speciali (= 1 punto), un altro ha fatto un corso di due mesi sull’ECDL presso un ente riconosciuto (=0.25 punti) e il terzo dice di aver fatto un corso sui nuovi metodi di insegnamento tramite l’omeopatia presso suo cugino (= 0 punti), allora io posso scegliere il terzo perché penso sia più bravo, e nessuno può contestare la mia decisione. Ce ne vuole per pensare che non si innescheranno clientele e nepotismi; ma dicono che il preside sarà a sua volta valutato “dal mercato”: cioè che se si comporta male gli studenti non andranno nella sua scuola e quindi riceverà meno fondi;
    4) ammettiamo pure che il preside sia convinto di questa cosa del mercato e scelga collaboratori in grado di valutare correttamente i loro colleghi; che questi trovino, tra tutti i curriculum degli insegnanti di chimica, un vincitore di premio Nobel; il quale (avendo vinto il premio Nobel) ha però ricevuto offerte da tutte le scuole della provincia e ora può scegliere. Come faranno a convincerlo ad andare presso il loro istituto? Potrebbero promettergli il famoso bonus sullo stipendio, ma tutti i presidi della provincia hanno lo stesso tetto sulle spese, per cui fanno tutti la stessa offerta. Quindi andrà nella scuola più vicina a casa sua, o in quella che ha un miglior laboratorio di chimica, o in quella che gli sembra più prestigiosa. In tutti i casi non sta premiando un merito dell’attuale management, ma qualcosa al di fuori (un buon laboratorio di chimica non si costruisce in tempi brevi, soprattutto quando non ci sono soldi neanche per la carta igienica – e il prestigio spesso dipende dal fatto di trovarsi al centro piuttosto che in periferia). A regime, in questo sistema perfetto senza clientele, gli insegnanti che avranno più offerte (quelli considerati bravi) tenderanno a andare presso un certo istituto, anche perché il loro posto di lavoro sarebbe più sicuro lì; gli altri istituti saranno progressivamente peggiori. Gli studenti che si reputano migliori verranno iscritti nell’istituto prestigioso, quelli che non hanno voglia di studiare andranno in quello dalla reputazione inferiore, innescando un processo che si autoalimenta: gli istituti con minore reputazione ne avranno sempre meno, e avranno meno fondi (assegnati in base al merito degli studenti e al numero di iscritti). Tutto questo non in base all’effettivo merito del singolo istituto ma in base alla situazione a t=0. In un’economia di mercato gli istituti pessimi chiuderebbero, e ne aprirebbero di nuovi che partirebbero da zero e potrebbero “giocarsela”, se non che…
    5) … il sistema scolastico non è un economia di mercato. La posizione e la dimensione “fisica” di un certo istituto vengono decisi a livello amministrativo (ministeriale, regionale, provinciale, comunale) in base alle “esigenze del territorio”. Se un certo istituto ha pochi iscritti (al di sotto di una soglia), “chiude”: i suoi studenti vengono trasferiti presso un altro istituto. Viceversa, se un istituto ha troppi iscritti (al di sopra di una soglia), dapprima un certo numero di studenti viene spostato presso un altro plesso e se aumentano ancora gli iscritti l’altro plesso viene smembrato e acquisisce vita propria. Se un preside è “troppo bravo” rischia di perdere un buon numero di studenti e quindi di fondi, e quindi sarà penalizzato. Se un preside è bravo, ma la sua scuola si trova in un posto più difficile da raggiungere, potrebbe essere penalizzato. Se fosse una scuola privata il primo caso non esisterebbe: il preside affitterebbe (con i soldi dei suoi investitori) un appartamento a fianco alla scuola e metterebbe lì gli studenti; il secondo caso non esisterebbe nemmeno: quale investitore sensato deciderebbe di costruire un istituto in cima ad una collina, dove non arrivano mezzi pubblici, quando il resto della popolazione è a valle? Potrebbe attivare altri corsi per differenziarsi (cosa che un preside pubblico può fare solo lottando con vari livelli di burocrazia, e solo se altre scuole vicine non si oppongono); potrebbe cercare altri investitori e assumere qualche premio Nobel (cosa che il preside pubblico non può fare, quelli sono i soldi che riceve). E in ogni caso non avrebbe necessità di avere un minimo numero di studenti, se deve far quadrare i conti gli basterebbe ritoccare la retta (cosa che un preside pubblico non può fare). Per cui con il sistema attuale di dimensionamento scolastico (che la legge non modifica) i presidi bravi sarebbero penalizzati: o perché sono “troppo” bravi o per motivi al di fuori delle loro responsabilità. Quindi a regime ci saranno sempre meno presidi competenti disposti a rischiare la carriera, e sempre più presidi “mediocri ma che se ne fregano”.
    6) a quanto ho capito dalle modifiche di questi giorni, entra anche la valutazione di studenti e genitori. Dato che la lamentela numero 1 dei miei amici insegnanti è “genitore che supplica e/o minaccia denunce se non aumento immeritatamente il voto del suo pargolo”, immagino che questo significhi che il sistema premierà il preside che ordina agli insegnanti di alzare i voti in modo indiscriminato, e che imbrogli sugli INVALSI (che comunque vengono corretti nella scuola).

    Per riassumere: dove si creeranno clientele, a regime ci saranno meno insegnanti scelti per capacità di insegnamento (= sistema peggiore) e più insegnanti scelti per capacità di adeguamento ai voleri del preside. Dove *non* ci saranno clientele ci saranno istituti di serie A e istituti di serie B che si formeranno in base al lancio di dadi iniziale, tipo Monopoli; con studenti costretti ad andare all’istituto di serie B per posizione geografica.

    1. .mau. Autore articolo

      Grazie, Giuppe!
      Aggiungerei un paio di cose:
      – c’è un’asimmetria tra insegnanti (mandati in giro ogni tre anni) e presidi (che invece si direbbero inamovibili), e questo mi pare abbastanza ingiusto.
      – lo spostare gli insegnanti (ma anche i presidi…) potrebbe aver senso in un sistema tipo i draft NBA: scelgono per prime le scuole con i punteggi peggiori. In questo modo si cercherebbe di uniformare il livello scolastico, cosa che dovrebbe essere un obiettivo del sistema scolastico nel suo complesso almeno per quanto riguarda la scuola dell’obbligo. Rafforzare le sperequazioni non è una grande idea.

      1. mestesso

        Purtroppo il faro della civiltà scolastica è l’UK/USA, dove vige da molti anni proprio il criterio di rafforzare la sperequazione: io premio il migliore dando più soldi a chi fa meglio con l’implicito effetto di mettere ancora più in difficoltà chi sta peggio. Chi può scegliere va nella scuola migliore, chi no rimane nella m****a.

      2. Giuppe

        Già, a parte che la legge non dice chi è che sceglie prima (e quindi ci saranno valanghe di ricorsi al TAR sui regolamenti successivi), c’è l’aspetto divertente che il dimensionamento del corpo insegnanti di una provincia è stabilito dall’Ufficio Scolastico Provinciale e che il principio della legge è “niente precari”. Questo significa che se si segue alla lettera, nell’albo provinciale ci saranno tutti e soli gli insegnanti che possono essere “assunti” da una delle scuole della provincia, quindi il mercato degli insegnanti, a regime, è chiuso. Aggiungiamo la continuità didattica (il diritto degli studenti ad avere sempre lo stesso insegnante, negli anni) e avremo che l’unico modo che avrà un preside di liberarsi di un “vero fancazzista” sarà quello di lodarlo pubblicamente e privatamente sperando che qualcun altro se lo pigli.
        Mi immagino le telefonate… del tipo “Tizio Sempronio è troppo bravo per il mio istituto… è sprecato! Figurati che gli hanno proposto un posto come Presidente del CNR ma ha rifiutato perché gli piace troppo insegnare”

      3. Marco Antoniotti

        Rafforzare le sperequazioni è l’idea alla base della “riforma”. L’organizzazione aziendalista è pienamente funzionale a questo obiettivo.

        Ora. So che non ti piacerà il mio tono lapidario e poco argomentato .mau., ma la sostanza, è proprio, ma proprio quella.

        A preust

        Ntuniott

  3. JB

    Io lo so che la situazione della scuola italiana è sempre un ginepraio al cui confronto i campi minati sono prati fioriti.
    Premesso questo vorrei però far notare che quando sono stato assunto come Lecturer all’Università nel Regno Unito la mia assunzione è stata decisa autonomamente dal Dean + 4 professori, che hanno giudicato il mio curriculum, mi hanno fatto una interview e poi mi hanno offerto un posto di lavoro. Il Dean di qui sopra ha il diritto di licenziarmi se dovesse decidere che le mie “performance” non sono sufficienti e non avrebbe bisogno di passare da un tribunale per farlo (in realtà di solito i prof universitari preferiscono andarsene prima del licenziamento ufficiale per non “macchiare” il curriculum). Se la mia facoltà non avesse più abbastanza iscritti poi il Dean potrebbe chiudere l’intero dipartimento e lasciarci tutti a spasso (qualche anno fa qui hanno chiuso Chimica).
    È un mestiere stressante? Sì, certamente. Siamo tutti alla mercé di un pazzo onnipotente che ci ricatta e schiavizza? No, manco per sogno.

    1. mestesso

      In Italia lo stesso identico sistema sarebbe proprio la schiavizzazione di massa da parte dell’equivalente locale dei Decani. Già oggi i Baroni schiavizzano i Settori di Competenza e si spartisticono i soldi ed indirettamente le persone. Con il pieno comando della barra rimarrebbero solo ed esclusivamente i servi dei baroni.
      il problema dell’Italia è la cultura: ognuno per sè, dio per tutti. non c’è visione della comunità, ma solo del profitto ed interesse personale, al più di corrente.

    2. Giuppe

      Un’università è una cosa diversa da una scuola. La società fa pressioni differenti: l’università deve selezionare i migliori, la scuola deve dare a tutti una base uniforme da cui partire per la propria vita di cittadini adulti.

      Per dire, l'”aggiornamento” verte su cose completamente diverse. Un’insegnante di fisica delle medie ha bisogno di essere aggiornato sulle nuove modalità per far capire meglio un certo argomento, e l’insieme di argomenti da spiegare è fermo da più o meno 80 anni; viceversa un docente universitario ha bisogno di sapere tutti gli ultimi sviluppi della propria materia, mentre non ha bisogno di aggiornarsi sulle metodologie didattiche. Nessun docente universitario ha lo scopo di fare in modo che *tutti* gli studenti raggiungano determinati obiettivi minimi (anzi); mentre un insegnante ce l’ha. Sono due lavori completamente diversi.

    3. Marco Antoniotti

      Se tu fossei “tenured” in un’Università dei Good Ole Iu Es Ai, prima che il tuo Dean possa arrivare al tuo licenziamento dovrebbe pregare in un qualche oscuro dialetto della Siberia centrale.

      Detto questo, sarebbe ora di cominciare a pensare che i danni che l’UK sta portando a livello mondiale in termini di “sistemi educativi” sono stati clamorosamente sottovalutati.

      Non è un caso che i Vogons siano una creazione britannica.

  4. Zar

    Vedo che Giuppe ha spiegato benissimo. Aggiungo, riprendendo quanto tu scrivi sulla teoria, che è vero che ogni tanto ci dovrebbero essere concorsi come dici tu, ma in pratica le cose sono un po’ diverse. I concorsi dovevano avere frequenza biennale o triennale, e invece sono diventati più o meno decennali (ne ricordo uno nel 1990, circa, uno nel 2000, e l’ultimo di qualche anno fa).

    Tra un concorso e l’altro ci sono stati vari altri sistemi per acquisire l’abilitazione: concorsi riservati a chi aveva una certa anzianità, SSISS, TFA. Per cui si sono formate due diverse graduatorie, quella dei concorsi e quella dei precari (solo la seconda (quella che a un certo punto si è chiamata graduatoria permanente, anche se di permanente aveva ben poco) veniva aggiornata periodicamente.

  5. laperfidanera

    Noto che Zanasi conosce bene la scuola. In effetti, negli anni in cui l’abilitazione, avendo i requisiti di anzianità di insegnamento (cumulo di supplenze) si poteva conseguire con i cosiddetti “corsi abilitanti”, abbiamo avuto casi tipo quello del docente di latino di mia figlia, assolutamente incapace e contestato dai genitori, che sosteneva che il Latino è una materia in evoluzione… Credo che alla fine sia riuscito a passare di ruolo malgrado questo disastroso periodo di prova, i presidi negavano il benestare a fine periodo solo praticamente a chi uccideva un bidello ;) (sto evidentemente scherzando, nel caso non si capisse):
    Comunque, per tener d’occhio l’evolversi del ddl, consiglio http://www.orizzontescuola.it/news/buona-scuola

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