Intorno a pagina trenta di questo libro (Stefania Piazzino, L’uomo che credeva di essere Riemann, E/O 2014, pag. 134, € 15, ISBN 978-8866324386) stavo per esercitare uno dei diritti del lettore e lasciarlo perdere. Poi mi sono detto che in fin dei conti non era troppo lungo e potevo fare uno sforzo; per fortuna è un po’ migliorato, anche se non mi sentirei proprio di parlare di capolavoro. L’idea di base del libro, mescolare psicanalisi e matematica con il protagonista che deve curare il genio matematico che crede di essere diventato Bernhard Riemann alll’apprendere la falsa notizia che la congettura di quest’ultimo era stata dimostrata, è interessante: ma tutta la parte iniziale dove il professore pensa di essere Riemann adolescente è piuttosto stucchevole e la parte di spy story completamente fuori bersaglio (anche se la congettura fosse verificata non succederebbe in realtà nulla agli algoritmi di crittografia a chiave pubblica che usiamo: avremmo solo dimostrato che la struttura dei numeri primi è la più uniforme possibile nella sua non uniformità). In compenso le chiacchiere nella seconda metà del libro sono piacevoli, così come gli scorci di Milano, tra Villa Necchi Campiglio e il vecchio psicanalista (avrei detto fosse Cesare Musatti, ma mi sa che era già morto nell’anno non meglio identificato in cui il libro è ambientato). Per quanto riguarda la parte psicoanalistica non posso dare alcun giudizio, non sapendone nulla. Il risultato finale? un mah.