Giorgio Faletti perse molto della mia considerazione quando iniziò a fare il testimonial contro la pirateria, con argomenti ancora più farlocchi del solito. E già ai tempi di Emilio mi aveva dato l’idea di non essere esattamente uno di compagnia, più o meno come Teo Teocoli insomma.
Detto tutto questo, ho ammirato moltissimo Faletti come “uomo rinascimentale”. Ha fatto davvero di tutto. Ho scoperto oggi che per esempio ha corso un Rally di Sanremo (da pilota, mica da navigatore!). Certo, direte voi, se uno è famoso non ha mica problemi a fare queste cose. Certo, rispondo io, aveva sicuramente più possibilità di quante ne abbia io. Ma quanti sono i personaggi famosi che queste possibilità le mettono in pratica, con risultati tutto sommato decenti? (Certo, Io uccido è un polpettone, non entrerà nella storia della letteratura nemmeno come zeppa. Ma è un polpettone fatto bene. Lo stesso per Minchia signor tenente, che a me come canzone non piace ma ha il suo perché). Non vedo perché bisognerebbe negarlo.
Ultimo aggiornamento: 2014-07-04 23:06
Aggiungo solo una cosa, lo ricordo volentieri nel ruolo di professore nel primo film di Fausto Brizzi.
…e comunque, almeno tu, gli obituaries non li scopiazzi da uikipidia!
Secondo me “Io uccido” non è così male (certo, c’è di molto meglio, ma anche di ben peggio), e comunque poi ha scritto altri cinque libri, segno che la fantasia e le cose da dire non gli mancavano. E, comunque, rispetto ai “libri dei comici” che escono, i suoi erano comunque letteratura.
E aveva scritto canzoni per diversi cantanti. Non so come sono i brani che ha scritto per Gigliola Cinquetti o per Milva, ma quelli per Angelo Branduardi (l’album è “Il dito e la luna” e tutti i testi sono suoi) erano più che buoni.
Inoltre, come ricordava M/, aveva recitato in ruoli seri, non solo nei film di Brizzi, ma anche nell’inquietante “Cemento armato”.
Tutto questo per dire cosa? Che ha dimostrato che per i comici può esistere una vita dopo i tormentoni e che uno può anche evitare, a sessant’anni, di cadere completamente nell’oblio o di andare ancora in giro a dire «Porco il mondo che c’ho sotto i piedi».