Beh, mi sono passato le vacanze di Natale senza farmi troppo il sangue amaro, ma oggi Peppe mi ha riportato alla dura realtà, segnalandomi questo accorato appello di Roberto Esposito, Ernesto Galli della Loggia e Alberto Asor Rosa sobriamente intitolato “Un appello per le scienze umane”. Sì, nella rivista cartacea del Mulino il pezzo c’era già a inizio dicembre, e il Corsera ne aveva anche parlato: ma come ho detto, per fortuna non me n’ero accorto.
Intendiamoci, se uno fa un bel respiro rilassante e inizia a leggere il testo, qualcosa di condivisibile c’è: che «il ridimensionamento dei modelli [socioculturali] ora detti, già in corso almeno a partire dagli anni Settanta del secolo scorso, ha assunto una portata talmente vistosa da compromettere quella relazione tra cultura e società, tra passato e presente, senza la quale un Paese è condannato alla regressione.» Lo stesso si può dire sulla frammentazione portata dal modulo 3+2 all’università, che è servito « a ridurre il carico didattico a misure spesso ridicole, a rendere la stesura della tesi di laurea unoperazione nella maggior parte dei casi di pura facciata». Nulla da eccepire. Peccato che i tre dimostrino tutta la loro onfaloscopia riuscendo ad affermare che «il declino degli studi umanistici» è avvenuto «a favore di quelli tecnico-economici». Quello che è banalmente (e tristemente) successo non è che la cultura scientifica abbia preso il posto di quella umanistica, ma banalmente che entrambe non contano più un tubo. Benvenuti nel club.
Che poi, a dirla tutta, è anche una fandonia che oggi «l’alfa e l’omega della politica sia l’economia»; o meglio non mi pare che i nostri politici – anche quelli che vantano blasonati master alla Bocconi – ne sappiano così tanto. E il terzetto, pronto a ricordare tutti i grandi intellettuali (umanisti) del secolo scorso, ha una memoria storica così labile dal non ricordarsi dei ministri del Regno d’Italia con una solida cultura scientifica: quella che naturalmente non viene nemmeno considerata di striscio nella loro apologia, se non per dire «Le discipline scientifiche, infatti, le matematiche o l’ingegneria elettronica, la biologia molecolare o la geologia, sono dovunque le medesime, dovunque eguali a se stesse, e non a caso tendono sempre di più a esprimersi dovunque in una medesima lingua: l’inglese. Che però si dà il caso che non sia la nostra lingua.» Come se alle elementari iniziassero a insegnarti a contare in inglese.
Non ce la faccio a dire “peggio per loro”, anche se ammetto mi piacerebbe. Vedo solo, ma senza alcuno stupore, che mentre conosco tante persone con una formazione scientifica che sono perfettamente consce che non esistono “le due culture”, il viceversa è più raro (no, non inesistente, per fortuna), e soprattutto più si va in alto meno se ne trova. Finiremo male tutti, ma almeno chi ha una formazione scientifica non si troverà a fare i capponi di Renzo :-)
Ultimo aggiornamento: 2014-01-08 17:36
“onfaloscopia” la sapevo e me l’ero dimenticata. Grazie per avermela ricordata.
Io conosco molte persone con preparazione “tecnica/scientifica” che si interessano molto anche di cose “umanistiche”. Il contrario non l’ho mai visto. Chi all’università inizia a studiare materie “umanistiche”, poi rimane nel suo orticello. Forse sono sfortunato. O forse questa divisione non ha molto senso.
@nicola: sei stato sfortunato. Ho parecchi amici “umanisti” che si interessano delle materie “scientifiche”. Diciamo che sarebbe bello che ci fossero più “umanisti” che esprimessero a voce questo desiderio e più “scienziati” che provassero a spiegare il tutto…
Allora non sembra solo a me che il dividere la cultura in sottogruppi sia un assurdo