Lo so, ho già scritto sul Post a proposito del Buongiorno di mercoledì scorso di Massimo Gramellini, ma qui vorrei rispondere alle critiche di chi ha risposto “non hai capito, Gramellini voleva parlare d’altro” (per esempio «fa un’accusa all’approccio misurativo di aspetti come gli affetti, le relazioni, l’amore», «si scaglia contro queste ricerche statistiche che spuntano come funghi a dire cose ovvie», «voleva solo riportare lattenzione sulla necessità di non ingabbiare le relazioni sociali e sentimentali allinterno di meccanismi troopo scientifici», «il concetto espresso è quello secondo cui non si può inscatolare ogni cosa entro formule predeterminate e di cui sia possibile preconizzare il risultato finale», «il suo è un attacco alla dittatura dellalgoritmo, ovvero alleccessiva tendenza alla schematizzazione di tutto». Questi sono tutti commenti ai post mio e di Cattaneo. Sono poi commenti seri, e quindi meritano una risposta articolata.
Bene: analizziamo un po’ il pezzo di Gramellini. Spero che si possa essere d’accordo su queste sue affermazioni:
– Usa la parola “algoritmo” a sproposito (l’articolo originale parla di correlazioni, al più si può dire che ci sono delle formule)
– Non ha letto l’articolo dei due ricercatori, ma qualche altro articolo che ne parlava (io voto per questo)
– È partito a scrivere sul Buongiorno quello che voleva scrivere senza curarsi che ci fosse un’effettiva correlazione con l’articolo da lui letto.
Il primo punto per me è grave: a mio parere non sapere cosa sia un algoritmo è tanto grave quanto non sapere cosa sia un endecasillabo. Certo, si può vivere tranquillamente senza conoscere entrambe le parole: ma una persona di buona cultura dovrebbe conoscerle entrambe. Ma transeat.
Il secondo punto di per sé non è un problema: non pretendo mica che Gramellini si metta a leggersi i paperi su arXiv. Inoltre, se appunto la mia ipotesi è corretta, l’articolo di Simone Cosimi è ben fatto e spiega bene cosa hanno fatto Backstrom e Kleinberg: per la cronaca, l'”algoritmo” nel testo dell’articolo è quello che a partire dai grafi delle connessioni di una persona X che si definisce “in una relazione” dà come risposta la persona con cui probabilmente X ha una relazione (funziona nel 60% dei casi). Poi c’è il solito problema del titolista, il cui algoritmo per generare titoli :-) ha tirato fuori «Facebook, un algoritmo dice quanto durerà la tua storia: grazie agli amici». Se la mia ipotesi è corretta, Gramellini si è limitato a leggere titolo e occhiello («L’hanno messo a punto da due ricercatori riesce a individuare con facilità il partner scandagliando il network delle relazioni di un utente. Ma soprattutto è in grado di valutare se una coppia è a rischio. Il segreto? Solidità e interconnessione delle reciproche cerchie di amici: chi più si apre e si collega meno rompe»): e Ciò È Male. Gramellini è un giornalista, e dovrebbe sapere perfettamente che titolo e occhiello possono essere fuorvianti, persino quando ci sono le migliori intenzioni. Stiamo poi parlando di un articolo di un quotidiano, quindi si suppone a un livello sufficientemente basso perché una persona con un minimo di cultura possa avere un’idea di quello che si parli anche se è completamente al di fuori del suo campo specialistico.
Infine, lungi da me il voler impedire a Gramellini le sue tirate luddiste. Lui ha le sue tirate, io le mie :-). Però abbia l’onestà intellettuale di farlo senza mettere in mezzo delle consequenzialità fasulle e fallaci, che fanno sì che il suo lettore tipico prenda come oro colato affermazioni come “ci sono due ricercatori – magari anche pagati con i nostri soldi – che sprecano il loro tempo a dimostrare matematicamente delle ovvietà”. Sono questi i veri danni.
Ultimo aggiornamento: 2013-11-08 11:25
In generale scrivere su qualcosa che non è il proprio terreno è sempre scivoloso, ed io consiglio in primis di evitare di farlo. C’è da notare che la tecnica sta diventando protagonista, quindi nell’analisi e descrizione del nostro mondo chi tecnico non è cammina su un terreno sempre più viscido.
A questo si aggiunge il fatto che, parlando sempre in generale, i tecnici comunque si troveranno pure in difficoltà perché la loro esperienza è sempre più settoriale e quindi si applicherà a contesti sempre più piccoli e marginali e tutti perderemo sul lungo termine capacità e potere di comprensione.Il Re sarà sempre più nudo insomma (pure noi Tennici).
Andiamo al particolare: sì, concordo Gramellini ha letto un articolo e da lì è partito (quale sia ha scarsa importanza). Sulla differenza tra correlazione ed algoritmo, te lo dico da professionista, cioè da chi vende soluzioni basate su correlazioni, ti direi che sono sinonimi (io vendo un programma che è una serie di algoritmi che si basano su correlazioni) per transitività. Togliendo i panni del professionista, colloquialmente succede un fenomeno analogo (e sto parlando di colloquio fra persone acculturate, gli altri non usano ne l’uno ne l’altro). Io questo punto lo passerei agilmente. Io parlo così e non pretendo che Gramellini faccia diversamente.
La dittatura dell’algoritmo la vivo in prima linea (io li scrivo…) e mi pesa alle volte. Altre mi intriga e mi appassiona. Spesso la subisco e non la posso cambiare se non emigrando: forse il termine è un poco forte ma ci sta. Nel contesto dato sono sostanzialmente d’accordo con Gramellini: ti potrei mostrare badilate di ditte che (ab)usano algoritmi di correlazione per realizzare profitti sulle mie spalle (limitando di fatto la mia libertà). Anche qui nulla da dire.
Infelice invece quando scade nella dialettica spicciola (il cuore a forma di dollaro ed aridi manichini li trovo anche scarsi letterariamente parlando). Il secondo capoverso insomma io lo cancellerei.
Che la ricerca poi dimostri anche ovvietà, non ci sono problemi. Che sia uno spreco o meno qui è discutibile. Alle volte (secondo me) è uno spreco, altre no. Il problema è che a priori non puoi dirlo quindi ti devi tenere tutto :-).
Da chi vengano i soldi è questione marginale: il vero problema è cosa (con il risultato delle ricerche) ci fai, e chi è il reale beneficiario. Ora, secondo te, spassionatamente parlando il duo Backstrom e Kleinberg ha lavorato prima per la Scienza e poi per un contractor per un dottorato (o project financing, grant…) o viceversa? Detto in termini più brutali, chi fa più danni tra un luddista ed un fideista? (non conosco la risposta).
@mestesso: vedi la differenza? A me della retorica spicciola gramellinica
importuntubo.
Non ci avevo fatto caso su Il Post, ma qui lo fai notare più esplicitamente quando dici Usa la parola “algoritmo” a sproposito: sì se si tratta del termine scientifico, no se si tratta della parola ormai entrata nel lessico comune* dove viene usata, spesso ironicamente, come sinonimo di procedura o metodo. Un paio di esempi: “non ha lalgoritmo per processare queste informazioni”, il mio algoritmo per scegliere un film è . Ora non ho modo di verificare, ma mi pare che il defunto dizionario De Mauro contenesse anche l’accezione non specialistica, che sicuramente è quella usata Gramellini per i suoi lettori.
* il termine tecnico ;-) è determinologizzazione.
@licia: “algoritmo” nel senso di “procedura, metodo” mi va benissimo, figuriamoci. Ma una procedura o un metodo deve tirare fuori un risultato: quindi sta bene che un algoritmo cerchi di indovinare chi sia il tuo partner a partire da una rete. Ma nel caso di passare da “in una relazione” a “single” non hai una procedura, ma solo una formula.
@ .mau. prova a fare una ricerca che contenga le parole “algoritmo” e “amore”: tra chi usa le due parole nello stesso contesto non credo siano in molti che sottilizzano sulla differenza tra procedura, metodo e formula. :-)
Completamente OT, ma mi è venuto in mente in questo momento: in inglese formula nella sua accezione di “latte artificiale” sarebbe una parola adatta all’alfabeto…
@licia: purtroppo ho sentito “formula” per latte artificiale anche in italiano :-(
@Licia: davvero esiste un significato comune di algoritmo? Non ci avevo mai fatto caso.
A proposito, che ne pensate di quando i giornali usano binomio per indicare una coppia? Come in “il binomio Veltroni-Franceschini”, “il binomio politica e cultura”, e via dicendo? E’ corretto? A me fa venire i brividi.
Caro Maurizio
un breve commento solo per segnalarti un altro commento in rete al post di Gramellini. Si’, e’ mio… :-)
http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/11/09/algoritmi-che-passione/772044/
E poi un’ulteriore riflessione.
Se i giornalisti non riescono a parlare in modo appropriato di fatti scientifici e’ anche perche’ – secondo me – chi fa la scienza ne parla – in media – quasi solo con gli addetti ai lavori e fa poca divulgazione.
Ciao, Enrico
@Enrico: premesso che non sei tu l’interlocutore adatto :-) la mia esperienza è che per fare divulgazione occorra dello sforzo da entrambe le parti: per esempio nel caso in questione – come ho scritto – mi pare che Simone Cosimi avesse fatto un buon lavoro, solo rovinato dal titolista. Non era sufficiente? Occhei, ma allora che venga detto *dove* o *cosa* non è chiaro.
(per quanto riguarda il post sul Fatto: a me pare che – probabilmente per l’influsso di Croce e Gentile – a fianco di alcuni “scientisti” che non perdono l’occasione di sparlare degli “umanisti” ce ne sono tanti altri che cercano di collaborare. Il viceversa è molto più raro, soprattutto quando gli “umanisti” crescono in importanza percepita: tra i professori alle superiori le cose vanno bene, più in su no)
@Marco, avevo preso gli esempi da un mio post di qualche anno fa proprio sulla determinologizzazione di algoritmo, ne ho recuperato qualcun altro:
Se io possedessi il libero arbitrio, potrei venirti incontro, mandando al diavolo il mio algoritmo decisionale
ti svelo il mio algoritmo decisionale, che a quanto pare si discosta dal giocatore tipo
Questo algoritmo mentale riguardo a come si innamorano gli uomini è una conoscenza segreta di cui adesso potrai appropriarti in meno di 3 minuti
E, non so per quale algoritmo mentale, la immagino al mattino mentre si rade la barba davanti allo specchio
Invece a proposito di binomio, è usato anche in linguistica, ad es. i binomi lessicali sono stringhe composte da due (o più) elementi lessicali, appartenenti alla medesima categoria e uniti da una congiunzione, che presentano solitamente un ordine relativo fisso (ad es. equo e solidale, gratta e vinci) o preferito (ad es. anima e corpo, sale e pepe).
@.mau.: ok se non ti turba proseguiamo questo dialogo tra sordi :-) …
L’articolo di Simone Cosimi inizia con “Per capire come andrà a finire la tua storia d’amore serve Facebook.” Secondo me non si può dire che il titolista l’ha rovinato trasformandolo in “Facebook, un algoritmo dice quanto durerà la tua storia: grazie agli amici.” Certo, l’articolo di Cosimi cerca di spiegare cosa hanno scoperto Backstrom e Kleinberg, però il risultato non è proprio ottimo, a mio parere, sia come stile che come chiarezza.
So bene che dovrei esibire i risultati di un’analisi puntuale del testo e fornire un esempio di come lo si potrebbe scrivere meglio, ma il tempo è tiranno.
Il tuo commento mi suscita un paio di riflessioni.
La prima è che ritengo che fare buona divulgazione scientifica sia come scrivere buoni racconti: molto difficile! O forse ancora più difficile. Perché ho l’impressione che mentre quando scrivi di letteratura parli al cuore, che è di bocca buona, nel presentare la scienza ti rapporti al cervello, molto più schizzinoso. Anche quelli che hanno odiato il post di Gramellini non hanno potuto non sottolineare la brillante eleganza con cui ha affondato i propri colpi. Sul piano puramente estetico il pezzo non aveva una sbavatura. Ed infatti ha fatto infuriare chi aveva le chiavi per leggerne l’inconsistenza logica, mentre chi ne era sprovvisto l’ha apprezzato e basta. Quindi essere bravi divulgatori vuol dire lavorare e lavorare e lavorare sull’espressione, mantenendo semplicità e significatività. Ciò richiede molto tempo e di persone brave ce ne sono poche.
La seconda è che mi pare ci siano almeno due tipi di divulgazione scientifica. La prima è quella che accade nei “posti” in qualche modo “specifici”. Con questo intendo luoghi, tipo Le Scienze e il suo blog, il tuo o quello di Vespignani, l’inserto Nova del Sole 24 Ore, etc., che sono “a priori” dedicati a questo. E quindi sono frequentati da lettori già in qualche modo preparati: non specializzati ma certamente interessati alla scienza. E poi ci sono i “posti generalisti”. Tipicamente, i quotidiani e i canali televisivi generalisti. Qui fare divulgazione scientifica è come nuotare in mare aperto: periglioso e senza appigli. Ma la guerra sulla comprensione della scienza da parte della società nel suo complesso si vincerà in questi luoghi. Attualmente, le sole battaglie vinte sono quelle dell’insuperato Piero Angela. Avremmo bisogno di dieci e cento come lui.
Concludo segnalando un esempio di riuscitissimo, secondo me, incontro tra umanisti e scienziati: si tratta del libro “Ti pare il Caso?”, scritto a quattro mani tra Erri De Luca e Paolo Sassone-Corsi.
@enrico: ok (qua comunque è davvero un posto segreto…) Sui vari punti:
– che Gramellini abbia anche stavolta confezionato un ottimo prodotto non c’erano dubbi: è il suo mestiere e lo sa fare bene. Però questo significa solo che è ancora più necessario essere attenti, a lui come agli altri ottimi affabulatori.
– Per esperienza personale, l’incipit di un articolo su un giornale serve per attrarre il lettore, ma mi aspetto che la ciccia stia dentro: quindi il mio cervello ha saltato a piè pari quella parte e si è soffermata sul resto (occhei, avevo anche già dato un’occhiata al papero originale)
– Fare buona divulgazione scientifica è MOLTO difficile. A me fanno ridere quelli che se la prendono con Piero Angela che usa i documentari BBC, perché non hanno capito quali siano le sue qualità (non ultima, sapere cosa scegliere). Però, proprio come è difficile scrivere buoni racconti ma è però fattibile scrivere racconti decenti, si dovrebbe fare lo stesso con la divulgazione. Iniziamo dal poco, poi le gemme (forse) arriveranno.
– La “divulgazione pop” (nel senso buono del termine) è un casino immane, e per esempio io non saprei da dove iniziare. E non credo ce la faremo mai a eguagliare Gramellini e compagni, anche perché ci vorrebbe una rivoluzione a partire dalla scuola e dalla tv. Ma se non tentiamo neppure di aumentare la “divulgazione specializzata” (ragazzi, se l’esempio di divulgazione matematica in Italia sono io sul Post siamo davvero messi male) come possiamo pensare di fare l’ulteriore salto?