Ritorna l’ispettore Ferraro. Sempre milanese, anche se il giallo (Gianni Biondillo, Cronaca di un suicidio, Guanda 2013, pag. 193, € 14,50, ISBN 978-88-235-0411-0) inizia a Roma, dove era andato in vacanza con la figlia per qualche giorno. Ferraro sente la mezza età che ormai incombe, sente che la figlia Giulia ormai sta per crescere davvero, ma soprattutto si sente uno sbirro dentro, anche sfortunato tra l’altro; a chi capita di trovare in mare una barca con effetti personali di una persona e una lettera in cui costui afferma di stare per suicidarsi?
Il libro alterna il punto di vista di Ferraro con quello delle ultime settimane di Giovanni Tolusso, sceneggiatore che come tante, troppe persone si è rimprovvisamente ritrovato fagocitato dalla crisi di questi anni. E biisogna dire che Biondillo ci va giù sul pesante, non sono pagine da leggere così a cuor leggero. Si vede Tolusso perdere rapidamente tutto, anche la propria dignità, fino ad arrivare a un suo gesto estremo. Come dicevo, sono pagine scritte molto bene, direi meglio di quelle con protagonista l’ispettore. Però una cosa da dire c’è: questo libro mi ha ricordato i tempi in cui scrivevo le mie tesi, o se preferite i romanzi di Andrea Vitali. Più che un romanzo è un racconto lungo: e per allungare il numero di pagine si è ricorsi ai vecchi trucchetti di fare tanti capitoletti brevi che finiscono all’inizio di una nuova pagina, per non parlare delle sezioni che lasciano anche una pagina bianca. Su, siamo ormai tutti grandi…
Ultimo aggiornamento: 2013-08-31 23:03
Ti ringrazio per l’attenzione al mio lavoro e per le belle parole.
Credo però, se mi permetti, tu sia troppo malizioso nei miei confronti. Io ho scritto quello che sentivo di scrivere, con la dimensione che reputavo necessaria, non una parola di più (se mi conosci sai che ho scritto libri ben più lunghi. In quel caso la narrazione mi “chiedeva” pesi differenti). Non ho impaginato io il testo, ma l’editore, non darmi responsabilità – o furberie – che non ho. Non credo, comunque, che un’opera si valuti un tanto al chilo-carta.
Grazie ancora comunque di cuore,
G.B.
beh, io sicuramente non faccio testo (le rare volte in cui scrivo qualcosa sono minimalista, il mio idolo è Fredric Brown) e certamente non so chi abbia scelto l’impaginazione. Però quell’impaginazione allarga sicuramente il libro… (come anche quelli di Vitali, appunto).
Poi siamo tutti d’accordo che la letteratura non si misura a numero di pagine!
@.mau.: in USA ed UK gli autori vengono pagati con una cifra fissa proporzionale al numero di parole dell’opera pubblicata più la classica percentuale sul venduto e ammenicoli vari. questa è la causa diretta del fatto che i best seller siano così grossi (=più soldi per l’autore).
La ragione di tale barbarie (per me lo è almeno) è che se un libro è più lungo ci si mette più tempo a leggerlo e quindi diminuisce la probabilità che un secondo, cui il libro verosimilmente verrà prestato, accetti di aspettare ulteriormente invece che comprarsi l’opera in questione (con maggiori ricavi per l’editore).
Non so se in Italia ci siano clausole del genere, certo è che un utente preferisce spendere X euri (con X grande a piacere) con più soddisfazione se c’è più “carne” (alias pagine). Questo gli editori lo sanno benissimo, e da qui escono i font corpo 14 e pagine vuote per “giustificare” il prezzo. Sono d’accordo, la cultura non si giudica un tot al kilo, ma la spesa uno la fa (anche) in base a questo fattore.