«La nostra legge sul diritto d’autore non permette di fare una trascrizione di un film protetto da copyright senza il permesso del titolare, e sicuramente non permette di renderla pubblica.»
No, non è il presidente della SIAE ad averlo detto, ma Paul Pinter, coordinatore nazionale della divisione che si occupa di reati contro la proprietà intellettuale nella polizia svedese. Come potete leggere sulla BBC, la polizia del paese scandinavo ha chiuso il sito undertexter.se, dove per l’appunto si preparavano e ci si scambiavano i sottotitoli (i “subs”) di film e telefilm, che poi si potevano aggiungere alle immagini originali per capire che diavolo dicevano i protagonisti.
C’è qualcosa di profondamente errato in tutto questo. I sottotitoli di un film, senza il film stesso, non servono a nulla. Se qualcuno si prende la briga di trascrivere un film e sottotitolarlo, significa che nessuno dei famigerati “titolari di copyright” ha pensato di poterci fare dei soldi su fornendoli lui questi benedetti sottotitoli, visto che prepararli è una faticaccia. Epperò non si ha il permesso di farlo :-(
Ultimo aggiornamento: 2013-07-10 19:59
“significa che nessuno dei famigerati “titolari di copyright” ha pensato di poterci fare dei soldi su fornendoli lui questi benedetti sottotitoli, visto che prepararli è una faticaccia.”
non sono così d’accordo. detto subito che sono in generale contrario al diritto d’autore, in questo caso specifico secondo me il ragionamento è coerente. a me sembra che il tuo ragionamento porterebbe dritto a consentire ad un produttore cinematografico di utilizzare la storia di un libro per una sceneggiatura, se l’autore del libro non vuole (o non vuole *ancora*) sfruttarla commercialmente.
(una soluzione ci sarebbe, naturalmente: pubblicare il film – o almeno la sua sceneggiatura – sotto licenza cc. il fatto che i produttori non lo facciano dimostra chiaramente che non hanno interesse a favorire questo sottobosco, per motivi che in effetti tu ed io stentiamo a capire).
Sarà per evitare che le traduzioni non abbiano la qualità espressiva concepita dagli autori. Infatti non si può permettere che l’esperienza di visione dell’opera sia rovinata da qualche volenteroso incapace.
Niente, è tre volte che provo ma non riesco a rileggere senza ridere.
@Delio: nì. Io sto usando il significato legale di “opera derivata”, che è molto più ampio di quello pratico. Di per sé, anche solo tirare giù il testo dei dialoghi nella stessa lingua è un’opera derivata. Sulla traduzione potremmo in effetti pensarci un attimo su (facendo l’avvocato del diavolo), ma appunto il testo effettivamente pronunciato, tenuto da solo, non può essere usato se non assieme al film.
Non la faccio lunga, te la dico da cinefilo (che utilizza i libri prodotti sui film, che contengono anche i dialoghi): è coerente, corretto ed illegale anche in Italia (ed in tutti i paesi UE a mia saputa).
Inoltre non è assolutamente vero che i dialoghi senza il film non sono nulla! Se un film è fatto bene, sono belli anche da soli. Offendi il film d’autore!
Per me stavolta sei in torto su tutta la linea.
Pragmaticamente, visto che è chiaro come vengono poi usati quei file di sottotitoli, non mi stupisce che chi si occupa di proprietà intellettuale ci si opponga, non fosse altro perché possono facilitare l’uso di altri file ancor più palesemente protetti.
@delio: Mi spieghi che significa di preciso essere contrario al diritto d’autore? È un diritto che sorge spontaneamente appena scrivi, componi, dipingi qualcosa. Poi sta a te decidere se regalarlo all’universo, mostrarlo solo agli amici, far pagare per vederlo da lontano.
E poi, più concretamente, la legge sul diritto d’autore tutela anche dei poveracci che non hanno molta scelta in proposito, come traduttori e simili.
@daniele a. gewurz: vuol dire che non mi piace chi si trattiene questo diritto. io sono un ricercatore e tutto (tutto) quello che produco viene dato in pasto all’umanità a costo zero, a parte quello di una connessione a internet, come praticamente qualunque matematico al mondo fa da diversi decenni.
@.mau. anch’io non capisco bene la tua posizione sui dialoghi. certo che i dialoghi senza un film hanno senso (e vengono anche venduti, anche dopo essere stati tradotti). qual è la differenza con un testo teatrale? le opere di pirandello o di goldoni o di euripide non possono essere vendute?
@delio: mi fai esempi di dialoghi di un film che sono venduti come libro?
@.mau.: io lo so! “I cento passi” uscito da Feltrinelli, ma non ha solo i dialoghi ovviamente.
Comunque c’erano già stati casi di “protezione” di singole frasi (!) di film famosi, caso mai ci fosse scarsità di cose per cui ridere.
Di questo passo saremo tutti contrari al diritto d’autore: basta non fare nulla, perché non si vuole o perché non si può, e ricordarsi non morire…
e anche un sacco di testi di pasolini, questo lo so per certo. credo di ricordare anche qualcosa di truffaut, ma non ci metto la mano sul fuoco.
@delio: Anch’io sono un matematico, anch’io ho fatto ricerca finché l’università mi dava da mangiare con contratti e assegni di ricerca, anch’io ho dato in pasto all’umanità i miei articoli (in realtà, se uno pubblica su una rivista peer-reviewed, anche lì i diritti ci sono eccome, ma li si cede alla Springer, alla Elsevier o chi sia).
Ma che cosa proponi per chi non è pagato esplicitamente per fare ricerca (o scrivere o comporre)?
@.mau. e altri: State parlando di sceneggiature. Innumerevoli sceneggiature sono pubblicate in forma di libro, ma sono ben più che il solo testo dei dialoghi.
@DAG: io starei appunto parlando di dialoghi, che sono quelli che vanno nei sub. Di sceneggiature ne conosco a iosa anch’io.
@.mau.: Sì, scusa, intendevo dire: quello che altri commentatori suggeriscono sono invece sceneggiature vere e proprie. E se davvero hanno visto in libreria pubblicazioni che contengono i dialoghi di film di Pasolini o di Truffaut senza il resto della sceneggiatura, sono curioso anch’io.
@DAG: come ho detto “che contengono anche i dialoghi”.
Che sono non solo i libri di sceneggiature, ma anche opere enciclopediche e di critica cinematografica (tipo Cahiers du Cinéma).
Libri *solo* di dialoghi non ne ho mai visti, ma questo lo trovo secondario nell’analisi del problema in oggetto…
Ribadisco anche che certi film sono godibilissimi leggendo *solo* i dialoghi. Provate a “vedere” così i film francesi della nouvelle vague, oppure certi film di Woody Allen. La cifra culturale di un film include anche il valore dei dialoghi di per sé, fuori dal contesto in cui sono utilizzati.
Cmq., i sub contengono oltre ai testi anche i metadati per inserirli al momento giusto nel video. I sub senza video davvero hanno poco valore ;-).
@d.a.g.: da quando esiste arXiv, il fatto che tu ceda i diritti a springer ed elsevier è una roba da avvocati ma ininfluente per gli esseri umani (per altro, ormai springer lascia il copyright agli autori in un sacco di collane, ammirevolmente): chiunque ha libero accesso ai dati, e le opere derivate in matematica ovviamente sono sempre state lasciate libere, da 4000 anni a questa parte. la matematica è oggi, nel 2013, un campo del tutto free – almeno nel senso di free as beer, e probabilmente anche nel senso di free as speech entro pochi anni.
che uno venga pagato per fare ricerca è vero fino a un certo punto, visto che non esiste la controprova: esistono ahimé milioni di professori al mondo che non pubblicano niente da anni e vengono pagati lo stesso; e viceversa conosco una manciata di persone che pubblica anche dal di fuori dell’università (tanto le riviste non li pagherebbero lo stesso, quindi di quello comunque non potrebbero campare…).
e quindi? e quindi non so bene che prospettare al resto dell’umanità e delle arti/scienze: immagino che chi ha voglia di tentare di farsi pagare per qualcosa possa farlo, ma senza invocare la legge per chi invece ha voglia di godersi una musica o un articolo di fisica senza pagare. my two cents per il futuro.
@delio: Che esistano persone pagate per fare una cosa e che poi non la fanno non c’entra col mio dubbio, che liquidi in mezza riga: visto che per motivi tuoi hai in gran dispitto la legge sul diritto d’autore, che cosa contempli per chi 1) scrive, compone, fa ricerca, disegna, o qualsiasi altra attività creativa; 2) non riceve uno stipendio più o meno fisso (fosse anche a tempo determinato) per esercitarla; 3) desidera campare della sua attività e non confinarla alle ore lasciate libere dall’impiego in un fast food o in banca?
rispondo che per nel 2013 non c’è piú la possibilità di esercitare tutte queste attività in maniera professionale, così come era possibile fino a 20 anni fa; e che al momento, se proprio si vuole campare d’arte o di scienza senza un posto fisso, l’unica è sperare che qualche mecenate (o collettività di mecenati) ti paghi se e quando ne ha voglia. questo modello non ti piace? pazienza. avrai notato che il mondo va in questa direzione da un pezzo.
@delio: Grazie per avermelo fatto notare, ché io non l’avevo notato. E a quanto pare non l’ha notato neppure molta altra gente, da Dan Brown al più umile autore di “fiction” televisive. (Poi mi spieghi il tuo modello del posto fisso, magari statale, per scrivere canzoni o dipingere quadri.) E non capisco come tu possa pensare che asservirsi a un mecenate sia un passo avanti rispetto a un sano esercizio del diritto d’autore (che di per sé, abusi a parte, è una cosa sacrosanta e tutela anche i piccoli, gli indipendenti, i formalmente-indipendenti-ma-sfruttati e così via).
ripeto:
1) non sono necessariamente d’accordo con la scomparsa dell’artista come professionista. però è quello che sta succedendo da anni, soprattutto nella musica, e dissentire vuol dire lottare contro i mulini a vento – secondo me.
2) non ho un “modello di posto fisso per scrivere canzoni” (anche se modelli vagamente paragonabili esistono o esistevano in scandinavia, almeno per i cittadini minori di x anni). quello che dico è che alla lunga, secondo me, scomparirà il “ceto medio artistico”: o sei dan brown (o gli u2) e campi tranquillamente anche con un po’ di dischi venduti in meno (ed è tutto da verificare che con la pirateria i “grandi” vendano davvero meno dischi o libri: molti studi sembrano sostenere il contrario), o sei il gruppo simpatico ma sostanzialmente sfigato che suona in un piccolo club o in un centro sociale: e in questo caso, semplicemente, non puoi immaginare di campare di dischi venduti, a differenza dei gruppi beat ugualmente sfigati degli anni ’60. puoi campare di concerti, forse, se hai voglia di sbatterti; e in quel caso i dischi sarebbero sostanzialmente materiale promozionale (come i video: conosci qualche gruppo che faccia pagare i proprio video?).
@delio: Ti prego di non invocare i mulini a vento, perché dal mio punto di vista chi sta un po’ fuori dal mondo, felice della sua torre d’avorio e del suo stipendio statale che gli permette di ignorare la lordura mercantile che c’è là fuori (e di regalare il proprio operato alla Springer e alla Elsevier che non si fanno scrupoli a farci su bei soldi), sei tu. (E ti prego di credere che io, avendo o avendo avuto un piede in entrambi i mondi, sono il primo a difendere in altri ambiti l’importanza e l’indispensabilità dell’accademia, delle strutture pubbliche e persino delle torri d’avorio.)
Il mondo della musica lo conosco di meno, e sarà senz’altro come dici. Ma, quanto meno in ambito editoriale, non è affatto imminente il momento in cui – per esempio – scrittori, grafici, traduttori, giornalisti freelance e altri “lavoratori della comunicazione” autonomi possano campare in un modo diverso dal regime di diritto d’autore, che non è il Male, non sono/siamo tutti la Disney. Certo, ci possono essere autopubblicazioni, progetti crowdfunded e simili (e chi ti scrive fa anche esperimenti in tal senso), ma non è ancora cominciato a succedere se non in percentuale irrisoria, e non ha l’aria di una tendenza che si amplierà a dismisura in tempi brevi (del secolo prossimo non so nulla).
non capisco perché continui a rinfacciarmi di lavorare per elsevier e springer. io (come quasi tutti i matematici al mondo da oltre dieci anni a questa parte) pubblico tutto quello che produco su arXiv. il fatto che alcune università continuino a essere abbonate ai giornali cartacei è a mio parere un buffo (e costoso) gioco di ruolo che entro pochi anni davvero non avrà piú motivo di essere, non appena si sarà capito come giudicare al volo un ricercatore in maniera diversa che dando uno sguardo alla liste delle riviste dove ha pubblicato.
poi permettimi di dire che *proprio* perché io vengo pagato (per la metà del mio stipendio) per fare ricerca ho tutti i diritti di dire che secondo me il copyright è una follia. il libro che sto scrivendo sarà sin dal primo giorno di pubblicazione in download libero sulla mia pagina. se non lo facessi potrei magari guadagnare qualche spicciolo in piú, ma invece preferisco regalarlo (e springer ha accettato questa clausola nel contratto). dov’è la contraddizione? il punto è che la matematica sarebbe morta da tempo se si dovesse aspettare 8 o 20 o magari 70 anni prima di prendere un risultato altrui, sviscerarlo e migliorarlo (o peggiorarlo…) a piacimento.
(mi sa che vi stiate avvitando)
@delio: Non sto parlando di matematica. Sulla matematica hai ragione (ho qualcosina da eccepire anche lì, ma non è questo il punto). La ricerca matematica funziona abbastanza bene: è un mondo a parte, e vanno benissimo arXiv, polymath e altre iniziative a venire.
Ma tu hai letto quello che ho scritto su scrittori, grafici, traduttori etc.? Liberissimo di non avere un’opinione in proposito e di infischiartene, ovviamente.
@.mau.: (Hai ragione.)
> ma tu hai letto quello che ho scritto su scrittori, grafici, traduttori etc.?
l’ho letto e ti ho risposto già due volte che secondo me per loro non c’è futuro (futuro professioale, almeno). lo faranno nel tempo libero per sfizio, se ne hanno voglia, a meno che non diventino delle superstar mondiali e possano permetterlo di farlo come mestiere ben pagato.
dopo di che accolgo il velato rimbrotto di .mau. e mi taccio definitivamente.